Roma, 2005. L’eterogenea scena indie rock capitolina regala una nuova promessa: una band composta da tre giovani musicisti di grande talento, capace di mostrare, sin da questa sua prima prova, grande personalità.
Zoa: cardine primo, il cantante e chitarrista Daniele Ciavarro, artista dall’impressionante estensione vocale, destinato a rappresentare e costituire qualcosa di nuovo nel nostro panorama rock; durante i primi concerti della band, m’ha restituito suggestioni al contempo yorkiane e jopliniane: reminiscenze non servivano, in fondo, e in ogni caso non sarebbero bastate. L’impressione era questa: qualcosa di nuovo e di atipico. Un Jeff Buckley italiano, selvatico e rabbioso.
Quindi, le colonne della sezione ritmica: l’elegante e poliedrico batterista Alessio Guarino e il carismatico bassista Fabio Mele.
Il primo ep della band è questo “La più pallida idea”, composto da cinque tracce. Incipit è Il mio sospetto: sette minuti di rock magnetico, seducente e ipnotico. In principio solo distorsioni e rumori. Distorsione. Quindi, batteria, basso. Basso, a trascinare e imporre ritmo, senso e direzione. Il canto di Ciavarro è un latrato sconsolato ed erotico al contempo. Questo è un brano scardinapercezioni e viola-realtà. Trascina via con sé e mantiene un respiro classico: rimane in testa e non va più via. Micidiale. L’ultimo minuto è psichedelia e disordine: magma creativo e dissoluzione, infine, del sogno appena scolpito.
Seconda traccia è Palpebre: un rock più leggero e meno estremo. La chitarra disegna melodia solare e distesa; la batteria s’impone imprimendo al brano la prima esplosione. Ciavarro canta d’amore e di appartenenza; il pezzo si lascia interiorizzare con naturalezza. Sinceramente godibile.
Ecco Canzone 1. L’incipit – il primo minuto e dieci secondi – è d’una lentezza calibrata e intelligente; il crescendo suggestivo e romantico. “Io ho lei / che respira mia assenza / io avido / dentro me / Vibra / fra un velo e sento / evitare mentre / fragile / nella testa mia danza / il pensiero che io / non ho molta importanza…”. Questo è un pezzo che sa giocare sugli intervalli e sulle sospensioni, per poi obbligare a lasciar ondulare la testa a tempo. È qualcosa che non potrà non piacere a chi ama gli Afterhours e amava i vecchi Marlene.
Piano b rapisce subito per un basso sigurrossiano, che accompagna e enfatizza distorsioni e melodia. È destinato ad appartenere a una coppia che si riconosce viva e unita per la prima volta; perché incide, lacera, stupisce e ferisce e infine fa sognare, e regala incandescenze. È una ballata non estranea allo psicodramma romantico; tenebra e luce. È un cigno di cristallo. “Parlavi / sussurravi / appena io ho preso il fiore / nel letto della mia / realtà / dove / Piano B si muove / lento accarezza / Ballare ad occhi chiusi e scomparire / Ballare ad occhi chiusi e scomparire dentro”.
Chiude il disco SIG6. Apertura sperimentale, rumore e suono e distorsione, vagamente Alice in Chains prima maniera; l’alchimia del testo è dreampop, psichedelia e rock.
Difficile resistere alla tentazione di tornare ad ascoltare questo disco ancora e ancora. Difficile non auspicare un grande futuro per gli Zoa: nella speranza che il destino possa loro riservare un’etichetta discografica in grado di assecondare i loro talenti, senza imbrigliarli e senza snaturarli.
Intanto, godiamoci questo “La più pallida idea”. Durerà. E, durante i concerti, avremo l’opportunità d’assistere al primo germoglio di questo fiore nuovo: Roma è rock.
ZOA: LA PIÙ PALLIDA IDEA
DANIELE CIAVARRO. Chitarre, voce e synth.
ALESSIO GUARINO. Batteria.
FABIO MELE. Basso.
“La più pallida idea” è stato registrato, missato e masterizzato negli Psychotic Reaction Studios di Velletri, da Davide Canori ed Emanuele “Lele” Rossi.
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INTERVISTA agli ZOA. Rispondono Alessio Guarino e Fabio Mele. Quindi, Daniele Ciavarro.
Mansarda monteverdina, metà giugno 2005.
In un clima di comprensibile entusiasmo e di viva condivisione etilica, sono orgoglioso di potervi presentare, in esclusiva nazionale, gli Zoa.
L’impianto stereo passa da ore “La più pallida idea”. Noi ne abbiamo diverse. Era un pezzo che sognavo di ascoltare un esordio del genere: una band italiana di indie rock, dalle influenze eclettiche ed eterogenee e dal talento decisamente fuori dal comune. Io sono qui col futuro; adesso voi dovrete ascoltare e ascoltare – certamente ne risentirete parlare presto…altrove.
Guardo Fabione, imponente bassista degli Zoa, un metro e novanta abbondanti, classe cristallina. Mezzo sorriso – devo provocare, meglio sondare il terreno. So che è un autentico appassionato di rock. Allora chiedo: da quanto tempo non ascoltavi un disco del genere?
FABIONE: “Ti posso dire che, considerando che si tratta di un disco d’esordio, autoprodotto, d’una band italiana – in tutta onestà, davvero: era parecchio che non ascoltavo qualcosa del genere”.
Accidenti. Spiegami… (Alessio, intanto, mi guarda perplesso: ha in mano due caraffe, brinda all’intervista).
FABIONE: “Perché nelle registrazioni che abbiamo fatto a Velletri credo si sia creato un clima di empatia e di emozionalità che mai, nel corso del mio e del nostro passato, avevo riconosciuto: tra noi, i fonici, l’ambiente, le canzoni. Soprattutto le canzoni. E questo immagino che si senta, si riconosca nel disco: la maturità che abbiamo raggiunto, la consapevolezza di meritare quel che sta accadendo. E poi c’è un’altra cosa. Finalmente, facendo ascoltare i pezzi agli amici, non mi vergogno più di quel che ho creato. Sono io e questa è la mia musica”.
Alessio ha appena poggiato una caraffa; una rimane a pendere dalle sue labbra, inspiegabilmente incollata. Riusciamo – con qualche fatica – a separare queste due creature. Il batterista degli Zoa, playboy della band (micidiale la reazione delle ragazze durante un concerto romano di fine aprile, al Beba do Samba), viene da diverse esperienze. Sessuali e rock. Qual è, Alessio, la differenza tra l’avventura negli Zoa e quella che hai vissuto con altri gruppi?
ALESSIO: “Con gli Zoa il lavoro è stato diverso. In primo luogo perché i pezzi sono originali; in secondo luogo perché abbiamo vissuto un legame empatico. Non sono più un turnista, sento un legame più profondo e viscerale con Daniele e Fabione. È da poco che sono entrato nella band: gennaio. S’è creato un rapporto splendido. Non solo in studio e durante i concerti: abbiamo condiviso tanto, e questa musica che ne è nata è davvero figlia dei gusti e dello stile di tutti e tre; è una perfetta fusione”.
Chiedo a entrambi: qual è il vostro pezzo preferito in “La più pallida idea”, e perché.
ALESSIO: “Davvero difficile da dire. Forse, con ‘Piano B’ – che è la canzone che stiamo ascoltando – siamo riusciti a creare quella fusione di cui ti stavo parlando, e cominciare a (scaraffare) e a forgiare la nostra identità”.
FABIONE: “È davvero…dura”.
Già.
Alessio mi domanda se ho del rosmarino. Purtroppo no, è tutto finito.
FABIONE: “Guarda…sono indeciso tra quattro-cinque canzoni. Io amo alla follia ‘Il mio sospetto’, che penso che sia già adesso il nostro inno. Un po’ come ‘Sonica’ per i Marlene Kuntz. Come dicevi tu: è ipnotica, magnetica, e poi esplode…d’altro lato, c’è questo pezzo che stiamo ascoltando ora, ‘Piano B’, che è figlia di tutti e tre…come diceva Alessio, è nata e cresciuta e s’è fatta fica assieme a noi. E la amo per questo motivo…è figlia nostra, sono assolutamente orgoglioso del nostro progetto proprio per un pezzo come questo…la vera nascita degli Zoa, con Alessio, ha le sue radici qui”.
Pensiamo ai prossimi concerti. State parlando non solo al vostro vecchio pubblico, ma ai nuovi ascoltatori. Invitateli a partecipare, dite loro perché non possono mancare e via dicendo.
ALESSIO: “Ragazzi, non venite perché…comunque sia, non c’è davvero nulla di interessante da sentire e da vedere….senz’altro avrete di meglio da fare: ubriacarvi con gli amici, andare in discoteca e via dicendo. Ma se invece capita che quella sera non avete davvero niente di meglio da fare, fate un salto. A scaraffare con noi”.
FABIONE: “Mi piace pensare che gli Zoa formino un’ideale vagina con il pubblico: nel senso…io e Daniele le labbra, Alessio il tunnel, il pubblico il clitoride”.
Difficile non venire.
Pensiamo alla scena rock italiana. Qualche nome che davvero amate, e che vi sembra impossibile non ascoltare, e qualche nome che davvero vi irrita.
FABIONE: “Adoro alla follia gli Afterhours, in primis Manuel Agnelli, ovviamente: cantante, chitarrista e fuck-totum del gruppo. Il mio sogno nel cassetto è di averlo come produttore artistico del primo nostro vero disco, perché mi sento comunque vicino a lui a livello di approccio col pubblico, di concezione dell’opera d’arte, di tutto, insomma. Mi piace parecchio il cantante dei Verdena, Alberto, per via del suo feeling con la chitarra. Mi piace come suona. E i Baustelle – per la classe che hanno dimostrato creando musica pop con i controcoglioni”.
ALESSIO: “Ascolto poco rock italiano. Sono un amante della musica, in assoluto: non faccio discriminazioni tra i generi. Il mio modo di suonare riflette appunto questa mia fertile ed eclettica essenza, e questo mio approccio”.
Sogno e ambizione degli Zoa, al principio ufficiale della loro carriera.
FABIONE: “Avere un’etichetta e una produzione che non ci snaturi e ci lasci suonare le cose che stiamo creando in questo periodo. Non sogno la luna. Chiedo di poter proporre la mia musica, assieme ai miei amici, di divertirci e fare divertire”.
ALESSIO: “So che siamo al principio del cammino, e non siamo ancora nessuno. Come diceva Fabio, vorrei poter fare musica liberamente. Sarebbe questo il mio sogno. Vivere di musica. Sono un pigro: fare altro mi costa fatica. Fare musica è diverso…”.
Un musicista vero vive un rapporto straordinario con il suo strumento. Fabio mi parlerà del basso, e Alessio della batteria. Mi parlerete di cosa significa per voi, e del perché avete scelto proprio quello strumento.
FABIONE: “Penso sempre al basso come al cuore. Penso al basso come la vibrazione che parte da dentro lo stomaco, si rovescia e passa attraverso coglioni e intestino, arriva al cuore… questo per dirti che ovviamente mi piace il rapporto che si viene a creare con la batteria: guardarsi negli occhi e capire che…prendersi per mano, incollarsi…batteria e basso, la ritmica, sono una cosa sola. Che non può crollare. Come il Colosseo”.
ALESSIO: “La batteria è tutto. Mi ricordo quando la disegnavo alle scuole elementari… è stato un regalo che mio padre ci ha fatto quasi per gioco, in terza. La disegnavo senza saperla suonare. Oggi mio padre maledice quel regalo. In un certo senso, come vedi, non l’ho scelta io: è stata lei a venirmi incontro. Il rapporto è stato sofferto: grazie agli dèi, eccomi ancora qui a suonarla. Rinunciare a molte altre cose, pur di poter suonare la batteria, è stata una scelta di vita travagliata e dolorosa. Ma è quello che il cuore mi ha detto e mi ripete ogni giorno di fare”.
“La più pallida idea” non deve mancare nelle collezioni di chi…
FABIONE: “Sarebbe banale dire di chi ascolta la buona musica: ma sembrerebbe una sviolinata. Mi piacerebbe che questo disco fosse ascoltato da individui onesti e sinceri, in grado di stabilire un rapporto diretto e di poter esternare giudizi e critiche senza venirci a prendere per il culo per farci contenti”.
ALESSIO: “Vorrei fosse ascoltato non solo da musicisti e spiriti rock, in generale; considerando che si tratta di pezzi non sempre spigolosissimi, mi piacerebbe che ascoltatori medi potessero entrare in contatto con la nostra musica e apprezzarla”.
Chi volete ringraziare, in questo momento della vostra carriera?
FABIONE: “Sembrerebbe infantile, ma ringrazio prima di tutto i miei genitori che non mi hanno mai ostacolato, nonostante abbia sempre fatto il possibile per rompere i coglioni – non è facile convivere con una cassa da 100 watt. E poi ringrazio Daniele e Alessio di esserci: altrimenti non saremmo qua, adesso, tutto è grazie a loro – grazie a noi”.
ALESSIO: “Io, come Fabio – e non mi vergogno a dirlo – i miei genitori: Nicola e Maria, che assieme a me hanno vissuto questo rapporto di balsamo e veleno con la musica, e che comunque hanno sempre creduto in me. È grazie a loro che ora sto facendo musica con gli Zoa. E poi…Daniele e Fabione…mi è piaciuto ritrovare Daniele, che ho trovato assolutamente maturato rispetto all’ultima volta (che…), circa tre anni fa: ha una sua personalità e una sua identità completamente al di fuori dei luoghi comuni. E poi Fabio, per quello che è: semplicità, simpatia e… è un grandissimo scaraffatore. È un bassista eccezionale”.
Pausa sigaretta. Finalmente è arrivato Daniele.
DANIELE: “La cosa che più mi ha fatto piacere, leggendo l’intervista di Alessio e Fabione, è stato accorgermi che fossero e si sentissero totalmente liberi nel parlare. Sento un bel respiro, aria davvero pura (e il fumo è buono) nelle loro dichiarazioni.
Noi siamo un power trio: io non intendo avere nessuna posizione di leadership, essere leader non è mostrare; è creare”.
Daniele: come e perché nasce “La più pallida idea”.
DANIELE: “Perché te lo posso dire. Come non so…
Perché ce n’era bisogno. Sembra una battuta ambigua, però ti assicuro che ce n’era bisogno per me. È nato per la gente che si droga…e soprattutto per la droga”.
Naturalmente, si parla di sigarette, caffè, tè, alcolici. E donne. Soprattutto di donne.
Daniele trova queste prime domande – suggerite dalla sex machine della band, Alessio – decisamente spiazzanti; vuole qualcosa di più tranquillo e distensivo. Più da caffè: da caraffa di caffè, insomma. Allora: prime sensazioni, adesso, che il disco è finalmente in uscita. Emozioni, sogni, paure. Avanti.
DANIELE: “I sogni si sa quali siano…quelli di avere i mezzi per poter continuare a esprimerci. A favore di…
Le emozioni sono semplicemente…non so…un riverbero, un riverbero di quel che mi vibra dentro quando suono i pezzi composti dagli Zoa. Di conseguenza, questo riverbero mi dà calore. Paure…sinceramente, non ce ne sono; anche perché non ho avuto paura prima di cominciare a registrare, figuriamoci adesso che l’ho completato…”
Interviene Alessio. Dichiara: “Non so se mi si piega” e poi aggiunge: “Vorrei questo disco fosse la colonna sonora di Paura e Delirio a Las Vegas. Però devi anche mettere che siamo fuori”.
Daniele: clima spirito e caraffe dei mesi dedicati all’incisione di “La più pallida idea”: cosa è cambiato rispetto alle tue precedenti esperienze?
DANIELE: “Sicuramente penso di essere cresciuto come musicista; per la prima volta, ho avuto a disposizione uno studio dove poter creare, in un clima di totale rilassatezza che mi ha permesso di pensare sui brani, e soprattutto sul calore da dare loro”.
La tua amicizia con Fabione e Alessio ha determinato cosa, in fase di creazione artistica? Discussioni o diversa comprensione? Silenzi o divertita condivisione? È stato un limite, in altre parole, o un innesco?
DANIELE: “Innanzitutto, ho sempre considerato Fabione – dal momento in cui l’ho conosciuto, in un periodo abbastanza difficile – un fratello maggiore. Ha molta esperienza, mi è stato vicino e mi ha sostenuto sempre. A parte questo, è ovvio che si è instaurato un feeling, sin dalla prima volta che abbiamo suonato assieme, perché condividevamo gli stessi gusti musicali. Non ci siamo più divisi.
Alessio, invece, è arrivato come sorpresa del 2005. Era già una mia cara conoscenza, e più che la ciliegina sulla torta ha messo la panna…
L’innesco è stato importante e fatale: riconosciamo ad Alessio il merito d’aver contribuito alla risalita degli Zoa”.
Origine degli Zoa: significato del nome, progetto, ambizione.
DANIELE: “Gli Zoa sono una triade carpita da un delirio di William Blake. Potrebbe essere una definizione vaga, ma è pur sempre la triade di un delirio. Il progetto nasce dalle idee che ho sempre avuto: condivise da Fabio, pienamente; adesso anche da Alessio. Punta, come dicevo poco fa, ad un power trio con un’attitudine che possa lasciare la sensazione di cosa può significare la creazione d’un’opera d’arte”.
Daniele va a prendere un posacenere. Fabio e Alessio rumoreggiano.
Daniele: ci racconti cosa significare suonare dal vivo, e suonare dal vivo con gli Zoa?
DANIELE: “Suonare ai concerti è come leccare l’adrenalina, che circola come sudore, e sicuramente evapora. Ovviamente, con gli Zoa significa condividere tutto questo”.
Grandi amori e grande percezione di distacco: nei confronti di quali band, o di quale artista, e perché.
DANIELE: “Sono cresciuto coi dischi di Janis Joplin, dei Led Zeppelin e di Robert Plant. Ho adorato, negli ultimi anni, e ancora…Jeff Buckley. Poi, nell’attuale scena italiana stimo molto gli Afterhours e i Verdena; e ho apprezzato tantissimo la collaborazione di Greg Dulli degli Afghan Whigs con gli Afterhours, essendo stato molto ispirato anche dagli AW. La canzone che avrei voluto scrivere (qui la band comincia a proporre nomi: da Jimi Hendrix a Tim o Jeff Buckley, dai Radiohead in avanti) è Nothing Compares To You…è un ricordo d’infanzia, un pezzo che all’età di dieci anni mi forniva già la chiave per aprirmi dentro e poi chiudermi. È una delle testimonianze di quanto la musica ascoltata tra gli otto e i dieci anni possa influenzare un musicista.
Ho osservato attentamente l’evoluzione degli anni Ottanta negli occhi di mia sorella, contornati di un blu nero liquido. Pensavo fosse la maschera ideale per i miei occhi”.
Gran pezzo, sì. Parliamo adesso del tuo rapporto con la chitarra. Quando hai cominciato a suonare? Quando hai sentito, davvero, un legame d’appartenenza carnale con lo strumento?
DANIELE: “Suono da quando avevo otto anni. Fondamentalmente vengo da lei,(Alessio rumoreggia): la chitarra mi ha formato come musicista e persona. Ovviamente, ho imposto io le regole. È stata un po’ come una convivenza, che ti fa capire davvero il senso di perché ti trovi lì seduto a suonare, anziché…per il resto, è la carta igienica a provvedere a tutto”.
Voce. Segreto del tuo talento: anima, esercizio, dedizione, istinto?
DANIELE: “Può sembrare scontato…innanzitutto, anima. L’esercizio è costante. L’istinto…è istinto. Basta non avere paura di lui. Dedizione è inconscio”.
Infine: chi senti di ringraziare?
DANIELE: “Ringrazio i miei genitori, in quanto sostenitori principali del mio progetto. Mi hanno accompagnato la prima volta a cantare, in un festival, quando avevo quattro anni: e si sa, le luci di un palco portano calore”.
Grazie, Zoa. Avanti così. Gli Zoa vogliono salutarmi per la mansarda, le scaraffate assieme e per l’amicizia e il bambino che sta nascendo. Assieme – dice Fabione – faremo scopare poesia e rock. Vero.
BIODISCOGRAFIA ESSENZIALE e BREVI NOTE
La più pallida idea, EP, autoprodotto, 2005.
Daniele Ciavarro, nato a Roma nel 1978 e vissuto in Molise per parecchi anni, è un chitarrista di formazione rock, conosciuto nella capitale per via di una serie di concerti “one man band”. Prime fonti d’ispirazione, Jeff Buckley, Janis Joplin e Thom Yorke.
Alessio Guarino, nato a Termoli (Campobasso) nel 1979, vive a Roma dal 2001. Collabora con diverse formazioni musicali, di vario genere: è un batterista eclettico – o almeno, questo è quel che vorrebbe essere.
Fabio Mele, nato a Roma nel 1976, vissuto sempre nella Capitale – spera un giorno di poter contribuire a farla divenire la Capitale della Scena Rock. Ha collaborato con diverse formazioni, a partire dal 1992: successivamente, ha trovato la sua casa negli Zoa.
Approfondimento in rete:
ZOA – SITO UFFICIALE http://www.zoasite.com/