(Sergio Caldarella – Zambon Editore)
“Un appassionato atto di difesa della cultura nella forma di un moderno j’accuse”. Questo il parere dell’editore del libro di Sergio Caldarella. Devo sottolineare che, in effetti, la durezza della condanna espressa dall’autore è estrema. Chi sono i condannati? Tutti. Non viene risparmiato nessuno. O meglio, nessuno degli attori della cultura moderna, siano essi filosofi, politici o quant’altro. In verità, a voler essere fedeli a Caldarella, non è corretto usare l’espressione “attori della cultura”, perché il pensiero trasmesso nelle pagine del suo libro è che ciò che tutti oggi consideriamo “cultura” tale non è, e quegli attori, che sarebbero di conseguenza riconosciuti da tutti come intellettuali, sono in realtà “ladri” rei di aver rubato il ruolo che persone più capaci (e meno interessate) avrebbero dovuto ricoprire. E…ammetto di aver iniziato la stesura di questa recensione con un certo timore, dato che, così facendo, rischio di finire io stesso sul patibolo.
Questo testo si va ad aggiungere ad un elenco di caratura storica (forse troppo corto) di lettere aperte e romanzi il cui obiettivo è evidenziare il male più importante del proprio tempo: la perdita della cultura (Caldarella stesso cita a riguardo personaggi illustri come Barthes, Malaparte, Vittorini). E la denuncia spazia fino a delineare le cause di questa perdita, descrivendo di fatto il comportamento della società contemporanea in tutti i suoi strati; quella “società del contrario” che sceglie come stile di vita il contrario di ciò che le garantirebbe un futuro (ma anche un presente, in realtà) migliore nel senso più puro del termine.
L’accusa ricade principalmente su tutte quelle persone a caccia di potere che hanno operato un vero e proprio assalto alla conoscenza, e che hanno quindi “allontanato i saggi dalla cittadella del sapere”. Dunque l’avvento della cultura mercantile e la conseguente ascesa del potere del capitale, una pseudo-intellighenzia che determina cos’è cultura e cosa no, le case editrici che iniziano a confondere cos’è divertente con cos’è intelligente e, per concludere, una scuola che ha perso il suo ruolo; riguardo quest’ultimo argomento Caldarella non risparmia aspre citazioni, ricordando Montaigne (il quale afferma che propagare la conoscenza non significa riempire un vaso, ma accendere un fuoco) e Kundera (che definisce gli archivi di tesi universitarie più tristi dei cimiteri dato che non li visita mai nessuno, neanche nel giorno dei morti). Dunque ci viene presentato un mondo piegato alle esigenze di un mercato standardizzato e massificato. Per far capire la sottile freddezza del ragionamento cito uno dei miei passaggi preferiti: “Alcuni affermano che la cultura è un lusso […]. Non è […] singolare che in un mondo dove ci si permette quasi ogni lusso, proprio quello della cultura rimanga invece tenuto a distanza?”.
La condanna prosegue colpendo i poteri a tutti i livelli. Si parla di media dall’informazione confusa, inserti culturali privi di cultura e televisione dominata da cantanti e letterine. Si parla dell’arte, che soffre della “fretta” del nostro tempo e ha relativizzato la critica. Per la politica vengono trattati vari aspetti, arrivando a porre l’accento su una questione che oggi quasi nessuno considera: l’ingerenza dello Stato nella vita quotidiana. Subisce la condanna, in qualche modo, anche il potere di quell’opinione pubblica che, figlia del capitale e del concetto che tutto viene misurato in termini quantitativi, non riesce più a trasmettere un messaggio in virtù dello stesso, ma ha bisogno di una “quantità” di persone in marcia.
Già dalle prime pagine si evince che è chiaro anche per lo scrittore il paradosso dell’esistenza di questo libro, il quale racconta di una società che rifiuta proprio i punti di vista che questa lettura porta a conoscere, infatti è lo scrittore stesso a indirizzare la lettura solo a quei pochi “amici” e veri intellettuali che sanno ancora distinguere l’autenticità e l’originalità della cultura nel mare magno del sapere supposto tale.
Per quanto parlare di un testo come questo, riuscendo al contempo a non anticiparne completamente le visioni, possa essere difficile, ho cercato il più possibile di non addentrarmi nel dettaglio degli argomenti esposti perché penso che una recensione debba stimolare alla lettura di un libro e non raccontarlo, ma soprattutto perché i concetti trattati sono complessi e ognuno di essi merita dunque molte pagine prima di essere espresso. Consiglio la lettura di questo libro alle persone interessate in un saggio di pensiero perché perennemente a caccia di nuovi stimoli; lo consiglio (e vivamente) anche a tutte quelle persone che sperano di trovare in un libro nuove armi con cui fare autocritica. Personalmente alcune pagine hanno avuto su di me lo stesso effetto dirompente che avevano avuto alcuni passaggi di Beaudrillard, e ritengo che libri di questo “peso” (sperando che il termine mi sia consentito) vadano letti a prescindere dal fatto che se ne condividano le conclusioni (o i presupposti, nel caso specifico). Voglio anche aggiungere che all’inizio della lettura, prima di entrare nella vera trattazione dei temi, ritenevo Caldarella un intellettuale di stampo aristocratico…ma poco dopo ho scoperto che nella sua libreria trovano posto anche romanzi “di massa”, e un palato che apprezza tutti i piatti è garanzia di equilibrio e vera conoscenza. Certo, non che io mi senta di dare giudizi…