Il primolungometraggio di Stefano Simone
Origine: Italia. Anno di produzione: 2010.Durata 86′. Genere: Drammatico. Formato: 16:9 widescreen (1.77:1). Audio:Stereo PCM. Regia: Stefano Simone. Soggetto e Sceneggiatura: Emanuele Mattana.Musiche: Luca Auriemma. Fotografia e Montaggio: Stefano Simone. Costumista:Dora De Salvia. Produzione: Jaws Entertainment. Interpreti: Tonino Pesante,Dina Valente, Francesco Granatiero, Don Antonio D’Amico, Cosimo S. Del Nobile,Lello Castriotta, Amilcare Renato, Grazia Orlando, Sabrina Caterino.
Stefano Simone debutta con unlungometraggio incoraggiante dopo le buone prove registrate in alcuni cortihorror – thriller come Kenneth (2008) e Cappuccetto Rosso (2009).
Una vita nel mistero è un film difficileche parla di fede, speranza, amore coniugale ed eventi miracolosi, ascrivibileal genere drammatico, sostanzialmente religioso, ma ricco di effetti speciali edi rimandi alla cinematografia di genere italiana. “Il cuore ha le sue ragioniche la ragione non conosce”, è la citazione filosofica presa in prestito daBlaise Pascal per introdurre lo spettatore in un’atmosfera misteriosa. Simonedirige con semplicità e sicurezza una storia sceneggiata in maniera lineare daEmanuele Mattana, senza omissioni e imperfezioni, che ha il solo limite dialcuni dialoghi troppo impostati.
La storia racconta l’amore di una coppiaborghese che travalica la vita terrena, i piccoli gesti di tenerezza delmarito, la grande fede che unisce entrambi, gli eventi miracolosi che portanoprima a una guarigione inspiegabile e quindi alla morte della donna. Lapellicola racconta per immagini, tra dissolvenze e visioni suggestive, per unaprecisa scelta del regista che ricorre al dialogo solo quando non ne può fare ameno. La colonna sonora di Luca Auriemma è fondamentale nell’economia del film,a tratti pare ispirarsi alla musica sacra e riproduce un crescendo di tensionenei momenti decisivi della storia. Simone è bravo anche nel montaggio, perchéil film gode di buona tensione – pur non essendo un thriller – e lo spettatoresegue con trasporto la vicenda. La fotografia è un ulteriore punto di forza cheinduce ad apprezzare paesaggi marini di Manfredonia e suggestive ambientazionicampestri. La fotografia e la musica sono un mix interessante, studiato neiminimi particolari, una vera e propria fusione di sonorità e immagini priva disbavature. Lo stile di regia è sobrio ed essenziale, Simone guida gli attoricon sicurezza e i due protagonisti (Tonino Pesante e Dina Valente) recitano conbravura, pure se risentono di un’impostazione squisitamente teatrale.
Stefano Simone mette in pratica tutta lasua conoscenza del cinema fantastico, dimostrando di aver appreso la lezione diMichele Soavi e del suo San Francesco televisivo. Simone è consapevoleche non esiste tematica più fantastica che raccontare i miracoli di un santo, perquesto guida la macchina da presa alla scoperta di pendole che si fermano,asciugamani che assumono forme surreali, nubi che disegnano lotte tra bene emale, fotografie impressionate da eventi anomali e volti di Padre Pio ricavatida molliche di pane. I tempi del film non sono dilatati, se escludiamo qualchepasseggiata di troppo e un paio di sequenze inserite per raggiungere i tempicanonici di un lungometraggio. Simone riesce a fondere una forte tematicaminimalista come quella dell’amore coniugale con elementi visionari, onirici efantastici. Non era un compito facile. Sembra che il giovane regista pugliese abbiastudiato a fondo il cinema di Ingmar Bergman, soprattutto Scene da unmatrimonio (1973), ma anche altre pellicole del grande svedese intrise dielementi fantastici. L’incontro del vecchio sulla panchina del parco che siripeterà in un vicolo oscuro della città rappresenta un importante momento ditensione e lascia indecisi sulla sua natura soprannaturale. La finestra che siapre, la candela che si spenge, la rivista che si sfoglia da sola sono unaserie di episodi che servono a far capire l’evento miracoloso. Vediamol’immagine di un cuore ricavata da una goccia di caffè, il fazzoletto piegatoche sembra un angelo, il telefono che squilla a vuoto. Il fantastico è fuso conun tenero amore coniugale, ricco di fede (sarà lui a darci la forza, non ciabbandonerà), preghiera e devozione a Padre Pio. Simone è consapevole digirare cinema religioso, ma non lo rende stucchevole e pietistico, la sua è unareligiosità pasoliniana fatta di piccoli gesti quotidiani e di grande amoreper la vita. Il santo vive insieme alla coppia e lotta al loro fianco contro ilmale, salva la donna dalla morte per tumore, ma in seguito non può evitare chevenga fatta la volontà divina. Nella parte finale apprezziamo alcune scene dipuro cinema horror che Simone inserisce con bravura. In un negozio di scarpeappare e scompare un frate fantasma, personificazione della morte, chesuccessivamente torna a sconvolgere i sogni di moglie e marito. La parteonirica che porta alla morte della donna è ben fatta, possiamo dire che sitratta di ottimo cinema fantastico ricco di suggestioni orrorifiche. Vediamo ilmale che lotta contro il bene, ma questa volta Padre Pio non può sconfiggere lamorte perché l’ora della separazione terrena è giunta. Gli effetti specialisono ottimi, la scena madre colpisce a dovere e lascia in sospeso lo spettatoresui motivi del decesso. Rivediamo il marito al cimitero mentre compie i gestid’un tempo e compra rose rosse per la moglie scomparsa. Ritorna il frate,rappresentazione della morte, segue l’uomo nel parco, scompare e infine siallontana nel sole. “Dio è ovunque”: una religiosità francescana mostra l’immaginedi Padre Pio anche nel pane quotidiano. La solitudine del protagonista ètotale, anche se resta il ricordo della moglie, unito al grande amore per lafotografia e a una fede potente. Una vita nel mistero è un buon lavorodi esordio che fa ben sperare per le future prove di Stefano Simone, registacaratterizzato da una marcata vena horror – fantastica. Il giovane registapugliese ci consegna un’opera che va oltre le classificazioni di genere,utilizza momenti onirici e visionari, ma riesce anche a far pensare.