Tra le nuvole. In aereo. Miami. San Francisco. Omaha. Una vita sempre in movimento. Un lavoro che significa toglierlo agli altri. Perversioni del capitalismo moderno. Annunciare licenziamenti. Le giuste parole. Una storiella da raccontare. Ripetuta e perfezionata.
Ryan Bingham vive in stanze d’albergo, quando non viaggia in aereo. Licenzia le persone al posto di quei capi che non hanno il coraggio di farlo. Tiene conferenze in cui parla di come non portarsi niente dietro, di come fare a meno degli altri. La vita di Ryan sembra speculare a quella del protagonista di Fight Club. I voli. Gli aeroporti. Le ore guadagnate con il check-in. Quelle perse.
Mentre il protagonista di Fight Club cercava di liberarsi da questo stile di vita, Ryan sembra aver trovato nei suoi meccanismi una funzionalità esistenziale e lavorativa che lo appagano. Ryan perfeziona il suo modo di vivere. Lo trasforma in un modello. Negli spazi vuoti del suo mestiere trova la sua libertà.
In questa simbiosi tra vita e lavoro, dove le emozioni riescono a manifestarsi solo nell’impossibile utopia di amori clandestini, dove i rapporti umani si riducono ad un’ipocrita farsa, viene alla luce la drammaticità del vivere contemporaneo, ormai corrotto dal denaro e dalle nuove forme di comunicazione tecnologica, in cui sembra non esserci più posto per relazioni umane senza interesse.
Jason Reitman narra attraverso uno stile che amalgama uno sguardo da cinema indie, macchina a mano, ad improvvise accelerazioni di montaggio, mostrando ironicamente la solitudine di tutti i personaggi, solo piccoli ingranaggi di un meccanismo pronto a fagocitare uomini e donne nel nome del capitale. Ci si inganna e si viene ingannati. Ci si sfrutta e si viene sfruttati. Mentre le miglia di volo si accumulano fino al punto in cui un uomo diventa solo le master card che possiede, una parentesi aperta e subito chiusa tra una stanza d’albergo e un’altra.