Vita e morte del bassista dei Metallica
La Tsunami Edizioni porta in Italia la più completa biografia di Cliff Burton, “To live is to die” di Joel McIver, incentrata su colui che viene ricordato come il bassista dei Metallica, negli anni in cui la band era considerata una delle più importanti della nascente scena dell’heavy metal.
Sarebbe troppo facile dire che il libro, che riprende il titolo dell’ultima canzone composta dal bassista e pubblicata dopo la sua morte nell’album “…and justice for all”, è riservato ai fan della band o che l’acquisto è consigliato soltanto a chi ripensa a quegli anni con nostalgia. Sarebbe riduttivo bollare “To live” come una sorta di riconoscimento postumo tributato a un ragazzo morto troppo giovane, a soli ventiquattro anni, a causa di un incidente stradale che ha coinvolto il bus su cui viaggiava insieme agli altri membri del gruppo.
L’importanza di Cliff dal punto di vista musicale non è mai stata sufficientemente sottolineata, nonostante gli ettolitri di inchiostro spesi da giornalisti e commentatori dal 1986 in poi. È grazie a lui che si è fatta largo l’idea che, al di fuori del jazz e di poche altre eccezioni, il basso potesse diventare uno strumento solista, non destinato a semplicemente replicare la chitarra ritmica o a muoversi all’unisono con la batteria.
All’inizio degli anni ’80, l’uso sul basso delle tecniche e della strumentazione proprie della chitarra solista era un terreno quasi inesplorato, soprattutto in un ambito come quello della nascente musica estrema. È sorprendente scoprire come Burton riuscì a innovare il ruolo del basso e a influenzare in questo modo generazioni di musicisti che hanno seguito il suo esempio. E la sorpresa si trasforma in stupore se si pensa che, all’epoca, Cliff era poco più che maggiorenne e che i semi di quello stile erano già stati gettati anni prima, quando frequentava le superiori, come chiaramente mostrato in alcuni filmati presenti su You Tube.
Quello che viene presentato da Joel McIver è il ritratto di un ragazzo semplice e disponibile, caratterizzato da un look da hippy (pantaloni a zampa d’elefante, giubbino di jeans, capelli lunghi pettinati con la riga in mezzo) per l’epoca completamente fuori moda, e da un’attitudine ben lontana dal “Dov’è la birra? Spacchiamo tutto!” che sembrava rappresentare il credo dei suoi compagni. Sono molte le interviste che riportano aneddoti e ricordi incentrati proprio sugli aspetti più personali della vita di Burton e sul suo modo di costruire e gestire i rapporti umani. Disponibilità e correttezza sembrano essere i due aggettivi più comuni nei racconti di chi l’ha conosciuto.
Eppure è l’aspetto musicale ad avere il peso più rilevante e a far emergere nettamente Burton rispetto ai musicisti dell’epoca: la sua tecnica innovativa, la passione per le partiture di basso di Bach, l’apertura a generi diversi e stili antitetici come il punk e il pop, e soprattutto la capacità di portare nei Metallica gli elementi di teoria e armonia musicale che, nel tempo, hanno assunto un ruolo imprescindibile nello stile compositivo nel gruppo.
Gli amanti della musica, e non necessariamente dell’heavy metal, non potranno che arrivare alle ultime pagine del libro con l’amaro in bocca. Il rimpianto è un sentimento difficile da allontanare, soprattutto quando è generato da domande a cui non è possibile dare risposta. Quali vette avrebbe potuto raggiungere Cliff Burton se la sua vita non si fosse interrotta il 27 settembre 1986 in una strada svedese durante un trasferimento nel tour di “Master of Puppets”? Burton avrebbe condiviso la svolta smaccatamente commerciale che ha caratterizzato il gruppo negli anni ’90? La sua presenza avrebbe potuto limitare i danni di quello che da molti è considerato il periodo del declino dei Metallica, prima della recente resurrezione con la pubblicazione dell’album “Death Magnetic”?
Non volendo avventuraci sul terreno pericoloso e incerto delle congetture, non ci resta che bollare queste domande come inutili e oziose. Ciò che possiamo fare è accontentarci di quello che Burton ha prodotto, ed è davvero molto. In questo senso non si può che condividere le affermazioni dell’autore di “To live is to die: la musica di Cliff Burton sarà sempre lì per chi ne ha bisogno. Eppure la grandezza del suo lascito non è sufficiente a riempire, anche a distanza di oltre venti anni, il vuoto causato dalla sua scomparsa.
Joel McIver
“Cliff Burton – To live is to die – Vita e morte del bassista dei Metallica”
Tsunami Edizioni
ISBN 978-88-96131-07-7
Pag. 221 – € 20,00