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La scrittura vincente di Gianfranco Turano

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La scrittura vincente di Gianfranco Turano


Ragù di Capra è il nuovo romanzo delle edizioni Flaccovio, collana Gialloteca.

E’ un giallo puro, un esperimento interessante, una storia avvincente. Cattura e trascina pagina dopo pagina in una corsa perfetta verso il finale. I personaggi sono ben tratteggiati, l’ambiente della Locride reso con efficacia, le abitudini e le caratterizzazioni locali sono perfette. Il dialetto calabrese e milanese che affiora qua e là tende a ravvivare la narrazione offrendoci gradevoli macchiette.

Ma il punto di forza è assolutamente lo stile, artistico, elegante, graffiante, innovativo.

Turano sa sorprenderci anche nei momenti narrativi più banali, nelle descrizioni di contorno, non si rilassa mai, tiene sempre alta la nostra attenzione, anche il passaggio più periferico, quello collaterale, il brano di collegamento, quello introduttivo o riflessivo, sono potenti mezzi espressivi posti al servizio di una storia tutto sommato niente male.

D’altra parte non essendo questa una recensione non mi dilungo oltre e vi invito a procurarvene una copia, che sarà disponibile presso tutte le librerie a partire dal 16 di Marzo. ( per leggere la recensione __________)

Quello che qui mi preme è mostrare invece che descrivere, come del resto insegnano nei migliori corsi di scrittura, la differenza che c’è tra una frase normale, sintatticamente corretta e buttata giù di getto, istintivamente, pescata tra le centinaia di espressioni adatte all’uso che abbiamo già pronte dentro la nostra testa, e una frase pensata, elaborata, rivista e corretta, e formulata in maniera tale da essere aggressiva, graffiante, e potentemente espressiva. Come anche la più banale delle descrizioni può servirci per comunicare al lettore qualcosa. Un nostro particolare modo di vedere.

Vi accorgerete che anche le felci ai lati della strada, due vecchietti su una panchina al parco, una stazione deserta, o una carreggiata polverosa possono e devono essere resi in maniera efficace, con pennellate vigorose e tratti sicuri.

Da qui in poi lascio che siano gli esempi a parlare. Limitandomi qua e là ad inserire per contrasto una delle frasi tipiche con cui la maggioranza di noi, me compresa, sarebbe stata tentata di illustrare un determinato momento, tanto per vedere che effetto fa e qual è la differenza.

Capirete poi che se queste frasi, estrapolate dal contesto, colpiscono per la loro vitalità espressiva, e per le originali coniugazioni, a maggior ragione esse hanno contribuito a fare di Ragù di Capra un buon romanzo, forse uno dei migliori ultimamente in commercio.

E la cosa che sorprende di più è che tanta valenza espressiva sia concentrata, senza stonare affatto, in un romanzo d’azione, un giallo, una trama ad enigma. Dove si potrebbe pensare che non ce ne fosse affatto bisogno, ma vi prego non cadete in questo errore.

Curate il vostro stile, sempre, vedrete che sarà un investimento con un potente ritorno in termini di rendimento e di efficacia.


Cominciamo con qualcosa di semplice, il protagonista è su un canotto e un gesto inconsulto gli fa cadere in acqua il cellulare.Noi ce la saremmo cavata con un:

"All’improvviso con un tonfo sordo il cellulare si inabissò nelle acque limpide"

Invece sentite questo:

Sentì un minuscolo scricchiolio e un tonfo da paperetta buttata nella vasca da bagno

Ecco che il cellulare che cade assume una valenza nuova, tale da ridestare la nostra attenzione. Andiamo avanti.

Ora siamo davanti a una spiaggia, il protagonista sta per sbarcare dal canotto, dopo aver inabissato il suo panfilo per riscuotere il premio dell’assicurazione. Un paesaggio sconosciuto, facce ostili, e lui che ripensa ai problemi economici che lo hanno costretto a tanto. Qui la descrizione suona come un momento lirico e al tempo stesso i problemi tangibili di Airaghi si elevano quasi a far parte del paesaggio. Una buona intuizione.

L’allegria del mare circondava uno scoglio piantato nella mente di Airaghi. (…) Le cambiali, frastagliate come seghe e coperte di fossili maleodoranti, lo attiravano verso il naufragio definitivo. (…) La spiaggia era chiarissima, infinita. Subito dietro, le case erano gettate in grumi vicino a una strada che doveva essere la statale (…)

Un gruppo di calabresi vestiti di scuro fissa lo sconosciuto che sbarca a riva con la fissità tipica della gente di paese. Ed ecco la descrizione che ne dà Turano.

I manichini lo stavano fissando. Dai loro nasi si potevano tirare semirette nitide come il volo di una freccia, tutte convergenti su di lui. Lo guardavano in coro (…)

Ed ecco che il linguaggio figurato viene in soccorso dell’autore per inquadrare la scena in maniera cinematografica. Poche altre descrizioni potevano essere altrettanto efficaci. In seguito l’autore ci descrive uno di quegli adolescenti che si comportano come se odiassero e disprezzassero il mondo.

Sul cemento il ragazzo che guidava Airaghi lasciò sfogare ancora qualche bava di schifo per l’universo in un’andatura strascicata.

Conosciamo tutti qualcuno così, questa descrizione ha un potere altamente evocativo. E poi.

(…) travolto da un sudore che incominciava a pizzicarlo, fu sfiorato da un desiderio arioso di prenderlo a pedate.

Qui la scrittura diventa ironica, briosa, apre un ponte narrativo di silenziosa complicità con il lettore, uno così ognuno di noi vorrebbe prenderlo a calci, detto in questo modo tale silente desiderio accomuna il lettore al protagonista, ed aiuta a stringere il patto narrativo tra autore e lettore.

Ed ecco come l’autore ci descrive il brutto paesaggio di un paese povero, trasandato, abbandonato a se stesso e al suo squallore, come ce ne sono molti in Italia.

Il paese era brutto. Insisteva nella sua bruttezza con intenzione, al termine di un lavoro svolto per decenni dagli abitanti concordi. (…) La determinazione al brutto era stata un atto di pura volontà, in odio a quelle cose che erano di tutti, quindi di nessuno, quindi meritevoli del rispetto che si deve alle puttane.

Si sta parlando di un Milanese arricchito, un industriale rampante, che sbarca segretamente in un paesino della Locride, il suo razzismo, o preconcetto, o senso di superiorità poteva essere illustrato in molti modi. Si poteva banalmente dire: "Vedendo quel brutto paese ad Airaghi venne da pensare che laggiù una tale trasandatezza era naturale. Non c’era da stupirsi che in quel luogo Etc.etc." ma così facendo praticamente l’autore avrebbe commesso una forzatura, si sarebbe intromesso nella storia. Il problema è stato brillantemente risolto facendo una pura constatazione, Airaghi guarda la bruttezza e la interpreta, né più né meno come se fosse un segnale stradale.

Vi segnalo poi una serie di descrizioni molto eleganti, figurate e visive che a questo autore riescono particolarmente bene, senza necessità di ulteriori commenti perché mi pare che parlino da sole.

Le piante in fiore portavano in cima a lunghi pali un boccolo bianco, incongruo come una sposa denutrita ma paffuta in viso.

La strada saliva costante martoriando di buche la macchina, rigida sulle sospensioni e sofferente fino a minacciare di spezzarsi.

La stradina privata bastava appena a contenere le ruote dell’auto, strette tra due margini di sassi conficcati in terra a protezione di un’aiuola. Alla fine del sentiero, una masseria a due piani incombeva su un’aia sterile.

Giugno era il verde. Eruttato dall’Aspromonte fino alla riva del mare, occupava tutto con tante sfumature quanti sono gli altri colori insieme. Dopo quei primi giorni del mese avrebbe sceso la scala opposta, propagandosi nel giallo della sua morte man mano che la montagna inaridiva e il residuo delle fiumare si salmistrava sparendo in pochi giorni sotto il sole maturo.

L’intemperanza che scorreva a valle già si stava affievolendo in ruscelli frammentati ma il verde non se ne curava e cicalava con strepito invadendo le propaggini a monte dell’abitato. Cancellato dalle vie, rigurgitava oltre il cemento della statale, fra gli spacchi di uno squallido lungomare.

La macchina si fermò in uno spiazzo davanti a un capannone recintato. La zagara impregnava l’aria. Un cane uscì al trotto dal buio e si mise ad abbaiare con le fauci tra le sbarre. La sua isteria turbava il rito.

Ora cambiano atmosfera, siamo a Milano, dal socio di Airaghi, suo complice nella simulazione e nella truffa assicurativa, sentite come con poche vigorose pennellate riusciamo ad assimilare al contempo il paesaggio, l’atmosfera, e le peculiarità caratteriali di questo nuovo personaggio, appena introdotto.

Sammy Morabito spense il computer. Attorno alla sua scrivania, oltre la vetrata a strapiombo su Milano, i mercati internazionali si agitavano. Qualcuno urlava di dolore, altri piangevano intirizziti. Male Tokio, male anche le tigri del Sud-Est. (…) Per soli novanta milioni di plusvalenza non aveva venduto: nemmeno una macchina come si deve. E d’un tratto il mercato si era offuscato. Le isobare avevano cominciato a gemere sull’Atlantico. Il vento aveva sollevato uno dopo l’altro tutti i mari che ruggivano intorno alla scrivania di Sammy.

Vedete? Siamo partiti dalla scrivania e alla scrivania siamo tornati, tutt’attorno si presagisce una difficoltosa situazione finanziaria che ci viene illustrata senza ricorrere al gergo borsistico e ad inutili tecnicismi che avrebbero solo appesantito la narrazione. Percepiamo che questo tale è un tizio determinato, che ama il rischio, che non sa perdere, non vuole rinunciare e che è disposto a tutto, uno che vive lussuosamente e non vuole essere costretto a farne a meno. Perfetto come un quadro.

E sentite ora cosa ci dice di un "socio in affari" calabrese.

Barbaro urlava in un dialetto che costruiva enigmi attraverso allusioni.

E’ il tipico modo di parlare di tanti idiomi dialettali, metaforico e figurato, ma si poteva descriverlo meglio in un’unica e incisiva frase?

Ancora la situazione del mercato, raccontata in termini variegati e ironici.

(…) Lo stomaco chiuso e aggrovigliato, quella fitta al piede anticipavano una giornata di massicci smobilizzi sulla scia delle borse orientali e in tumultuosa attesa di un Nasdaq vibratile.

Previsioni del mercato come previsioni meteorologiche. Anche qui una trovata intelligente per non annoiare.

Questo invece è un litigio. Una donna sventola sotto il naso di Sammy la sacca di velluto rossa vuota, che conteneva cocaina. E’ un momento di azione, l’autore avrebbe potuto anche lasciar correre e dimenticarsi dei virtuosismi, invece no, sentite che cosa si inventa.

Tenuto dal cordoncino slacciato, il sacchetto pendeva dal braccio disteso come il vessillo di una truppa sconfitta con disonore, il sorriso tagliente della donna era la conseguenza di un ragionamento. Lo sconfitto, secondo lei, era Santo Morabito.

Ora vi segnalo una serie di passaggi in cui lo straniero Airaghi cerca di assorbire e di assimilare gli usi e le tendenze locali, facendole proprie.

Le barchette dell’intelletto volteggiavano sulla superficie della Reggio-Taranto strambando e virando prima di collidere, perché le rivalità più straordinarie avevano rispetto delle sette di sera. (l’autore parla dell’ora della vasca, del passeggio serale lungo il corso principale del paese)

Ma la curiosità altrui, profonda come una miniera, lo costringeva a improvvisare con il rischio di contraddirsi.

Il contadino, con il volto tondo e pieghettato intorno agli occhi azzurri da suino, voleva sapere tutto dei milanesi come di un popolo lontano della cui esistenza non si persuadeva ancora
.

Alcuni cartelli erano provvisti di frecce che indicavano svincoli invisibili e circostanze inesistenti. Proprio sopra il posto di blocco, un gigantesco rettangolo annunciava la presenza di un megastore di autoricambi a venti metri, dove si intuiva solo una spianata di sterpi.

Ora siamo in discoteca, gustate queste descrizioni decisamente atipiche e molto convincenti.

Sul bordo della pista un gruppo di uomini formava un muro reso ondeggiante da sussulti di risa.

(…) nel momento in cui la musica cambiava ritmo per assumere la cadenza di un bombardamento.

Ed ecco il momento in cui i nostri escono dalla discoteca per ingaggiare un pestaggio con un gruppo avversario. Successivamente in macchina si compiacciono con se stessi sulla via del ritorno per l’esito del combattimento.

Venti metri più sotto si spalancarono gli sportelli di tre macchine.

Airaghi desiderò uccidere con l’intensità di un primo amore. Se non riuscì, fu solo perché il buio, la polvere, la mischia sfumavano il contorno dei bersagli.

"In galera per percosse ricevute"- Ciccio Naso Forato ci meditò sopra. La battuta gli si inerpicò nel cervello provocandogli un riso raschiato che si sparse con vibrazioni potenti dalla cassa toracica. L’atmosfera cupa si rovesciò in un’allegria di vincitori.

Airaghi era sull’onda. Più parlava e più si sentiva in alto. Durante l’ascesa gli apparivano particolari nitidi che si incastravano nella loro sede come quei giochi per bambini con cilindri e sfere.

La rissa aveva depurato il sangue di Airaghi, oliato le valvole del pensiero e adesso poteva volare su quella cresta che non sarebbe mai scesa, gonfiandosi in cento altre.

Ascoltiamo Sammy Morabito, il socio di Milano che tenta di chiedere un riscatto immaginario alla madre del suo compare e complice, quando questa lo credeva già morto. Ovvero come mentire con stile.

Adottò un metodo che univa la totale vaghezza sui particolari alla precisione laconica riguardo ai fatti principali.

E adesso gustiamo, è proprio il caso di dirlo, una delle descrizioni classiche di ogni narratore, quelle dove ognuno tende ad offrire il meglio di se stesso. La gastronomia.

Quando rientrò nella sala in penombra, vide il tavolo coperto da quattro teglie avvolte in pezze di cotone. C’erano altri contenitori di plastica, più piccoli, con il tappo a vite rosso. La donna non aveva finito di pescare. ( dal portavivande)

Le pareti dolci e acquose cedettero prontamente seminando il grumo di mollica contro la volta del palato. Capperi, origano, aglio, pensò Airaghi prima di inciampare nei dubbi. Volle chiarirsi con una zucchina, ma solo la melanzana seguente gli rivelò l’aneto che cresceva a cespugli lungo la strada e che si poteva succhiare fra le labbra. Nel ripieno si nascondeva qualcosa di indecifrabile. Inutile insistere.

Furtivamente Ciccio Naso Forato gli era scivolato alle spalle e, un pezzo alla volta, stava intaccando il contenuto di una teglia con l’aria di ritrovarsi su un altro pianeta, dove la pasta al forno non ha ragione d’essere. (…) lo guardò quasi sentisse una vibrazione siderale, forse un tentativo di contatto da mondi remoti.

Torniamo ancora una volta alle descrizioni naturalistiche, mare, prati, strade. Niente risulta piatto o banale, ogni cosa risalta in tre dimensioni sotto i nostri occhi, assumendo un fulgore a volte impensabile.

Da punti imprecisati dell’oscurità arrivavano le percussioni dei motori a nafta dei primi pescatori. Il loro fuoribordo, al confronto, ronzava come una mosca agonizzante.

La foschia a banchi si aggiungeva alle tenebre per separarli l’uno dall’altro, ma Airaghi sentiva i suoi ragazzi a occhi chiusi.

L’aurora si manifestava con l’inganno, stringendo l’orlo del lenzuolo nero steso sui confini del mare, a destra della prua, mentre verso poppa un velluto copriva ancora l’Aspromonte.

Non trovando ostacoli di nuvole, la luce incominciò a salire dall’orizzonte limando il cielo striscia dopo striscia in modo da mostrare quattro ombre ad ognuna delle ombre sedute nella barca.

Ora i commenti a un rapido scambio di battute volti a palesare lo stato d’animo dei protagonisti durante un breve dialogo.

Aveva respinto le critiche e mostrato cognizione di causa.

Airaghi lo guardò mentre il cervello gli avvampava di genialità.
La barca girò su se stessa e si diresse a Ovest, verso la riva ancora coperta dal buio. Airaghi splendeva con la luce del sole.

(…) sentì arrivargli in faccia (…) un ruggito di ardore africano.

Nei pochi minuti di tragitto da casa al passeggio, fece qualche esercizio di respirazione, caricando il cervello di ossigeno profumato, asciugandolo piano, riempiendolo ancora fino alla perfetta padronanza del ritmo.

Airaghi dedicava alle chiacchere gli organi periferici della sua attenzione che era concentrata sulla diversa prospettiva dello stare seduti

Non sapevano quali progetti grandiosi avesse in mente ma possedevano una forma di intuizione animalesca che li attirava verso l’eccezione.

Lombardo tolse dal repertorio un ghigno.

Niente, ripetè senza dirlo, portando il dorso della mano sotto il mento e da lì in fuori con un raschio di barba dura.

Questi brani sono i tipici intermezzi narrativi che interloquiscono nel dialogo e servono per sottolinerare determinati stati interiori dei protagonisti e a conferire vivacità ai momenti colloquiali. Sono frasi particolarmente adatte, che mostrano senza raccontare, una differenza fondamentale cui dovremmo imparare a porre somma attenzione.

A proposito di dialoghi dobbiamo sempre ricordare che il linguaggio parlato è spesso incisivo, breve, selvaggio e concitato, come questa singola frase dimostra.

(…) mettimi in mano un telefono con il mio socio dall’altra parte.

Questo è invece un esempio di come anche in un momento drammatico di forte connotazione attiva, dove insomma il movimento e l’azione sono i fattori determinanti, non bisognerebbe mai scordarsi del paesaggio circostante, della descrizione dei dettagli, che lungi dall’appensatire contribuiscono invece a costruire un quadro preciso e circostanziato in cui inserire gli eventi.

L’acqua era bassa e il bianco della secca si stagliava per una ventina di metri di lunghezza circondato dalla distesa di blu.

Airaghi ingoiava l’emozione, sorrideva agli altri, era nervoso come se dovesse conoscere una donna.

La boa era quasi sferica e, una volta a galla, oscillava a mezzi giri intorno al suo asse. La corrente la portava verso il largo. Alici, saraghi e beate guizzavano intorno al gonfiore scuro della stoffa interrotto da un bianco fermo, puro, la vivezza d’argento dei pesci. Anche la gobba della seconda boa prese la via di levante, verso l’alto mare. Navigava pacifica, salvo qualche strattone quando era morsa da un pesce più grosso.

Ci sono poi una serie di descrizioni piuttosto normali di accadimenti noti o quasi quotidiani, che non sembrerebbero richiedere più di tanto la nostra attenzione. Ma non è così. Dove un rasoio normalmente taglia i capelli, qui invece lo vediamo sputare schegge di capelli, dove molti si acconterebbero di dire che la vasca era vecchia e scrostata il nostro autore preferisce indulgere in una descrizione dal sapore antico, ma evocativa.

Airaghi era seduto in mutande con un asciugamano appoggiato sulle spalle, dove il rasoio sputava schegge di capelli.

LA vasca era a semicupio, gialla di smalto vecchio che si imbruniva di ruggine dove poggiava il tubo della doccia.

Esiste poi tutta una serie di momenti narrativi in cui l’autore ha necessità di sottolinerare determinati effetti, o sensazioni, ma è estremamente importante che lo sappia fare senza dare nell’occhio, senza intromettersi troppo pesantemente nella narrazione, senza interrompere il flusso. In questo modo.

Sammy staccò l’audio sulle prodezze di Peppe Barbaro e cercò di fissare la forbice della trattativa economica.

La donna stava sdraiata su un letto ad acqua, in una camera che impressionò molto Barbaro per le sue tonalità pastello e la sensualità dei dipinti appesi alle pareti.

Il gonfiore e i lividi avevano cancellato i lineamenti. Sembrava un frutto esotico addobbato con una parrucca per il Carnevale.

Infine sono da tener presenti alcune frasi incisive, brevi, quasi cinematografiche, che servono per illuminare i momenti fermi, e per tenere sempre desta l’attenzione del lettore.

Seduto sul bordo del letto, accese la lampada del comodino per rischiarare i muri ciechi della stanza.

Ti sfilava i calzini senza toglierti le scarpe.

(..) si accese una sigaretta per stimolare la meditazione.

Ed ora soffermiamoci su questo. Il protagonista sta esponendo ai suoi accoliti il piano di un nuovo progetto non ancora del tutto sviluppato, recitando a soggetto, variando il canovaccio in base alle reazioni degli astanti. Questa circostanza poteva essere resa in molti modi, ma il sistema scelto dall’autore risulta particolarmente convincente e soprattuto molto funzionale.

Parlando, la materia bruta del progetto si arricchiva di particolari ai quali Airaghi non aveva mai pensato. L’organismo si sviluppava dimostrando il suo diritto alla vita sotto gli occhi di Ciccio, Toni e Mariano che lo guardavano come si guarda un neonato in fondo alla culla.

Il padre del bambino, pur dedicandosi ai suoi doveri di allevatore, non imbrigliava la creatura. Desiderava soltanto che fosse circondato dall’ambiente più adatto.


Un momento dove è particolarmente facile cadere nella banalità è quando si descrive qualcosa di noto, facilmente identificabile, comune all’esperienza di tutti noi, una scena già vista mille volte, che si tende pertanto a sottovalutare e a descrivere in maniera approssimativa. E’ il caso questo di una partita di soft ball in spiaggia, anche qui la cura che viene posta nell’lluminare i particolari conferisce alla scena un sapore quasi cinematografico.

Avevano piantato l’ombrellone cento metri a nord dello scarico in pieno pomeriggio. La luce obliqua sfolgorava tanto che, fuori dal cono di riverbero, il mare sembrava immerso in una tenebra inquieta, notte di giorno. Sulla spiaggia il sole proiettava l’ombra lontano dal palo conficcato sulla sabbia. Dentro lo spicchio riparato dai raggi era sistemato un tavolino bianco con due sedie.

Sul piano inclinato della spiaggia verdi e arancioni si affrontavano da mezz’ora. I contrasti e le cadute andavano cancellando i numeri segnati col gesso sulle pettorine.

Era maggio. Dopo più di un mese di sole continuo, la terra aveva incominciato a cedere il suo calore al mare che doveva essere fresco come il latte di mandorla del bar Sorelle Polimeni.

Il vento stava per mettere le dita nella glassa grigia.

Come una torma di animali in fuga, i giocatori si precipitarono verso l’acqua.

Esaminiamo poi una delle sfumature in assoluto più difficili da rendere senza interrompere o appesantire la narrazione: la descrizione dello stato d’animo. Qui il protagonista presagisce da vari segnali che qualcosa sta cambiando, che la gente non lo guarda più come prima, che insomma c’è qualcosa che non va per il verso giusto. Invece di inoltrarsi in pesanti riflessioni psicologiche e flussi di coscienza l’autore compie una scelta appropriata, suggerisce gli stati d’animo con brevi flash intervallati all’azione, alla descrizione e al dialogo, in modo che i fari restino puntati sull’evidenza dei fatti, e che noi stessi in qualità di lettori, così come accade al protagonista, veniamo messi sull’avviso e indotti a riflettere.

Il suo cambiamento d’umore era più profondo, oltre l’irritazione presente e il caldo preso in spiaggia.

Penetrando come un microscopio in quel tessuto di umani, Airaghi vide grumi che minacciavano di staccarsi dalle pareti e di colpirli al cervello.

E fra i volti ignoti poteva esserci un pericolo ancora maggiore.

Airaghi mosse un angolo di labbro per mostrare che ascoltava ma continuò a riflettere.

(…) ma in quelle cose non si poteva mai sapere, come quando si tira un filo da un maglione.

Passiamo alla descrizione di un incidente automobilistico con il comandante dei carabinieri che impartisce ordini a destra e a manca e la macchina che viene tirata su verso il bordo della strada.

Nei pressi del paracarro sfondato Lombardo dava disposizioni metafisiche avvolto di segretezza.

I due sommozzorati erano appena guasti, come dormienti. Anche la macchina, un’Alfetta beige, era in discrete condizioni salvo la schiacciatura del muso e una ruota anteriore saltata di netto dal semiasse. Uscendo in quel punto della 106, l’auto era precipitata per una quarantina di metri nel dirupo che partiva rapidissimo verso il mare per addolcire poi la sua pendenza
.

Questo invece è un incontro particolare. Il nostro eroe milanese incontra un uomo del posto, un lavoratore che la sera torna a casa a godersi la quiete e la misteriosa bellezza di una natura incontrastata che nessuno può capire se non l’ha mai respirata. Il colloquio è stentato e difficile, l’uomo si chiude nella naturale ritrosia tipica di quei luoghi. Le descrizioni ricchissime servono da contrasto allo scandirsi delle battute, contraddistinte da intervalli molto lunghi e da imbarazzanti silenzi.

La luna, tramontata dietro Capo Bruzzano, lasciava un alito che leccava le piane ma penetrava con denti di roditore nella tibia composta di Enzino, nel glenoide scheggiato di Airaghi. La corsa sulla statale gli aveva infreddato il cranio nudo sveltendo i pensieri e legando i fatti in catena.

Parcheggiarono il motorino accanto a un cancello di ferro battuto in una strada sprofondata nella pubblica tenebra. L’unica luce arrivava dall’interno della casa dove nel giardinetto, metà orto e metà pergola, si spandeva l’energia affannosa di una lampadina da 60 watt piantata dentro il muro perimetrale come un animale imbalsamato.

Non sembrava neppure vicino a dire qualcosa. Airaghi dovette inoltrarsi da solo nel discorso.

Arcadi bevve un altro sorso. Nella sua mano lunga il bicchierino di liquore sembrava lo strumento di un artigiano esperto. Nella quiete Airaghi sentì un aroma dolciastro e nauseabondo trascinato da un refolo di vento.

Quando tornava si godeva il pergolato dove sfociava la bellezza della sua terra che non era opportuno spiegare. Per chi ci era nato era superflua. Per chi non ci era nato diventava retorica. I due mondi non potevano comunicare.

Di seguito tutta una serie di frasi per le quali vi invito in tutta onestà a riflettere su come avreste reso voi il medesimo concetto, leggete il passo come riportato e scrivete poi di getto senza pensarci troppo la vostra stesura, così come vi viene, in preda all’istinto.

Andate avanti fino in fondo e poi rileggete le vostre frasi, paragonate con quelle dell’autore e cercate di analizzare le differenze tra il vostro stile e il suo.
Questa è una cosa che nessuno vi può insegnare e alla quale dovete arrivare da soli.

Non si tratta di emulare, o di copiare, e nemmeno di ispirarsi, ma più semplicemente di cominciare a capire dove si sbaglia,e come e perché.

Se le vostre frasi rilette dopo le sue vi sembrano figurine di carta tagliate male che si muovono incerte in controluce, e quelle dell’autore vi sembrano invece corpose marionette tridimensionali vive e animate e poste al servizio della narrazione per ottenere l’effetto desiderato, allora cominciate a domandarvi cosa c’è che non va nel vostro stile, dove è necessario intervenire e cercate di porci rimedio.

Se invece pensate di essere perfetti e che non vi occorre migliorare il vostro stile perché siete già bravi così, avrei una sola domanda da farvi, anzi due:

-Perché non vi hanno ancora pubblicato?

E infine

Come mai state leggendo questo articolo, allora?

Per chi ancora mi sta seguendo, cominciate col riflettere su questa frase che io avrei reso più o meno in questo modo.

"Il vento imperioso che soffiava dalla strada faceva volare in mille volteggi di carta i tovagliolini del bar, mentre i tavolini restavano ad aspettare i prossimi avventori del tardo pomeriggio"

Ed ecco la versione di Turano.

Il tendone del bar Sorelle Polimeni batteva la tela granata nel vento schioccando le frange orlate di velluto. I tovagliolini messi fra il piattino di stagno e il bicchiere della consumazione decollavano dai tavoli verso la montagna. Ma lo scirocco tossiva a scarti e le farfalle di velina bianca non superavano la statale, accumulandosi contro il bordo del marciapiede. Le poche gocce piovute erano state spinte altrove senza scoraggiare il passeggio.

Ragionate su questo e proseguite con il vostro lavoro, versione e traduzione, comparatele e rendetevi padroni della lingua.

E infine per gli increduli ecco un ulteriore illuminante esercizio.

Prendete a noleggio la cassetta o il dvd de Il Nome della Rosa tratto dal romanzo di Umberto Eco, mettete la versione sottotitolata in italiano, e confrontate passo passo le battute recitate dagli attori con le frasi indicate nei sottotitoli, notate come cambi enormemente la potenza espressiva anche solo cambiando l’ordine delle parole, o usando un sinonimo al posto del suo omonimo,e tutto questo anche in enunciati brevissimi, composti di due o tre parole.

Infine comparate le battute recitate, e le scritte sottotitolate con la frase originaria usata da Eco nel romanzo e potrete verificari da soli l’enorme differenza e il differente impatto.

Ed ora sotto con l’analisi delle frasi di Turano, tanto per fare esercizio, e vedrete che miglioramenti.

Sabina Marchesi

Ma le domande si fecero aspettare. Airaghi attraversava gli isolati sul margine fra paese e campi in un tessuto di rumori selvatici misti a programmi Tv di tarda serata che evadevano dalle finestre aperte.

Si era disabituato all’arretratezza.

Sammy proseguì oltre le case nella notte ingrassata dagli odori. Superò un posto di blocco dove un carabiniere li guardò passare a occhi sbarrati come un barbagianni inchiodato dai fari.

Le ossa della macchina schioccavano, si lussavano, tornavano in sede sotto i colpi delle buche prese dritte.

Poco dopo, la salita si acquietò in un falsopiano circondato da ombre di ulivi.

Scodando, la macchina s’infilò dentro una stradina stretta fra due margini di pietre che limavano i mozzi delle ruote. Alla fine del sentiero, la masseria sorse sfolgorante. L’aia era abbagliata dai faretti come un campo di calcio in notturna.

La donna lo guardava senza muovere un dito, continuando a perdere colpi come un mantice da forgia.

Entrò in soggiorno dove l’oscurità si andava sciogliendo. Riconobbe una qualità di luce diversa dalla solita alba serena. Era il colore delle mattine coperte di Milano, uguale a se stesso fino al tramonto, tessuto di tinta grigia in ogni punto.

Dall’interno del Bar Polimeni sgorgò un urlo femminile.

Mariano studiò bene la mira. Tirò lo schiaffo a mano piena provocando un rumore di zuppiera che si rompe.

Airaghi uscì dove il vento poteva pulirlo.

La vecchia lo guardò con occhi di un liquido chiarissimo. La pelle le era sprofondata nelle fosse sotto gli zigomi.
"Per favore", chiese con la voce compressa dalla pena. "Abbiamo già i nostri guai. Andatevene, per favore".
Il Milanese alzò la testa nella desolazione del corso mezzo vuoto. Se ne sarebbe andato, non prima di terminare.

Il cielo prometteva aiuto. Scorreva grigio con sprazzi di nero, andando di gran carriera con lo scirocco piovigginoso.

Parlò in tono da perito, misurando gli acri e gli ettari, accatastando i fatti.

Enzino rimuginò di sì con la testa verso monte, dove il verde sfidava le nuvole a chi diventava nero per primo. Voltò il fianco e prese la via del felceto rizzato dal vento come il pelo di un cinghiale assalito.

Si svestì tranquillo, padrone delle contrarietà.

(…) disturbato dagli schizzi di pioggia che finivano prima di incominciare senza decidersi a finire.

Ansioso di aria, seppure di un’aria liquida di scirocco.

La sua stessa voce gli giunse estranea, deformata da una vibrazione sconosciuta dei polmoni.

Lo mordeva lo stesso terrore selvatico che vedeva riflesso negli occhi del compare scarcerato.

Si sentì con chiarezza il tonfo compatto di uno, poi dell’altro sportello della Mercedes che si incastravano nel telaio.

Il fuoco gli salì dalle budella a pugno chiuso, portandosi come aria sgranata nell’aria.

(…) la vetrata grande del pub, dove era seduto fino a poco prima, si tendeva come la pancia di un bevitore di birra prima di schizzare in uno spruzzo d’onda contro il muro opposto.

Dopo venne il boato. L’urlo selvaggio dell’esplosione lo buttò a terra piatto, senza difesa dalla caduta.

Gli penetrò nel naso un odore orribile. Tanto concentrato da sembrare corposo, era denso di materie diverse bruciate in uno stesso istante.

Con la massima delicatezza, girandogli più volte intorno, raddrizzò Enzino lungo un asse sensato. Oltre quello, non si poteva ricostruire.

Al risveglio, gli si incollò addosso un crepuscolo monotono. Fino a metà spiaggia si allungava il mare vecchio che al largo ruminava una striscia marr

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