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20° TORINO FILM FESTIVAL

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20° TORINO FILM FESTIVAL

Il 20° Torino Film Festival cambia sede, ma non cambia contenuti. Questa la sintesi della ormai consueta tre giorni novembrina che coincide con l’inizio del Festival del Cinema Giovani. Quest’anno sono solo, per la coincidente manifestazione no-global di Firenze cui hanno partecipato i miei consueti compagni di viaggio Michele e Paolo.
Come già anticipato, il Festival, visto il sempre crescente numero di spettatori, quest’anno si è trasferito alla Multisala Phatè, al Lingotto. E come al solito sono subito polemiche (i Festival vivono anche di questo), anche se a Torino si respira sempre un clima pacato. Sono più considerazioni generali e confidenze da corridoio di spettatori, addetti ai lavori e partecipanti. La nuova Multisala è obbiettivamente bella, 11 sale di proiezione (per la verità un po’ anonime e difficilmente distinguibile fra di loro) che garantiscono sicuramente più affluenze rispetto alla precedente Multisala Reposi (5 sale). Il tutto inserito in un immenso centro commerciale, che se da un lato garantisce servizi e scelte per tutti a portata di mano, sicuramente stride con la romantica visione cinematografica di un centro di Torino tirato a festa (visto il periodo) delle precedenti edizioni. Quest’anno la collocazione è in uno dei luoghi simbolo della storia della città e in qualche misura del Festival del Cinema Giovani (ricordiamo il Premio Cipputi assegnato ogni anno alla migliore pellicola sul mondo del Lavoro), il Lingotto, ex stabilimenti Fiat, e di per sé, se la struttura è stata riconvertita in maniera mirabile, il contesto è da brivido. Qui la Fiat, ha veramente rovinato urbanisticamente la città, i palazzoni che circondano il Lingotto sono fra il peggio della produzione edilizia degli anni 60′, e tutto è a misura di auto, e non sicuramente di pedone. E chi, come me, ha pensato quest’anno di alloggiare in zona per meglio gestirsi le proiezioni del Festival, ha preso un grosso abbaglio. Gli alloggi più vicini sulla carta, ed economicamente accettabili, (anche se misteriosamente più cari, più squallidi e meno funzionali di quelli delle medesime categorie in centro), sono comunque lontani da tutto, e nel mio caso, essendo alloggiato al di là della ferrovia che separa il Lingotto dal quartiere adiacente, pressoché irraggiungibili se non rischiando, come me, per tre giorni la vita in un sottopasso esclusivamente automobilistico (ottimisticamente considerato sulla carta anche pedonale), unica via di comunicazione (senza fare il giro della città) con il Festival. Insomma, per farla breve, il consiglio per le prossime edizioni, se saranno sempre qui, è di alloggiare comunque in centro ed usufruire dei bus navetta che collegano anche di notte la città con il Festival. A meno che non abbia preso corpo l’idea di una petizione (non so se è stata poi raccolta), proposta da qualche frequentatore del Festival di quest’anno, di tornare alla vecchia sede in centro, riconvertita poi nella proposta dello spostamento del centro di Torino a qui (quella vecchia storia di Maometto…).
Tornando ai film visionati, io credo che il Torino Film Festival, per la mia breve esperienza di questi anni, sia sicuramente più interessante del Festival di Venezia, per la freschezza delle pellicole che forse non devono per forza trovare una collocazione commerciale, e sono più libere di esprimersi con diversi mezzi e argomenti.
Ogni anno a Torino sembra sempre di trovare un filo conduttore con le edizioni passate, un’evoluzione di concetti e una maturazione di argomenti.
Quest’anno un interessante film documentario di Guido Chiesa su "Radio Alice", la radio protagonista del periodo bolognese del 77′, quello degli scontri di piazza con la polizia, ma anche del fermento politico e culturale partito dal Dams, era una sorta di completamento del discorso iniziato l’anno scorso con "Paz", una pellicola sulla figura di Andrea Pazienza, uno degli illustratori più acuti che forse ha rappresentato meglio, attraverso i suoi fumetti, proprio quella delicata pagina della nostra storia recente.
Oppure un altro film documentario, "Victor Cavallo: uno stalker a Roma" di Luca Fantasia, che continua la ricerca, iniziata già in precedenti edizioni di Torino, su questa straordinaria figura di attore romano prematuramente morto. E che dire del nuovo film di Guédiguian
"Marie-Jo et ses deux amours", cui il festival aveva dedicato una retrospettiva quattro anni fa. Veramente nutrita la lista dei buoni film in un così breve periodo: due pellicole italiane, "Bell’amico" di Luca D’Ascanio (fuori concorso) e "Eccomi Qua" di Giacomo Ciarrapico (in concorso), divertenti storie di strane amicizie e relazioni di coppia; in concorso, "Pumpkin" di Anthony Abrams e Adam Broder, prodotto da Coppola ed interpretato da Christina Ricci, commedia americana sul rapporto fra una studentessa di college modello e snob ed un ragazzo fisicamente handicappato, e "Hukkle" di Gyorgy Palfi, curioso film "muto" di strane morti in un villaggio rurale ungherese; nella sezione Americana "Dogtown and Z-Boys" di Stacy Peralta, interessante film-documentario su Dogtown (spiaggia-quartiere di Los Angeles) e i suoi frequentatori, gli Z-Boys, diventati nella prima metà degli anni 70′ fra i ragazzi più famosi d’america per aver fatto esplodere un fenomeno sociale ed anche in qualche misura culturale, surfisti "maledetti" ed inventori dello skateboard moderno. In definitiva, belle pellicole ed il solito festival di qualità, con la solida struttura consolidata, dei vari concorsi, delle sezioni "Americana", "Nipponica", "Orizzonte Europa" e gli "omaggi" quest’anno dedicati a John Milius, Julio Bressane e Gianni Amico.
Questo Festival rappresenta il passaggio di consegne dalla gestione Barbera – Stefano Della Casa (prima l’uno poi l’altro nel segno della continuità) ad un nuovo direttore. Auguro che si continui il buon lavoro degli ultimi anni, e che la politica, come è purtroppo successo a Venezia, non cali la sua lunga mano anche sui "giovani" di Torino.

Racconto Zen
Sabato sera, ore 0.00, sala 3, film giapponese "Ichi the Killer", 130 minuti. Non sono tanto convinto, anche perché mi aspetterebbe, alle 2 e dieci del mattino, una mezz’ora di camminata a piedi, con vesciche fumanti provocate dai miei scarponi invernali (non si sa mai il tempo a Torino, un anno c’è stata anche neve, quindi meglio non rischiare) che stupidamente decido sempre di reindossare per l’evento festivaliero, senza un adeguato periodo di rodaggio. Ma questo sarebbe l’ottavo film della giornata, record per me assoluto ad una manifestazione festivaliera. E poi non sono proprio stanco, i miei occhi sembrano aver resistito con scioltezza al bombardamento giornaliero di immagini, credo per la buona qualità dei film visionati. Ci provo, ripromettendomi di uscire immediatamente se la pellicola langue. La storia è un classico per la sezione "Nipponica" del Torino Film Festival. Film di "Yakuza", comico, trash e violento, discretamente splatter. Resto dubbioso, ma a complicare le cose arriva il noto (diciamo conosciuto) critico cinematografico Tati Sanguinetti e mi si siede a fianco. Io non posso tradire l’accredito stampa di Kult, devo tenere alta la bandiera della nostra testata. Decido di resistere, ma c’è una scena che mi stronca: una sequenza di automutilazione della lingua con katana particolarmente dettagliata. Il mio occhio, che fino ad allora era rimasto insensibile a scene di stupro e tortura, cede. L’impressione ricevuta scatena una serie di reazioni psico-fisiche, un gran calore, annebbiamento ed un principio di svenimento. Penso che fortunatamente sono già seduto, distolgo lo sguardo dallo schermo, regolo la respirazione, mi calmo, passa qualche minuto, e riesco a non perdere conoscenza. A quel punto decido che è finita lì, che mi dispiace per Kult, per Sanguinetti, per il mio record mancato, ma è ora che torni in albergo.
Morale: stupidità o coraggio? A voi l’ardua sentenza.

Andrea Leonardi

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