KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Due o tre cose su Eyes Wide Shut

4 min read

DUE O TRE COSE SU EYES WIDE SHUT

OCCHI: per la prima volta compare in un titolo di Kubrick questa parola, ma quante sue immagini ci tornano in mente a proposito di questa ossessione del guardare: l’occhio-camera con cui Kubrick inizia la sua attività di fotografo su Life, gli occhiali a forma di cuore di Lolita, da cui spuntano i suoi occhi curiosi, gli occhi sbarrati di Alex in Arancia meccanica, gli occhi del computer Hal che in 2001 controllano tutto e leggono sulle labbra degli astronauti le loro intenzioni di disattivarlo. Nelle prime scene di EWS abbiamo la percezione di questi occhi che si aprono e si chiudono, nelle dissolvenze nere.

COPPIA: ancora una coppia, dopo quelle di Lolita, Barry Lindon e Shining: questa volta si presenta però con caratteristiche più "normali", una coppia all’apparenza tranquilla, affiatata, felice. La scelta di Cruise/Kidman, coppia nella vita, crea numerosi corti circuiti tra realtà e finzione, a partire dai riferimenti all’ambiguità sessuale, di Cruise in particolare: come immaginare protagonisti diversi e migliori? Lui, con un’aria sempre inebetita (anche per le decine di riprese a cui Kubrick l’ha sottoposto), piccolo fisicamente, sempre dominato dalle donne che incontra; lei, algida1 ma con un fuoco dentro (come aveva intuito Gus Van Sant in Da morire).

DOPPIO SOGNO: la fantasia iniziale di Alice/Kidman è come uno specchio che rimanda immagini di desideri insostenibili; è sempre Alice che guida il gioco, dall’inizio fino al disvelamento finale, la maschera sul letto. Bill/Cruise, che sembra cercare e trovare in tutte le donne che incontra l’immagine della moglie, vive la sua avventura come in trance, deambulando per le strade di una New York dalla strana atmosfera, ricostruita ed irreale, come un sonnambulo con gli occhi aperti che non vedono, senza comprendere il senso di quello che gli accade, cercando di aggrapparsi ad una identità sociale (quella di medico) esibita continuamente, ma sempre più fragile: il suo è un desiderio che non trova mai soddisfazione e viene frustrato a più riprese.

INTIMITA’: rispetto ad altri film di Kubrick, in cui ci sentivamo, come spettatori, affascinati ma lontani, tenuti a distanza, questa volta la mia sensazione personale è stata di essere più vicino, "dentro" il mondo dei protagonisti, la loro mente, le loro fantasie, fin quasi a provare, alla fine, affetto nei loro confronti. Kubrick sceglie la camera da letto come ultima frontiera da esplorare, decide di scendere all’interno della psiche, di scavare in profondità per scoprire cosa vi si nasconde (così come il film scava all’interno di noi spettatori, anche una volta terminata la visione). Ho trovato molto belle le scene di intimità tra i due nel bagno, lo sguardo sorridente e un po’ indagatore che lei rivolge al marito da sotto gli occhiali, dopo la prima notte passata fuori, nel mondo, incontro all’ignoto.

SCHNITZLER: Kubrick segue molto fedelmente il racconto Doppio2 sogno, di cui vengono ripresi letteralmente alcuni dialoghi, ma con una lettura rivolta all’oggi ed un notevole arricchimento di spessore e di motivi: tra gli altri, il trasferimento della storia dalla Vienna capitale dell’Impero Asburgico alla New York capitale del mondo globalizzato; la coppia Cruise/Kidman, ricchi, giovani e belli, come simbolo dell’alta borghesia di fine 900; la musica del mondo austriaco e tedesco e il bellissimo valzer di Sciostakovic, che apre e chiude il film, fondendo la musica di inizio secolo con moderni richiami al jazz.

ARCOBALENO: in un film dai colori luccicanti, rosso e blu soprattutto, e dalle luci di Natale sempre presenti, troviamo numerosi riferimenti all’arcobaleno (alla festa di Ziegler, le due modelle vogliono portare Bill dove finisce l’arcobaleno; il negozio di costumi si chiama Rainbow), che mi hanno fatto tornare in mente la passione di Kubrick per Il mago di Oz (Over the rainbow in originale): ho immaginato perciò il film anche come una specie di viaggio di Bill (come Dorothy/Judy Garland), che si allontana dal suo mondo conosciuto e familiare (il Kansas), per andare a scoprire cosa c’è oltre, facendo strani incontri, talvolta anche poco comprensibili, per poi farvi ritorno alla fine, certo un po’ segnato dall’esperienza.

FINALE: in un film cupo e mortuario, pieno di riferimenti biografici (a partire dalla costruzione dell’appartamento di Bill e Alice come il proprio appartamento degli anni 70, con i quadri della moglie alle pareti), Kubrick inserisce un finale ottimistico, girato con una bella intuizione in un grande negozio di giocattoli, alla vigilia di Natale, tra enormi peluche, bambole e carrozzine, con un invito a ritrovarsi e a fare l’amore. La parola "Fine" al termine dei titoli di coda rappresenta davvero il commiato di un artista che è andato ben al di là del cinema.


Paolo Baldi

1
Da leccare? Battutaccia.

2
L’autore, Schnitzler, sembra osservarne compiaciuto il risultato dalla foto che fa da sfondo a quest’articolo.

Commenta