Non resta dunque che tuffarsi in questo variegato mare di parole: se anche voi volete farne parte, dovete solo inviare i vostri scritti al mio indirizzo mail (o a quello della rivista), meglio se in allegato e firmando sempre in fondo, per evitare confusioni.
Il teorema di Aldrin richiama, nella struttura e nei temi, quei bellissimi, ineguagliati racconti brevi di fantascienza degli anni Cinquanta, a mio parere un periodo aureo per questo genere letterario, in cui Vittorio Baccelli si muove come un pesce nell’acqua : caratteristico è il preambolo iniziale, che pone la premessa squisitamente scientifica (in questo caso il principio dell’indeterminazione del padre della meccanica quantistica Heisemberg), per la fantastica invenzione che anima l’opera. Dalle osservazioni del Aldrin sulle oscillazioni dei flussi tachionici viene creato, e ampiamente commercializzato, un pratico congegno che permette di tornare indietro nel tempo di sette virgola tre periodico secondi: come spesso accade, però, manipolando il tempo capita di incorrere in paradossi fisici, come quello in cui viene risucchiato Paolo, mentre è impegnato in piacevoli attività con una biondina….
Una lirica sincera, appassionata, anche se di tono leggermente minore rispetto alla produzione di questa interessante autrice.
Prima di affrontare Dal terrazzo abbandonato, dello sperimentalista Gabriele Roccheggiani, tirate un bel respiro, armatevi di curiosità e apertura intellettuale, perché non si tratta di una lettura piana e agevole. Scritto sotto forma di dialogo tra due personaggi, un uomo e una donna, che osservano il mondo da una porta bucherellata dalle tarme, senza mai scendere nelle vie (come il pianista di Novecento, che assapora la terra restando ostinatamente sulla nave), il racconto è un’omaggio a Joyce, più volte citato, e a grandi temi del nostro secolo come l’incomunicabilità, l’antitesi tra esseri differenti, tra oggetti che impongono la loro presenza alla nostra coscienza (infatti è citato anche Sartre).
Molto più prosaici, carnali, sono gli attimi cantati da Joe Ferrara, che ritroviamo ancora in una prova lirica, La domenica mattina. L’ambientazione è quella solita cara a questo autore, i viali di una città, il consueto passeggio di fidanzati e donne graziose: e il protagonista, sempre diverso dalla corrente della folla, perso nei suoi incontri con prostitute. Nella crudezza delle descrizioni, spicca lo splendido verso Provo a fermare la primavera quest’anno/ non sono ancora pronto, che potremmo dedicare a questi mesi veloci e incostanti.
Molto interessante, e mi pare ampiamente condivisibile nei temi, è La divisione del lavoro di Mario Sabbatini, un vero e proprio saggio, una riflessione sull’eccessiva specializzazione e sulla frantumazione delle competenze, tipica del mondo moderno, sommata alla tradizionale divisione tra "attività pratiche" e "attività teoretiche", retaggio della nostra cultura classica. Una frattura che ci sta inaridendo e spegnendo: "Voglio essere una fabbrica" è la folgorante conclusione di questo brioso inno ad un uomo nuovo, completo, che sappia riparare rubinetti e scrivere poesie.
Voci che sussurrano
Eccoci tornati in un caldo maggio, già alle prese con i temporali estivi, dopo il temporale delle passate elezioni; tranquilli, qui non ne faremo parola, SUSSURRI è una oasi di racconti e poesie, per tutti i gusti e gli orientamenti. Questo mese il nostro carnet è particolarmente ricco, sia di nomi già consolidati e apprezzati, come Myskin, Giovanna Cieri, Joe Ferrara, sia di esperimenti nuovi e coinvolgenti come La divisione del lavoro, della new entry Mario Sabbatini, o Dal terrazzo abbandonato, dell’eclettico Gabriele Roccheggiani; ritroviamo anche collaboratori di spicco come Biagio Salmeri e Vittorio Baccelli, e veniamo affascinati dall’originalità di David Risa e dal raffinato arcaismo di Mario Pischedda. Come noterete, per una volta domina la lirica, con ben sei composizioni, diversissime per stile, richiami, suggestioni.
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Si ispira alla matematica anche il titolo della raccolta lirica di Biagio Salmieri, L’esatta cubatura del cerchio: e anche nella nuova poesia di questo mese ritroviamo la geometrica perfezione del verso, della disposizione delle parole, la concatenazione folgorante delle immagini, che tracciano parallelismi e analogie tra elementi della natura e parti del corpo – una mano che accarezza capelli come il vento passa nei boschi, un ginocchio che è una montagna…
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Le elezioni ci sono già state, e quindi possiamo pubblicare, senza tema di violare la par condicio (ovviamente stiamo scherzando…), un’opera "connotata ideologicamente" come Al Che di Giovanna Cieri, dedicata al grande condottiero cubano che molti portano stampigliato sulla maglietta.
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L’incanto di un attimo, dell’Ora blu sul mare, in cui il tempo sembra per un attimo fermarsi per rinascere e rigenerarsi in mille forme: come si rigenerano le parole, ripetute con immutata meraviglia, e i gesti lenti dei viandanti e degli acrobati. Ma è solo un momento, colto nella sua essenza struggente da Myskin, che come sempre ci regala emozioni rarefatte e bellissime.
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Mario Pischedda ha rielaborato tre volte Qui la mia assenza coltivo: ottenendo una lirica raffinata nella costruzione e suggestiva nel suo periodare arcaizzante. Il lavoro del poeta è infatti un lavoro di lima, di rifacimento, di cesellamento di un forte spunto iniziale: la scelta di Pischedda è di allontanarsi il più possibile dalla sintassi quotidiana, accentuando l’effetto di straniamento con l’uso frequente del gerundio finale, di lunghi avverbi, di un ritmo poetico lento e arioso.
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Conclude questa carrellata di emozioni Tornava a casa, di David Risa. A volte capita di "guardarsi dal di fuori", di pensare ad ogni piccola azione banale e quotidiana che si sta compiendo: tutto allora appare in una prospettiva diversa, l’atto di guidare per strade deserte che scivolano impercettibilmente via, il movimento di salire le scale per entrare in casa, gli stessi oggetti. Da tutto sembrano nascere riflessioni e pensieri, la vecchiaia appare imminente come "lento e progressivo stato di alterazione psichica", e la parola finale non può essere che Amen, così sia.
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Adesso, finalmente, possiamo immergerci nel flusso della lettura: tutto di un fiato, o piluccando qua e là, l’importante è gustare il sapore di SUSSURRI. A me non resta che augurarvi buona lettura, e arrivederci al prossimo numero!
Lorenza Ceriati