Uno sguardo freddo e lucido, come quello della protagonista, immobilizzata su una sedia a rotelle, che osserva il crudo squallore di un luna park della spiritualità, un luogo in cui si vendono miracoli a poco prezzo. Uno sguardo congelato in inquadrature fisse, in cui vengono spinti corpi sofferenti in cerca di una guarigione, da una inquadratura all’altra, a ricostruire un mosaico di sacra mediocrità. La grotta, la piscina, la stanza da letto, la sala da pranzo, gli esterni in cui farsi fotografare. Lourdes è la testimonianza di quanto la religione cattolica sia diventata l’espressione di una fede simile ad una lotteria della salvezza, in cui più sono i pellegrinaggi, le preghiere, le confessioni più sono le probabilità di ottenere la grazia, il miracolo.
Un insieme di persone che non forma mai una vera comunità, in cui rimangono intatti solo gli egoismi e le invidie, in cui non ci si stringe intorno ad una donna per aiutarla ma solo per provarne invidia. Le domande fatte al prete e le sue risposte svelano una pochezza spirituale agghiacciante e quell’unico istante di felicità ottenuta si disperde subito dopo tra le devastanti note di una canzone da sagra paesana.
Jessica Hausner fotografa in maniera impietosa lo stato del credere moderno, le falsità manifeste di una religione che non ha più niente da insegnare, se non la ripetizione di stanchi quanti inutili rituali. Lourdes è un parco a tema per vecchi e malati, in cui si cerca di spacciare la guarigione e la felicità, dove la solitudine di ognuno è ancora più evidente, proprio quando il compito della religione sarebbe quello di unire gli uomini e le donne, se non a Dio, per lo meno ai propri simili.