KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Ecolallaliche e Il dolce cammino

4 min read

Ecolallaliche – Faraòn Meteosès
prefazione di Fabrizio Patriarca
intervento critico di Sandro Montalto
postfazione di Marcello Carlino
Arduino Sacco (Roma, 2009), pag. 130, euro 15.00
 
Il dolce cammino… – Faraòn Meteosès
 
fotografie di Fabrizio Buratta
introduzione di Plinio Perilli
prefazione di Eugenio Costantini
nota critica di Ugo di Toro
postfazione di Luca Cremonesi
Aracne (Roma, 2009), pag. 102, euro 16.00.
 
Con Faraòn Meteosès c’eravamo lasciati nella sua meccanica poetica, nonostante questo sia tutt’altro che il destino di concepimento del poeta, ponendoci fuori (quindi dentro) la silloge “Psicofantaossessione”. Stefano Amorese, questo ricordiamo è infatti il vero nome dell’autore romano, continua a stare “contro i conservatori”: proponendo – ovviamente – la sua forma di lotta costante e cocente. Il poeta continua a incantare, soprattutto critici molto attenti. Tra questi, uno su tutti, il mai giustamente consacrato Plinio Perilli. Per “Il dolce cammino…” infatti il critico concede, con gioia, passaggi davvero in grado d’analizzare buona parte della poesia, a tratti fortemente innovatrice o comunque di spirito innovatore come matrice d’innovazione, di Meteosès. Ma è il caso, d’altronde, di spiegare e illustrare meglio e al meglio analogie e differenze fra le due ultime e recenti pubblicazioni d’una delle più istrioniche penne di Roma e forse non solo. “Il dolce cammino…” è essenzialmente un dialogo composto col fotografo Buratta; dove il poeta, facendo specchio, in pratica, descrive ma allo stesso tempo riscrive e inscrivere versi per le immagini. La sequenza fotografica, dunque, incontra la sequenza di poesie. Il paesaggio portato alla luce, naturalmente, è quello naturale, quindi tutta l’artificialità di questi tempi che fanno sconti alle morti sul lavoro e ai tanti lavori vergati di sfruttamento. Chiaramente, in queste terre, Amorese, con un filo più sottile del solito e con la stessa oratoria, agita le sue parole. Il racconto, perché in questo caso soprattutto di fronte a questo siamo, spiega una serie di temi ai quali lettrici e lettori dovrebbero sputare quando li incontrato su certi giornali. Mentre il fiato di Faraòn Meteosès, fatto tutto di scoperte sconvolgenti o quasi, riesce a donare senza maldicenze di contro. “Ecollalaliche”, invece, se fosse un poema sarebbe il poema della vita dell’autore. Anzi il poema della ‘non vita’ (ci permettiamo questa lussuosa definizione), in quanto a priori il poeta ha deciso di investire per accaparrarsi panni diversi dalla quotidianità. Ma, e al di là del Nome d’Arte, sconfiggendo la retorica della quotidianità-normalità-ritualità, ricorrendo agli stessi strumenti di questa. Però, è ovvio, smussando frecce e registrano il sentimento di certi cori, mescolando la voglia suprema di giocare con la voglia insolente di sconsolare. Eppure, è con “Ecolallaliche” che l’autore raggiunge il livello massimo che gli abbia mai ascoltato. Che, sappiamo, lo strofinamento di righe di caos vessate dalle giostre d’esternazioni tutte imposte e non da chi legge o chi scrive, spiana la strada dell’urlo di protesta. Per sua stessa ammissione, sempre giocosa, non si dimentichi, Faraòn ha maestri che sconfessa puntualmente quando si mette di testa nella pagina da avvampare. La capacità più grande di Faraòn Meteosès, è anche questo non deve esser scordato, è quella di farlo buono a sghignazzare nel momento che la sua abilità recita messaggi importanti con figure strabiliate fatte di parole.

Altri articoli correlati

Commenta