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In vigore il Trattato di Lisbona

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finalmente l’Unione Europea del XXI secolo!

 
«L’Europa non è un mito, né una falsa idea, ma una necessità storica»
(Jean Monnet)
 
Dopo numerosi contributi che, attraverso i suoi Autori[1], la nostra Rubrica ha offerto alla riflessione sui progressi, realizzati o solo auspicati, della costruzione della comune casa europea, è con orgoglio, piacere ed emozione che mi accingo a presentare ora i contenuti del Trattato di Lisbona[2] (d’ora innanzi, per brevità, “il Trattato”), entrato in vigore il 1° dicembre di quest’anno, dopo una gestazione abbastanza travagliata, che ridisegna il quadro in cui si muoverà l’Unione Europea per affrontare, e speriamo superare, le sfide poste dal XXI secolo.
Infatti, con il deposito degli strumenti di ratifica del Trattato da parte dell’ultimo Stato membro, la Repubblica Ceca, avvenuto il 13 novembre, si è concluso l’iter previsto per la sua entrata in vigore superando quella fase di stallo che si era venuta a creare con la bocciatura[3] del Trattato che istituiva una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, che tante speranze e critiche aveva suscitato e che aveva fatto temere in un arretramento del processo di integrazione avviatosi ormai da più di 50 anni sul continente europeo.
Secondo quanto affermato dalle stesse istituzioni europee, il Trattato “risponde a tre esigenze fondamentali: migliorare l’efficacia del processo decisionale; accrescere la partecipazione democratica potenziando il ruolo del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali; migliorare la coerenza dell’azione dell’UE sulla scena internazionale. Ciò al fine di rafforzare la capacità dell’Europa di promuovere quotidianamente gli interessi dei suoi cittadini”.
Tale dichiarazione può apparire riduttiva e, forse, lo è; per questo motivo ritengo che solo la conoscenza diretta dell’impianto che il Trattato va a delineare modificando i precedenti Trattati istitutivi permetterà ai cittadini europei di manifestare i propri veri interessi e, dunque, far vivere i diritti e le responsabilità che loro derivano.
Il cammino che intendo proporre si svilupperà, dunque, in una analisi dei contenuti da 3 punti di vista: un primo che chiamerò “valoriale”, un secondo “istituzionale” e un terzo “politico”.
Per quanto riguarda il profilo che ho definito “valoriale”, è d’obbligo sottolineare subito che correttamente si è spogliato il presente Trattato di quella falsa veste “costituzionale” che ammantava il precedente naufragato, così riconoscendone la differente natura ed origine. Al contempo, però, agli artt.1 delle versioni consolidate del Trattato sull’Unione Europea (TUE) e Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea[4] (TFUE, ex-TCE), Lisbona dichiara espressamente «Il presente Trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini. L’Unione si fonda sul presente Trattato e sul Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (in appresso denominati «i Trattati»). I due Trattati hanno lo stesso valore giuridico. L’Unione sostituisce e succede alla Comunità europea» (art.1.2 e .3 TUE) e «Il presente Trattato e il Trattato sull’Unione europea costituiscono i Trattati su cui è fondata l’Unione. I due Trattati, che hanno lo stesso valore giuridico, sono denominati «i Trattati»» (art.1.2 TFUE), ponendosi così di fatto quali fondamenta che regolano la costruzione europea.
Aspetto importante per la promozione dei diritti dei cittadini europei è sicuramente il fatto che, all’art.6 TUE, si ha la parificazione ai Trattati della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (proclamata nel dicembre del 2000) alla quale, pur non venendovi inserita, si riconosce lo stesso valore giuridico (c.1). Al successivi commi, inoltre, si dichiara che l’Unione «aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» (c.2) del Consiglio d’Europa e che tali diritti «fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali» (c.3), pur non modificando tale situazione le competenze dell’UE così come definite dai Trattati.
Sarà interessante verificare nel prossimo futuro quale portata avranno simili previsioni che, indubbiamente, vanno ad ampliare e completare il contenuto minimalista dell’art.2 TUE, per il quale i valori fondamentali per l’Unione sono quelli «del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze», ma che potrebbero altresì aprire dei conflitti di competenza tra la Corte di Giustizia del Lussemburgo e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.
Due ulteriori aspetti che contribuiranno sicuramente a rafforzare il senso di appartenenza sono rappresentati dalla “cittadinanza dell’Unione” (artt.9 TUE e 20 TFUE) e dal “diritto di iniziativa popolare” (artt.11.4 TUE e 24.1 TFUE).
Se già l’originario Trattato di Maastricht prevedeva la cittadinanza dell’Unione quale status aggiuntivo per i cittadini degli Stati membri, con Lisbona tale istituto si completa ed arricchisce.
Nello specifico, la possibilità data a cittadini dell’Unione, «in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri», di «invitare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei Trattati», configura un vero e proprio diritto di iniziativa popolare (artt.11.4 TUE e 24.1 TFUE): autentica novità in ambito di diritto non nazionale.
Per quanto riguarda l’aspetto “istituzionale”, altrettanto importante per l’evoluzione armonica di un’Europa che voglia colmare il gap democratico che l’ha caratterizzata sin dalla sua nascita, si deve da subito mettere in luce che, il continuo ampliamento del numero degli eurodeputati conseguente ai successivi allargamenti, avrà termine: il numero dei membri del Parlamento è fissato in massimo 750 (più il presidente), suddivisi in proporzione al “peso” degli Stati membri (la Germania, 96 deputati; Malta e Lussemburgo, 6) (art.14.2 TUE). Gli europarlamentari, inoltre, rappresenteranno i cittadini dell’Unione e non più i popoli degli Stati membri, come era previsto dalla previgente norma.
Ad un simile Parlamento, maggiormente rappresentativo, è riconosciuta pure una maggior capacità di incidere sulla procedura legislativa europea con l’estensione della codecisione, tra lo stesso Parlamento e il Consiglio, quale modalità ordinaria di adozione degli atti normativi (art.294 TFUE) anche in settori “sensibili” quali l’agricoltura, la pesca, i trasporti, la politica di coesione economica e sociale, oltre alla giustizia e affari interni. Viene poi introdotta una nuova procedura di approvazione del bilancio che stabilisce uguali poteri tra Parlamento e Consiglio (art.314 TFUE) e si rafforza il ruolo del Parlamento nella procedura di revisione dei Trattati.
Nella ridefinizione dei rapporti tra le istituzioni rientra pure quanto previsto all’art.17 TUE per il quale il Presidente della Commissione «è eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono» su presentazione del Consiglio e lo stesso Parlamento dovrà poi esprimere un voto di approvazione sulla Commissione nel suo insieme e sull’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Altra importante misura adottata nell’ottica della razionalizzazione istituzionale è quella prevista dal comma 5 dello stesso art.17 TUE, per il quale a partire dal 2014 la Commissione sarà composta «da un numero di membri, compreso il presidente e l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, non decida di modificare tale numero», ponendo forse definitivamente termine alle querelle che regolarmente si aprono tra Paesi membri in occasione di allargamento e, conseguentemente, di riassegnazione delle poltrone di commissario europeo.
Ruolo nodale nel posizionamento dell’UE sullo scenario globale sarà svolto dalla rinnovata figura dell’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, membro a tutti gli effetti della Commissione (di cui sarà vice-presidente) e guida del nuovo Servizio europeo per l’azione esterna, costituito da funzionari del Consiglio, della Commissione e dei servizi diplomatici nazionali.
Anche il quadro normativo inerente il Consiglio viene, con Lisbona, fatto oggetto di aggiustamenti tendenti a rendere maggiormente operativo ed efficiente il suo funzionamento con un parziale superamento dell’intergovernamentalità che l’ha sempre caratterizzato a tutto svantaggio della visione europea.
Difatti, il voto a maggioranza qualificata diviene norma generale in seno al Consiglio (art.16 TUE) «salvo nei casi in cui i Trattati dispongano diversamente» e, più precisamente, con decorrenza 1° novembre 2014, «per maggioranza qualificata si intende almeno il 55 % dei membri del Consiglio, con un minimo di quindici, rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65 % della popolazione dell’Unione. La minoranza di blocco deve comprendere almeno quattro membri del Consiglio; in caso contrario la maggioranza qualificata si considera raggiunta». Ulteriori modalità che specificano il voto a maggioranza qualificata sono contenute nell’art.238 TFUE.
Importanti materie sono, finalmente, sottratte alla necessità di raggiungere l’unanimità dei consensi in seno al Consiglio, mentre vi rimangono le decisioni inerenti i tributi, la sicurezza sociale, i diritti dei cittadini, le lingue, le sedi delle istituzioni e le linee principali delle politiche comuni di difesa, sicurezza e politica estera.
A proposito di geografia istituzionale, l’art.13 TUE formalizza il Consiglio europeo il cui Presidente, in carica per due anni e mezzo rinnovabili, diviene de facto una sorta di “Presidente europeo” (art.15 TUE) che, insieme all’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, fungerà da front-office dell’UE nel mondo e garantirà una continuità di governo al sistema così delineato.
Rilevante conseguenza della istituzionalizzazione del Consiglio europeo è quella inerente la sua soggezione alla giurisdizione della Corte di giustizia (art.263 TFUE), aspetto che contribuisce ulteriormente a rendere trasparente, e democratica, l’azione della macchina europea.
In quest’ottica, il Trattato di Lisbona ribadisce che «per giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell’Unione europea, i Trattati e il diritto adottato dall’Unione sulla base dei Trattati prevalgono sul diritto degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza» (cosiddetto principio del primato del diritto dell’Unione sui diritti nazionali, Dichiarazione 17), e gli artt.19 TUE e 263 TFUE prevedono che la giurisdizione della Corte di giustizia è estesa a tutte le attività dell’Unione ad eccezione della politica estera e di sicurezza comune.
Esaminando poi le novità introdotte da un punto di vista “politico”, il terzo che intendo proporre, bisogna dire che se maggior contenuto e definizione hanno avuto i poteri e le prerogative delle istituzioni che rappresentano i cittadini (il Parlamento) e gli interessi dell’UE (la Commissione), gli Stati membri si sono comunque mantenuti la possibilità di impiegare strumenti di salvaguardia qualora ritengano che siano in gioco interessi vitali della nazione: si tratta della possibilità di rivolgersi direttamente al Consiglio, tramite i “freni d’emergenza” (art.48.2 TFUE), o di avviare “cooperazioni rafforzate” tra alcuni Paesi (art.20 TUE).
Inoltre, l’art.12 TUE definisce le modalità in cui i «parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento dell’Unione», introducendo nel sistema un ulteriore elemento di rappresentatività democratica contro l’arroccamento governativo della gestione delle politiche europee e vedendosi riconosciuta una maggiore importanza nell’adozione degli atti normativi.
Fondamentale risulta essere a questo punto il dettato degli artt.5.1 TUE e 2 TFUE: nel primo, vengono riaffermati il principio di attribuzione quale criterio per la delimitazione delle competenze tra UE e Stati membri e i principi di sussidiarietà (per la prima volta anche a livello regionale e locale) e di proporzionalità per l’esercizio di dette competenze; nel secondo, si distinguono tre tipi di competenze (esclusive, concorrenti o complementari, di sostegno o di complemento).
Altra norma di innegabile portata evolutiva è quella previsto dall’art.352 TFUE che offre una “clausola di flessibilità” che consente alle istituzioni europee di impiegare i poteri necessari per realizzare gli obiettivi dei Trattati anche qualora questi non li abbiano già espressamente previsti.
Tale flessibilità e capacità di ampliare le proprie prerogative è però soggetta a precisi vincoli di controllo e, in un certo senso, controbilanciata dalla possibilità (prima non regolata espressamente) di recedere dall’Unione riconosciuta a tutti gli Stati membri (art.50 TUE).
I progressi rappresentati da Lisbona, comunque, già offrono basi giuridiche all’ampliamento delle materie di competenza delle istituzioni europee in molteplici settori[5].
Con tutto ciò, può risultare superfluo quanto stabilito dall’art.47 TUE che, in maniera inaspettata ma solenne, dichiara che «L’Unione ha personalità giuridica»: personalità giuridica unica che i cultori di diritto internazionale avevano elaborato nel tempo, per le Comunità europee prima e l’UE poi, ma che mai era stata proclamata e che avrà delle conseguenze precise. Ad esempio, gli Stati membri potranno concludere in autonomia soltanto quegli accordi internazionali compatibili con i Trattati. Inoltre, dopo il previsto periodo transitorio di cinque anni, il pilastro della cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni verrà ricompreso nelle politiche istituzionali. Diversa sarà la politica estera e di difesa comune che, pur in presenza dell’alto rappresentante di cui sopra, continuerà ad essere soggetta a procedure decisionali di tipo intergovernative.
Se questo è il quadro realizzato con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dobbiamo riconoscere che oggi l’Unione europea si è dotata di un impianto all’avanguardia per governare i fenomeni chiave della contemporaneità (globalizzazione in primis, con tutte le sue declinazioni in ambito economico, demografico, della sicurezza, culturale, ambientale, ecc.). Alcuni osservatori hanno dichiarato che, dal punto di vista storico, la sua importanza è equiparabile a quella del Trattato di Maastricht, altri l’hanno invece sminuito valutandolo come un minus habens rispetto al fallito tentativo “costituzionale”: io personalmente ritengo che, con questa ennesima e profonda riforma, l’Europa compia un ulteriore e importantissimo passo verso il proprio futuro che non può non essere quello di un forte soggetto sovrastatuale, differente da quelli che la Storia ci ha mostrati (stati federali o confederali, organizzazioni internazionali).
Il tempo, solo il tempo, potrà dirci se questo ulteriore sviluppo, questo desiderato obiettivo, si realizzerà o resterà tra le belle e proficue utopie lasciateci in eredità dal XX secolo.
Una cosa sola ritengo certa: se l’Europa non dovesse riuscire in questa realizzazione, il suo destino sarà l’implosione. E di questo i cittadini europei debbono essere consapevoli e resi responsabili.
Il meccanismo di governance previsto, permette all’Unione di essere più forte e stabile ad intra e ad extra: spetta a tutti noi, ora, di operare per la realizzazione del sogno!


[1] Cfr. per l’elenco completo degli articoli di Alberto Monari, http://www.kultunderground.org/autori.asp?aut=ALBERTO%20MONARI; per l’elenco completo degli articoli di Davide Caocci, http://www.kultunderground.org/autori.asp?aut=DAVIDE%20CAOCCI.
[2] Il Trattato di Lisbona, che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità Europea, è stato firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 dai rappresentanti dei 27 Stati membri. Per i testi delle norme a cui si farà riferimento nel presente contributo, si rimanda a GUUE serie C n.115 del 09.05.2008 o http://www.consilium.europa.eu/showPage.aspx?id=1296&lang=it.
[3] Con le consultazioni referendarie svoltesi in Francia e nei Paesi Bassi nel 2005.
[4] Per intenderci, il vecchio Trattato di Maastricht (o TUE, 1992) e l’ancor più vecchio Trattato di Roma (o TCE, 1957).
[5] Ad esempio, diritti di proprietà intellettuale, servizi di interesse economico generale, sport, spazio, turismo, protezione civile e cooperazione amministrativa, lotta al cambiamento climatico, approvvigionamenti energetici e solidarietà.

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