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Intervista con Andrea Corona

12 min read

Parliamo delle launeddas con uno dei massimi esperti in Italia: il professor Andrea Corona.
Le launeddas sono uno strumento musicale policalamo, cosiddetto perché composto di tre canne, ad ancia battente. E’ originario della Sardegna. Grazie alla respirazione circolare, la canna più lunga e dal suono più grave detta basciu o tumbu, serve a suonare una nota ininterrotta di accompagnamento ovvero bordone. Le altre due canne, mancosa manna e mancosedda, suonano accompagnamento e melodia; una è controllata dalla mano destra, l’altra dalla sinistra. Le launeddas quindi sono uno dei rari strumenti musicali a fiato in grado di produrre una polifonia (huaca, armonica a bocca, melodica e pochi altri). L’accordatura dello strumento dipende dall’ancia più o meno appesantita o alleggerita con la cera d’api.
Le launeddas sono uno degli strumenti musicali più antichi di cui siamo a conoscenza. Un famoso bronzetto itifallico rinvenuto a Ittiri (Sassari), riproduce un probabile launeddista d’epoca nuragica e risale all’VIII – IX secolo avanti Cristo. Fino ad oggi la musica per launeddas si è tramandata da maestro ad allievo per tradizione orale. Dopo un periodo di popolarità internazionale a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 del Novecento, le launeddas oggi stanno attraversando una fase critica. Molti grandi suonatori del passato sono mancati nel corso del secolo scorso e i suonatori in attività si stanno riducendo. Il che, per  una tradizione di conservazione e trasmissione orale maestro-allievo come quella delle launeddas, potrebbe (ma ci auguriamo non succeda mai) condurre all’estinzione di questa antichissima tradizione; o quanto meno a una significativa riduzione di questo vasto patrimonio letterario orale, sia delle suonate, sia delle tecniche costruttive.
 
Andrea Corona, flautista e compositore, ricercatore presso il Parco Tecnologico di Sardegna Ricerche a Pula, Cagliari,  sta svolgendo un pregevole e prezioso lavoro etnomusicologico rivolto alle launeddas, la cui complessa sonorità è ben spiegata e illustrata nel servizio-intervista che si può ascoltare su Moebius on line alla seguente pagina:
 
Una delle cose più interessanti qui esposte è un particolare software, realizzato dal prof. Corona insieme a una équipe di informatici ed elettronici, che è in grado di analizzare visivamente le note suonate dalle launeddas. La sonorità di questo strumento è infatti così ricca da non poter essere trascritta esattamente attraverso una normale trascrizione musicale. Tutte le trascrizioni compiute nel Novecento, come quelle compiute dall’etnomusicologo danese Andreas Fridolin Weiss Bentzon,  non sono esaustive per l’annotazione e la comprensione della complessa sonorità delle launeddas e delle sue molte note di brevissima durata, la cui esecuzione è patrimonio della tecnica strumentale del maestro.
 
 
 
Davide
Buongiorno Andrea. Per intanto Com’è nato il tuo interesse per le launeddas e come sei arrivato a ideare questo particolare strumento di lettura del loro suono?
 
Andrea
Buongiorno. L’interesse per le launedda-s è nato per caso. Bisogna premettere che, per quanto la cosa possa risultare assurda e paradossale, le launeddas per un musicista sardo non godono di un particolare interesse. La nostra cultura, in generale, è vissuta, da noi sardi, con molta superficialità e indifferenza. Io stesso, provenendo da una cultura classica, vivevo con distacco e persino con fastidio questa cultura musicale arcaica: era un fenomeno scomodo, un qualcosa di cui vergognarsi. Era il 1998 quando, organizzando una manifestazione musicale per gruppi a Cagliari, fui contattato dall’Associazione “Cuncordia a Launeddas”, che mi chiese di poter partecipare all’evento. Cercai di spiegare, senza divenire maleducato, che si trattava di una serie di concerti riservati a musicisti professionisti, non a dei dilettanti. Tuttavia il loro direttore artistico, insistette e mi convinse a fissare un incontro per mostrarmi ciò che facevano. Andai all’incontro e li sentii suonare. Inutile dire che fu, per me, amore a prima vista: rimasi letteralmente incantato. Era ormai chiara la sensazione che in tutti gli anni in cui mi ero dedicato allo studio della musica, mi ero perso qualcosa. Ancora oggi sono grato a questi “dilettanti” per avermi fatto capire l’importanza e lo spessore artistico e culturale di questa musica. Fui tanto colpito ed entusiasta che mi misi persino a suonare le launeddas, seguendo i loro corsi. 
 
Davide
Perché avete realizzato questo particolare software di analisi elettronica del suono delle launeddas? Come funziona e cosa ci dicono queste immagini fatte di migliaia di tessere colorate?
 
Andrea
Come erroneamente si pensa, la musica per launeddas non è per niente frutto di improvvisazione.  E’ vero che si tratta di una cultura orale ma i musicisti si affidano ad una sorta di sistema di composizione mentale, scevro da un sussidio cartaceo. Per cui, con gli anni, ho sentito l’esigenza di poter capire come questa musica venisse creata. Ho tentato, all’inizio, di affidarmi a delle registrazioni audio, per poterne fare delle trascrizioni ma mi sono reso conto che, in questo modo, non era possibile capire le infinite sfumature di questa musica. Così come era impensabile trascrivere le performance su pentagramma: un sistema di notazione musicale inadatto ad accogliere questa musica. Allora ho dovuto immaginare un sistema di notazione dedicato che permettesse la notazione effettiva di ciò che un launeddista produceva in una esecuzione. Da questa esigenza è nato, prima un sistema di trascrizione e di analisi specifico per le launeddas (A.P.M.L. – Analisi Polifunzionale della Musica per Launeddas), congiuntamente abbiamo lavorato alla stesura del software, insieme all’ing. informatico Gianmaria Mancosu. Inoltre, abbiamo cominciato a pensare, con la collaborazione di Sardegna Ricerche, ad un apparato hardware da interfacciare al software che ci consentisse di raccogliere le informazioni in tempo reale durante una performance. E’ nato, così, l’apparato hardware JL: un sistema di campionamento, mediante un circuito elettronico, che si innesta direttamente sullo strumento tradizionale in canna, il quale consente di rilevare la diteggiatura del musicista e permette, così, la realizzazione della partitura, più tutta una serie di informazioni statistiche sull’evento campionato.  Il pannello a colori che hai inserito è un esempio di trascrizione effettuata su un ballu di Efisio Melis. I colori sostituiscono le note e la durata è rappresentata dalla ripetizione di un colore. Si legge da sinistra verso destra e accoppiando due righe per volta (riga superiore = mancosedda – Mano destra riga inferiore = Mancosa – Mano sinistra). Il software identifica la durata più breve dell’intera esecuzione e la riporta assegnandole il singolo rettangolo. In questo esempio, la durata più breve è risultata essere 0,03 centesimi di secondo. 0,03 centesimi di secondo, che può apparire una durata molto piccola è, in realtà, un tempo piuttosto lungo nella musica per launeddas. Nei nostri tests abbiamo riscontrato durate di 0,003 e 0,002 millesimi di secondo. Questo fa capire come possa essere impensabile affidarsi a delle trascrizioni ad orecchio di questa musica.
 
Davide
Oltre a una migliore comprensione del suono delle launeddas di interesse culturale, si può parlare di ricadute pratiche relative all’uso di questo software? Per esempio, quali informazioni vi può ricavare un launeddista che si accinga a studiare meglio un certo brano della tradizione?
 
Andrea
Assolutamente sì. Grazie a questo sistema hardware-software, il launeddista può, finalmente, spiegare all’allievo cosa esattamente intendesse dire quando gli mostrava ciò che doveva studiare. E’ indubbiamente un sussidio didattico indispensabile per migliorare il rapporto maestro-discepolo. Inoltre è un mezzo essenziale per tutti coloro che vogliono studiare questa musica: musicologi, compositori e musicisti in generale. Le informazioni che elabora il software sono tante: è in grado di far vedere, per fare un esempio, che tipo di note sono state utilizzate, quante e in che posizione si trovano all’interno della performance; può mostrare quali tipi di armonie sono state prodotte o che tipo di abbinamenti ritmici il launeddista ha prodotto. Il sistema ci permette di osservare e, in pratica, di toccare (grazie alla realizzazione virtuale in 3D della partitura) la loro musica. Possiamo capire quali aggregazioni melodiche ed armoniche predilige un certo launeddista: in pratica possiamo determinare l’impronta stilistica, come una sorta di DNA, di ogni suonatore. Questa funzionalità dovrebbe condurci a capire quanto del bagaglio culturale di un docente, passa all’allievo, quasi in termini genetici, se mi passi il termine. Il mio obiettivo è riuscire a codificare il linguaggio, stabilendone la grammatica e la sintassi. In questo modo, una volta decodificato il segnale, lo stesso può essere studiato, compreso, trasmesso e, perché no, elaborato.
 
Davide
Le launeddas sono uno strumento esclusivamente sardo e direi anche singolare; oppure esistono strumenti simili anche in altre tradizioni ispirati alle launeddas o da cui le launeddas siano derivate?
 
Andrea
Questa è una domanda a cui è difficile dare una risposta certa. E’ indubbio che lo strumento attuale possa essere considerato autoctono. Si tenga presente che le attuali launeddas sono intagliate seguendo il sistema delle scale tonali. Per cui lo strumento, oggi utilizzato, non può essere antecedente all’avvento del tonalismo. Che scale utilizzassero le launeddas, prima del XVI sec., non è noto. 
Esistono strumenti consimili nell’area del mediterraneo come ad esempio l’argoul egiziano. Nei basso rilievi assiri si può osservare uno strumento simile ma è difficile stabilire se si tratta di uno strumento con le stesse caratteristiche costruttive di una launeddas. 
 
Davide
Esistono diverse varietà di launeddas: punt’e organu, mediana, tzampognia, spinellu  ecc. Che differenza c’è tra i vari tipi e sottotipi di launeddas?
 
Andrea
Le tipologie sono nove: mediana, fiuda, mediana a pipia, fiorassiu, punt’organu, ispinellu, fiuda bagadia, ispinellu a pipia e zampogna. Si hanno notizie di altre tipologie ma sono cadute in disuso. Le launeddas o cuntzertus sono il frutto di un’aggregazione di due canne melodiche che sono in grado di emettere cinque suoni ciascuna. Gli abbinamenti dei segmenti pentafonici, che vanno a formare una launeddas, sono realizzati creando delle combinazioni con le sette canne, sette differenti scale pentafoniche, possibili. Ogni tipologia può essere intagliata in diverse tonalità (Do, Re, La e Sib maggiore, soprattutto). Le differenze, oltre alla scala prodotta, sono essenzialmente di carattere timbrico.
 
Davide
Alcuni tipi di launeddas sono cadute in disuso (Contrappuntu, Su para e sa mongia e Morisku). Sono andate irrimediabilmente perdute o è ancora possibile ricostruirle?
 
Andrea
Qualcuno ancora le costruisce ma il repertorio si è fossilizzato e standardizzato sulle nove tipologie di cui ho parlato.
 
Davide
In cosa si contraddistinguono le diverse scuole, oltre che per le diverse provenienze (della Trexenta, del Campidano, del Sinis, del Sarrabus e non so se ve ne siano altre)? Sopravvivono?
 
Andrea
Le differenze consistono, essenzialmente, nella velocità e nella varietà delle esecuzioni. Tanto per avere un’idea, si provi ad ascoltare le performances di Dionigi Burranca (scuola della Trexenta) e quelle di Antonio Lara (scuola del Sarrabus).
 
Davide
Quali erano e soprattutto quali rimangono ancora le occasioni di utilizzo delle launeddas, che siano ancora legate a momenti di vita e ritualità delle comunità? O sono anch’esse sempre più rade e meno significative? E’ questo a determinare inoltre il diradarsi dei launeddisti?
 
Andrea
Le occasioni di utilizzo sono pressoché le stesse da secoli: feste religiose (ad esempio Sant’Efisio a Cagliari) e occasioni profane. Ogni manifestazione ha il suo repertorio dedicato. Su ballu, ad esempio, è tipico di manifestazioni a carattere profano, mentre sa processioni è un pezzo eseguito durante occasioni religiose.
 
Davide
Immagino che le launeddas di oggi non siano esattamente quelle delle origini nella loro intonazione o nelle scale modali. Sopravvivono conoscenze al riguardo volendo oggi provare a ricostruire delle launeddas con una diversa intonazione rispetto a quella temperata? E, inoltre, ci puoi fare qualche esempio di scala modale utilizzata nella musica per launeddas?
 
Andrea
Come ho già accennato prima, non si sa nulla di come fossero le launeddas prima di un certo periodo storico. Non abbiamo, conservati, strumenti così antichi, per cui si possono solo fare ipotesi su come fossero costruite e con quali scale suonassero. Questo è uno dei problemi che ci ha spinto ad intraprendere lo studio del fenomeno launeddas: il pericolo che il tempo cancelli la testimonianza di questa cultura millenaria.
 
Davide
Chi sono i migliori launeddisti in questo momento?
 
Andrea
Ho avuto il privilegio di collaborare, per la realizzazione dell’hardware, con Andrea Pisu, oggi considerato il miglior launeddista vivente. Ci sono anche altri launeddisti molto bravi, come: Orlando Maxia, Luigi Lai, Roberto Tangianu e Gianfranco Meloni, tanto per citarne alcuni.
 
Davide
Oltre al grande lavoro di divulgazione che stai facendo per le launeddas, quali sono i tuoi progetti a venire per promuovere e preservare l’uso e la conoscenza di questa antichissima tradizione?
 
Andrea
Il progetto ha un taglio ambizioso: riuscire, come dicevo prima, a codificare questo linguaggio, alfine di renderlo trasmissibile. Abbiamo la possibilità, unica, grazie all’intervento di Enti come Sardegna Ricerche, di avviare un corso di studi specialistico sulla musica per launeddas. Non voglio anticipare troppo ma darà la possibilità ai compositori provenienti da tutta Europa, e non solo, di conoscere le dinamiche della musica per launeddas e di cimentarsi nella composizione sperimentale utilizzando l’enorme mole di dati che questa musica possiede, grazie all’uso del software che abbiamo realizzato.  
 
Davide
Per concludere, un mio amico compositore (Alessandro De Caro) mi faceva giustamente la seguente osservazione: “riguardo alla musica, invece, mi sto rendendo conto che preservare un brano di musica elettronica non è così facile: se le musiche folk sono in pericolo, come si dice, non lo è di meno un brano elettronico visto che dove c’è una memoria, anche artificiale, ci può essere una perdita“. Inoltre, come compositore sperimentale, come ti comporti rispetto ai limiti della notazione anche per ciò che è contemporaneo, altro suono, altro modo?
 
Andrea
Purtroppo abbiamo già perso della memoria. La nostra azione, per quanto efficace, arriva tardi e possiamo salvare solo ciò che sono oggi le launeddas. Tutta la musica prodotta nel passato è andata ormai perduta. Ma non bisogna illudersi: per quanto il nostro sforzo sia anche quello di preservare la memoria di questa cultura, l’usura del tempo intaccherà anche la nostra azione di salvaguardia. Per cui è indispensabile che altri dopo di noi continuino a preservare queste conoscenze per le generazioni future.
Proprio per questo problema, connesso ai limiti dei supporti di memoria, abbiamo già stabilito che tutto il nostro lavoro dovrà essere realizzato anche in versione cartacea che, pare assurdo, è il sussidio più efficace per la preservazione dei dati. Dobbiamo rivolgerci verso la cosiddetta “bassa tecnologia”, se abbiamo capito la lezione della storia, che ci insegna che uno scritto è in grado di sopravvivere per millenni.  
Ogni fenomeno sonoro deve avere una sua notazione dedicata. Inutile continuare a pensare e scrivere la musica utilizzando il pentagramma. Siamo in un periodo storico particolare, in cui il compositore deve adeguarsi alle esigenze dello strumentista. Mi spiego. Mi è capitato di scrivere dei brani che non utilizzavano la notazione convenzionale ed ho avuto enormi difficoltà a trovare musicisti che fossero in grado di leggere la partitura. Viviamo questo scollamento tra il progresso notazionale della musica sperimentale e  la preparazione degli strumentisti. Forse sarebbe ora di adeguare i programmi di studio dei conservatori a queste nuove esigenze della composizione sperimentale.
 
Davide
Grazie e… à suivre.
 
ANDREA CORONA
Note biografiche.
Andrea Corona, flautista e compositore, nasce a Cagliari nel 1970, città nella quale compie i primi studi di flauto traverso e di composizione sperimentale con i maestri R. Ghiani, G. Tedde e F. Oppo. Si trasferisce prima a Pescara, dove termina con successo gli studi di flauto con il M° S. Carbone e all’Accademia S.L. de France di Roma sotto la guida del M° R. Gouiot e, in seguito, dopo aver approfondito le tecniche della composizione sperimentale con F. Casti, conclude il suo iter scolastico in composizione sperimentale presso il conservatorio di Verona. Da 11 anni si dedica allo studio delle scale musicali delle launeddas e del loro repertorio musicale, pubblicando, per diverse case editrici i volumi: “Launeddas – Tecnica e Composizione” (Edizioni – R&DT); “La Launeddas delle Launeddas” (Edizioni – S.M.C.); “Metodologie Compositive per Launeddas” (Edizioni – Arca); “Chiavi di Lettura del Repertorio Tradizionale” (Edizioni – – S. M.C.), volumi 1 e 2. Ha progettato il primo sistema analitico dedicato alla musica per launeddas – “Analisi polifunzionale della musica per launeddas”. Ha progettato il software – JL 1.0, il primo applicativo espressamente realizzato sul sistema “Analisi polifunzionale della musica per launeddas”, per analizzare la musica per launeddas. Ha brevettato il primo hardware per il campionamento della prassi musicale della launeddas. All’intesa attività di ricerca e studi sulle launeddas, affianca un’altrettanto proficua attività di conferenze in Italia ed all’estero. È stato docente di flauto traverso presso la scuole civiche di musica di Cagliari e Lanusei. È autore di musica per vari ensemble, tra cui si ricorda: Diacronia per due Launeddas; Ermes per flauto solo; Variazioni su Schömberg per pianoforte; Sei Variazioni su Chopin per pianoforte; Diacronia pezzo per tre flauti; Sei Variazioni su Vinciguerra per pianoforte a 6 mani; Canto Beduino su una poesia di Ungaretti per voce di contralto e pianoforte; Density per orchestra d’archi; Selene per 11 launeddas. Quartetto su un Ballu di Efisio Melis – Per quattro archi.
 

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