KULT Underground

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Intervista a Crackerjack

15 min read

 
Comunicato stampa di Paola Conforti
Casiumani www.casiumani.it 
 
ABOUT THE HEAD
binaural music experience
 
sabato 27 e domenica 28 marzo 2010
Università degli Studi di Milano – via Festa del Perdono 7
spettacoli alle ore 16.00 – 17.30 – 19.00
ingresso gratuito – posti limitati, prenotazione consigliata
 
“Da venticinque secoli la cultura occidentale cerca di guardare il mondo.
Non ha capito che il mondo non si guarda, si ode. Non si legge, si ascolta.”
 Jacques Attali
 
Qualcosa di nuovo. È ciò che nasce quando realtà diverse cominciano inaspettatamente a interagire. Quando i Crackerjack, giovani musicisti rock, cresciuti nell’underground, si trovano a frequentare un laboratorio dove si sperimentano tecnologie applicate alla musica. Quasi per caso, un’idea nata tra una sala prove e una tesi di laurea arriva a un centro di produzione che ha fatto dell’innovazione in musica la sua missione. Qualcosa si accende. L’idea prende corpo. Nasce qualcosa di completamente nuovo. Questa è, in breve, la storia di About The Head. About The Head. Letteralmente, “circa la testa”, oppure “intorno alla testa”: già dal titolo l’ambiguità si presenta come uno dei concetti portanti di questa esperienza binaurale. Un nuovo modo di pensare e vivere l’esperienza di un concerto live, in cui lo scopo ultimo è riuscire a creare un nuovo spazio acustico in cui ogni ascoltatore è al centro, immerso in un universo di stimoli sonori e musicali, un universo intimo e sorprendente, che abbatte la barriera concettuale che si crea con l’opposizione di palco e platea. La “testa” del titolo è uno strumento di laboratorio che riproduce realisticamente le condizioni di percezione del suono: un manichino (dummy head), dotato di orecchie artificiali e microfoni ad alta fedeltà. Così come nel cinema 3D due telecamere accoppiate riproducono la visione stereoscopica restituendo l’immagine come la vede l’occhio umano, il suono captato dalla dummy head viene restituito con tutte le sue caratteristiche spaziali (distanza, posizione sull’asse orizzontale e verticale).
Da due musicisti del collettivo Crackerjack – Arbër Misa e Francesco Vitale – nasce così l’idea di sfruttare a fini artistico-emozionali le potenzialità tecniche della testa (utilizzata già da alcuni anni per registrazioni in studio) per esplorare per la prima volta una modalità di live performance e di ascolto della musica totalmente innovativa, che coinvolga l’ascoltatore in una maniera completamente differente rispetto ai normali concerti, facendogli scoprire la ricchezza della sua percezione sonora.
Durante la performance la musica, composta appositamente per creare effetti tridimensionali e avvolgenti, sarà eseguita con strumenti acustici intorno alla dummy head, che raccoglierà e riproporrà a ciascuno spettatore la musica, tramite un sistema di cuffie wireless, esattamente come la percepirebbe se si trovasse al centro del palco. Il progressivo avvicinarsi e allontanarsi dei musicisti dalla testa artificiale impatterà sulla sfera percettiva ed emotiva degli ascoltatori, attivando una realtà di emozioni interiori. L’effetto per ciascuno spettatore sarà quello di sentirsi per la prima volta al centro del palco, immerso nel suono: questo lo porterà a comprendere la differenza tra udire e ascoltare, tra una mera percezione quantitativa dei suoni e una più profonda percezione qualitativa. Come acqua che scaturisce da una fonte, la musica si stacca dalla sorgente sonora, insegue e travolge l’ascoltatore, costringendolo ad “ascoltare”. About The Head è indirizzato a chi vive la musica come un’esperienza totalizzante, a chi non solo la sente nelle vene e nella pancia, ma la percepisce anche “di testa”.
Il linguaggio di About The Head è quello della musica pop. Le melodie, le armonie e i ritmi sono semplici, immediati, volutamente naif. Questo perché la musica, linguaggio universale per antonomasia, deve “parlare” al più ampio pubblico possibile, senza esibire il virtuosismo fine a se stesso.
L’utilizzo di strumenti acustici e di materiali direttamente attinti alla quotidianità (come scatole, barattoli, tubi, pentole, ma anche radioline, strumenti giocattolo e tutti i piccoli protagonisti dell’universo sonoro che ci circonda nella vita di tutti i giorni) e all’eliminazione di qualunque “intermediario elettronico” (riverberi, effetti, processori elettronici) sono la concretizzazione dell’idea di una musica più umana, personale e vicina all’ascoltatore.
Gli spazi dell’esibizione sono costruiti per attivare una realtà di emozioni interiori; la penombra, che caratterizza la performance, permette di enfatizzare la percezione spaziale uditiva a discapito di quella visiva. La musica diventa lo strumento con il quale percepiamo la realtà, agisce sul nostro inconscio e suggerisce immagini. Come in un gioco di specchi il concetto di centro si perde: chi è al centro? I musicisti oppure il singolo ascoltatore, avvolto dalla musica? E’ tutto intorno alla testa, quindi, ma quale? La testa artificiale, posta al centro dello spazio, o quella di ciascun ascoltatore, posto al centro della musica?
Al singolo spettatore il compito di rispondere.
 
 
Intervista.
L’olofono è stato inventato e brevettato nel 1983 dal produttore discografico e tecnico musicista Umberto Maggi. Si tratta di un sistema di registrazione ambientale effettuato attraverso una testa artificiale detta appunto “olofono”.
In questa testa di manichino, ricoperta di un materiale assorbente simile a pelle umana, nelle orecchie al posto dei timpani, sono posizionati due microfoni ad alta sensibilità. Il suono viene quindi registrato su un registratore DAT (digitale) sui due soliti canali stereofonici, ma in riproduzione il suono risulterà non soltanto circolare, ma totalmente avvolgente, esattamente come percepiamo i suoni in natura (destro, sinistro, davanti, dietro, sopra, sotto, vicino-lontano, dentro o fuori dalla testa, quasi da credere, per esempio, che il suono di una pallina di carta lanciata cada per terra dietro di noi in un punto preciso a un metro o due metri, che un paio di forbici ci stiano davvero tagliando i capelli tutt’intorno la testa o, ancora, che la voce di qualcuno si avvicini a noi passando dalle nostre spalle fino all’orecchio, facendosi un sussurro così intimo che sembra di sentire perfino il calore dell’alito). In sostanza l’olofono simula le dinamiche d’ascolto dell’orecchio umano. Ascoltando il segnale d’uscita attraverso una buona cuffia chiusa si ha quindi una sensazione quasi identica a quella che si ha ascoltando direttamente con la propria testa. L’olofonia può essere percepita con il solo ascolto in cuffia, ma qualunque impianto e qualunque cuffia normalmente stereo possono regalare questa emozione. (D.R.)
 
Questa è una piccola galleria di registrazioni binaurali:
 
CRACKERJACK
I componenti del collettivo sono Luca Marella, Arbër Misa, Francesco Palmisano, Salvatore Salerno e Francesco Vitale, cinque eclettici musicisti che gravitano dal 2003 intorno alla scena underground milanese, riuniti sotto il nome di Crackerjack. La loro musica tende ad esplorare tutte le possibili direzioni all’interno del linguaggio della popular music, spaziando tra folk e sperimentazione, elettronica e rock di matrice britannica, alla continua ricerca di un suono che riesca a coniugare aspetti estetici e di ricerca compositiva con quelli intrattenitivi tipici della musica pop. La loro formazione musicale è stata inoltre fortemente influenzata dagli studi svolti nel corso di laurea in Scienze e Tecnologie della Comunicazione Musicale presso l’Università degli Studi di Milano e dalle ricerche svolte presso il LIM.
AGON
AGON è un centro di ricerca e produzione musicale fondato a Milano nel 1990 e rappresenta un punto di riferimento nell’ambito della musica contemporanea e delle nuove tecnologie applicate alle performing arts, avendo realizzato oltre 300 produzioni fra concerti, installazioni multimediali, colonne sonore, festival e rassegne.
A partire dal 2008 AGON ha scelto di scommettere su alcuni progetti di giovani artisti, tra i quali About The Head, mettendo a disposizione di questi talenti la sua ventennale esperienza nella produzione di eventi e spettacoli.
LIM
Attivo dal 1985, il LIM (Laboratorio di Informatica Musicale) è uno dei principali laboratori di ricerca del Dipartimento di Scienze dell’Informazione dell’Università degli Studi di Milano. Sotto la direzione del prof. Goffredo Haus, fondatore del laboratorio e pioniere dell’informatica musicale in Italia, il LIM opera nel campo della ricerca pura ed applicata in campo acustico e musicale.
Tra i suoi progetti più importanti sono da ricordare la digitalizzazione dell’archivio del Teatro all Scala di Milano e del Teatro Bolshoi di Mosca, oltre allo sviluppo di un nuovo standard IEEE per la fruizione avanzata di contenuti multimediali.
All’interno del progetto About The Head, il laboratorio ricopre un ruolo di consulenza scientifica e supporto tecnologico, svolto da Davide Andrea Mauro, laureato cum laude in Tecnologie Informatiche per la Comunicazione, dottorando e ricercatore nell’ambito della psicoacustica presso il LIM dal 2006.
 
Davide
Ciao. Ho letto che il progetto “About the head” è nato dall’iniziativa di Arbër Misa e Francesco Vitale. È corretto rivolgermi a voi ancora come Crackerjack rispetto a “About the head”? Chi ci sarà sul palco a suonare e chi dietro?
 
Crackerjack
Assolutamente Crackerjack. L’idea è partita da due di noi ma la realizzazione artistica è stata portata avanti dal collettivo al completo. Tra di noi ci è sembrato giusto riconoscere pubblicamente il merito a chi ha portato l’idea.
Sul palco saremo tutti e cinque, anche se non è previsto un vero e proprio palco: suoneremo in uno spazio quadrato di quattro metri per quattro, con la testa al centro, senza una separazione netta tra noi e il pubblico. Volevamo realizzare qualcosa che desse non solo una sensazione avvolgente, ma anche di intimità.
Una precisazione: a quanto ci risulta, “olofono” è solo un particolare modello di dummy head (testa artificiale), come ne esistono molti altri. Noi preferiamo usare il termine generico, o tutt’al più il nomignolo della dummy head che utilizziamo noi: Scipione.
 
Davide
Ma la funzione è sempre quella di un olofono, cioè un microfono olofonico appunto. Cos’è il collettivo artistico Crackerjack, quando e come è nato, chi vi fa parte o collabora e cosa si prefigge?
 
Crackerjack
Abbiamo cominciato a suonare insieme alle scuole superiori – parliamo dei primi anni Zero – sotto l’influenza dei Pink Floyd, dei Radiohead, dei Muse e dei Beatles. Da allora, piano piano, abbiamo maturato una certa insofferenza verso la forma della semplice rock-band, rendendoci conto che tale definizione ci andava un po’ stretta. Siamo cinque polistrumentisti, alcuni dei quali  scrivono racconti e poesie, il nostro “bassista” è anche un fotografo con velleità da videoartista, il nostro “batterista” è un percussionista ma anche un sound-designer e un grafico, tutti e cinque scriviamo musiche di generi diversi… Allora abbiamo deciso di definirci un collettivo, senza porci i confini canonici del gruppo rock. Il nostro obiettivo principale resta quello di produrre musica originale e fresca e poterci permettere scarpe costose.
 
Davide
Fino ad oggi l’olofonia è stata relegata soprattutto alla registrazione sperimentale di effetti sonori, poiché non è sicuramente agevole far girare intorno alla testa dell’olofono gli amplificatori degli strumenti elettrificati, né tanto meno si può creare un effetto olofonico collegandosi al banco di regia senza passare da una registrazione ambientale con l’olofono. È tuttavia possibile creare una registrazione musicale olofonica con degli strumenti acustici. Come siete arrivati a sviluppare questa idea?
 
Crackerjack
Tutto parte dalla dummy head, da cui il titolo About The Head, con il gioco di parole sull’ambivalenza di “about=a proposito di / intorno a“: la scintilla è scoccata nel 2008 durante le ricerche per tesi di Arbër con alcune registrazioni in laboratorio – il LIM, Laboratorio di Informatica Musicale dell’Università degli Studi di Milano, dove Scipione è stato costruito e dove viene utilizzato per test audiometrici. Lì abbiamo sperimentato per la prima volta l’audio binaurale e ne siamo rimasti affascinati: ci siamo subito chiesti come uno strumento del genere potesse essere impiegato come mezzo espressivo.
Ne abbiamo discusso a lungo ed è emersa l’idea di realizzare una performance live binaurale, con musiche composte appositamente per valorizzare gli aspetti spaziali del suono. Inizialmente avevamo pensato a un cd, ma ci è parsa subito un’idea banale, già sentita: volevamo il coinvolgimento totale dell’ascoltatore, e tale possibilità aumenta esponenzialmente se la musica è prodotta live.
Quando avevamo un’idea abbastanza chiara su cosa volessimo fare ne abbiamo parlato a Goffredo Haus, direttore del LIM. L’idea gli è piaciuta e ci ha concesso l’uso della dummy head. Intanto avevamo presentato il progetto ad AGON, centro di ricerca e sperimentazione musicale di Milano, attivo da vent’anni specialmente nell’ambito della musica contemporanea e delle arti multimediali. Nonostante la nostra chiara vocazione pop l’idea è piaciuta anche a loro e ci hanno concesso uno spazio per sperimentare e sviluppare in concreto la nostra idea, oltre al supporto organizzativo per realizzare la performance.
 
Davide
Cosa proporrete musicalmente intorno all’olofono? Quali strumenti musicali e che genere di musica?
 
Crackerjack
Quasi unicamente strumenti acustici. Prevalentemente oggetti attinti dalla quotidianità: scatole, bottiglie, utensili, radioline. Usati però come strumenti musicali, non solo come effetti sonori. Poi chitarre acustiche e tastiere giocattolo. Ci piace molto il suono delle tastiere giocattolo.
La musica potrebbe essere definita spannometricamente “pop”: pezzi brevi, tendenzialmente con un cantato lead e delle armonizzazioni vocali di sostegno, molta attenzione agli intarsi ritmici, immediatezza, un voluto piglio naif. È il genere musicale all’interno del quale ci muoviamo: ci ispiriamo in particolare al pop anglosassone – infatti cantiamo in inglese.
 
Davide
Una cosa interessante è che finora, con l’olofono, hanno sperimentato “dignitari” e pezzi da novanta della musica come Herbert Von Karajan, Pink Floyd (Final Cut), Jon Anderson e Peter Gabriel… Che cosa provate rispetto a questi “precursori”? Cosa sapete di altre sperimentazioni con l’olofono e in che modo vi hanno influenzato in questo progetto?
 
Crackerjack
Ci approcciamo a tutte queste importanti figure con una sorta di “rispettosa ignoranza”, serena ma non per questo compiaciuta. Nel lavorare alle musiche abbiamo cercato di seguire un approccio che fosse il più possibile nostro, influenzato fondamentalmente dalla nostre personali reazioni, come ascoltatori e come musicisti, all’impatto con l’audio binaurale, e con la possibilità di “giocarci”, quindi oltre che un po’ di invidia e tanta, tantissima stima, nei loro confronti non proviamo altro, dal punto di vista olofonico.
Non abbiamo ritenuto utile ai fini del nostro progetto approfondire in modo troppo rigoroso la conoscenza su cosa fosse stato realizzato in ambito di registrazioni in studio: sapevamo  che la dummy head era già stata usata da altri in studio, ma la cosa ci interessava relativamente, dato che le nostre intenzioni andavano da tutt’altra parte.
Abbiamo piuttosto cercato di lavorare alle musiche concependole fin dall’inizio in virtù del contesto live in cui le avremmo eseguite e proposte, e cercando il più possibile di pensare strumenti, suoni ed eventi sonori in termini di posizione spaziale, distanza dalla dummy head e movimenti, e di fare questo lavoro non solo in fase di arrangiamento o “missaggio” – ci è piaciuta l’idea di poter realizzare un missaggio umanizzato, ad opera del musicista che fisicamente si sposta mentre sta suonando, invece che del tecnico che normalmente si situa in mezzo alla catena che separa l’atto del musicista dalla fruizione dell’ascoltatore –, ma anche nella primissima fase di creazione di una musica, cercando cioè di sfruttare idee e suggestioni legate ai suoni spazializzati che stavamo sperimentando come nuclei generativi da cui far partire la composizione.
 
Davide
Secondo Maggi l’olofonia potrebbe avere un futuro migliore di quello più strettamente musicale in campo medico e in musicoterapia, potendo rivoluzionare i test audiometrici oppure, potenziare il funzionamento di alcune aree cerebrali, con effetti distensivi e antistress, contro l’insonnia o per predisporre all’ipnosi. Qual è esattamente la vostra finalità verso il pubblico della vostra performance binaurale?
 
Crackerjack
Le dummy head vengono effettivamente utilizzate da decenni come strumenti di laboratorio, in campo psicoacustico in particolare. Da figli del consumismo quali siamo, avevamo anche pensato ad applicazioni nel campo del cinema 3D o dei videogiochi, ma in questi casi finché non si muove la grande industria rimangono solo interessanti ricerche e speculazioni.
Del resto negli anni ’80 c’era chi sosteneva che l’utilizzo di quei cartoncini che se li gratti senti profumi e puzzette avrebbe impresso grandi progressi nel campo dell’aromaterapia e contruibuito ad allentare le tensioni sociali, ma più di vent’anni di sperimentazioni e ricerche fallimentari, insieme al recente scandalo degli Skifidol avvelenati, ci inducono ormai a dubitare fortemente della loro effetiva utilità per scopi cosi alti. Ciò non toglie che rimangano davvero spassosi. 🙂
Noi con la nostra perfomance speriamo soprattutto di coinvolgere gli ascoltatori in un’esperienza di ascolto sorpendente, divertente e, ci auguriamo, trascinante.
 
Davide
L’ascolto in cuffia è imprescindibile: l’olofonia può essere percepita solo così. Un concerto ascoltato con le cuffie dal pubblico è un’esperienza del tutto inedita… è tutta un’altra percezione del suono. Come avverrà esattamente e tecnicamente la performance? Quanti (e come) potranno parteciparvi?
 
Crackerjack
Sarà uno spettacolo per poche persone alla volta, tra le venti e le cinquanta persone per replica, sia per ragioni estetiche che tecniche. Al centro del piccolo palco, in un ambiente molto raccolto, ci sarà Scipione. Inizialmente pensavamo di dotare il pubblico di cuffie wireless, ma la tecnologia non sembra essere ancora matura per un’applicazione che richiede una tale risoluzione del suono. Stiamo risolvendo in questi giorni gli ultimi inconvenienti tecnici: è una cosa completamente nuova, e in quanto tale non si sa mai cosa può accadere.
La performance sarà gratuita e avrà luogo nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano, il 27 e il 28 marzo, con più repliche al giorno. Visti i pochi posti e sperando in un travolgente successo della nostra proposta, noi consigliamo di prenotarsi…
 
Davide
E’ prevista una registrazione dell’evento per realizzarne un cd?
 
Crackerjack
Stiamo valutando l’idea. Il problema è: chi compra più i dischi? Come fare a mantenere la gente legata all’oggetto cd?
Una risposta potrebbe essere: curare intelligentemente la realizzazione del packaging… ad esempio utilizzando quel cartoncino che se lo gratti senti profumi e puzzette, ma questa è solo un’idea tra tante. 🙂
 
Davide
Un centro d’avanguardia nella ricerca acustica è quello della Wright Patterson Air Force a Dayton, Ohio (USA), dove si trova una sfera geodesica del raggio di 5 metri, composta da 277 altoparlanti e situata in una camera anecoica. Lo scopo degli esperimenti che vi si svolgono è quello di far percepire un’immagine sonora virtuale, sincronizzando in maniera appropriata gli altoparlanti, a chi si trovi al centro della sfera. Qui l’ascoltatore localizza le immagini sonore al punto da percepirne perfino una precisa estensione e forma spaziale, come un punto, un uovo o un pallone sonoro. Una forma di suono che può spostarsi ovunque fino all’interno della testa di chi ascolta pur senza l’uso di cuffie. Come immaginate voi l’ascolto ideale del futuro, “fantascienza” inclusa?
 
Crackerjack
Visto che hai accennato di fantascienza, è interessante notare come la tecnologia applicata alla musica abbia raramente un aspetto positivo nella letteratura fantascientifica: basta pensare alle “conchiglie” in Farenheit 451, che poi sono l’equivalente dei nostri iPod, e che servono principalmente per isolarsi e rinchiudersi in se stessi, o agli “Orgy Porgy” nel Mondo Nuovo di Huxley: delle funzioni religiose con accompagnamento musicale che non sono altro che dei deliranti rave autodistruttivi… e stiamo parlando di libri della prima metà del XX secolo… per ora potremmo dire che ci hanno azzeccato in pieno. Noi siamo abbastanza pessimisti sul futuro dell’ascolto: come si può godere di un bel brano di musica, quale essa sia, in un paesaggio sonoro devastato come quello in cui viviamo oggi senza necessariamente alienarsi? Per quanto ci riguarda, ben vengano caschi, cuffie, camere anecoiche e sfere di altoparlanti. Si può inventare di tutto, l’importante è trasmettere messaggi e soprattutto emozioni.
Pensando invece a possibili sviluppi più legati all’audio binaurale in musica, se non ci siamo persi qualcosa le registrazioni binaurali non sono mai state usate in modo massivo nel pensare spazialmente il missaggio di un brano. L’uso solitamente si è limitato ad alcuni effetti, o a rendere avvolgenti alcuni suoni in particolare.
La possibilità di una produzione curata in modo totalmente binaurale, ovviamente tramite registrazione in multitraccia e con una nuova generazione di software che sfruttino HRTF (funzioni di trasferimento head-related) sempre più realistiche potrebbe essere una prospettiva intrigante. Sarebbe anche una bella sfida riuscire a effettuare delle riprese binaurali soddisfacenti di strumenti elettrici, posizionando gli amplificatori nel giusto ambiente, alla giusta distanza dalla dummy head e con i giusti settaggi. Sarebbe interessante creare per un album l’equivalente di quello che i film in 3D ora rappresentano per il cinema. Magari con il supporto di una nuova generazione di cuffie “intelligenti” dotate di sensori di pressione e di rototraslazione per rendere ancora più realistica l’esperienza. Ma fintanto che sono intelligenti solo le cuffie e non il mondo in cui si vive, c’è poco da fare.
 
Davide
State facendo o progettando altro?
 
Crackerjack
Un sacco di cose. Speriamo che qualcuna di esse prenda corpo… In particolare andremo avanti a sviluppare il progetto About The Head nelle varie direzioni che questo anno di esperimenti ci ha suggerito, ma contiamo anche di riprendere la nostra attività “elettrica” come formazione più rock, che abbiamo un po’ trascurato nell’ultimo anno per concentrarci sulle ricerche di About The Head
 
Davide
Grazie e… à suivre.
 
 

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