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La Francia che tutti riconoscono

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La Francia che tutti riconoscono

Da qualche tempo a questa parte ho preso l’abitudine di non informarmi più del necessario sui film in programmazione per godere così in modo completo e sorprendente la visione. Certo, è naturale, leggo sempre le recensioni dai festival o le interviste ad attori e registi, ma preferisco sorvolare sulla trama e, soprattutto, saltare a piè pari quelle descrizioni minuziose delle scene "simbolo" di un film che portano ad identificare il film con quella scena, occultando tutto il resto. E’ accaduto così con "Irreversible" ed il famigerato stupro ai danni della Bellucci, è accaduto così con "Salvate il soldato Ryan" ed i magnifici dieci minuti iniziali, è accaduto così anche per "Da zero a dieci" di Ligabue. Questa decisione, suggeritami dalla morosa a dire il vero, ha portato solamente benefici. Ora ho la sensazione di aver affinato un fiuto ed una sensibilità tutte naturali ad individuare i film, a coglierne l’essenza, grazie al completo sgombero di suggerimenti e critiche magari spesso motivate dai motivi più disparati.
Sono informatissimo sui titoli, sui registi, sugli attori, sui temi del film e su tutto ciò che ruota intorno ad essi, almeno intorno a quelli più importanti e chiacchierati ma, che sollievo, sono uno spettatore vergine e come le vergini, affronto la prima volta con un sentimento misto tra paura e curiosità, vivo ogni istante dall’inizio alla fine.
La deriva psicosentimentale dell’incipit di questo articolo porta a due titoli concreti, entrambi provenienti dalla Francia. Con lo spirito nuovo che ormai mi pervade appieno, sono andato a vedere "Una rondine fa primavera" e "Chi lo sa?", entrambi francesi ed entrambi dotati di spunti interessanti.
Il primo è un film del 2001, diretto da Christian Carion, alla prima esperienza come regista di lungometraggi, ed interpretato da
Mathilde Seigner, la sorella della più famosa Emanuelle, e dal noto Michel Serrault, arcinoto da noi per "Il vizietto". In breve, si racconta di una ragazza parigina stufa del traffico e della soffocante vita di città che dopo avere frequentato un corso di agraria acquista una fattoria un po’ cadente da un vecchio vedovo e burbero che non può più occuparsene. Il contratto prevede un periodo di convivenza, fino alla definitiva sistemazione di Adrien, il vecchio, presso alcuni parenti. Sandrine, la ragazza intraprendente, trasforma la fattoria in un accogliente agriturismo e gli affari vanno a gonfie vele, tant’è che Adrien supera la diffidenza iniziale e si affeziona a lei, in modo un po’ scontroso ma sincero. Quando arriva l’inverno il sogno pare finire sotto una bufera di neve che mette a dura prova la resistenza di Sandrine e le coronarie di Adrien, ma il lieto fine è dietro l’angolo. Il film è senza pretese ma è ben confezionato (che frase fatta, perdonatemi), gli attori, tranne l’ottimo Serrault, sono onesti lavoratori ma niente e nessuno lascia il segno. La sceneggiatura è semplice semplice, i dialoghi sono misurati e senza sbavature, ma da tutto ciò manca quel tocco, quel qualcosa che avrebbe reso "Una rondine fa primavera" un film speciale. Mentre lo vedevo mi dicevo "non potrebbe che essere francese, un film così", e lo dicevo senza malizia e senza intenzioni critiche, ma la leggera leggerezza del film, l’aria sospesa tra il sogno e una realtà da favola moralista, quei silenzi francesi (un "silenzio francese" è un lasso di tempo in cui nessun francese apre bocca) sono inequivocabili: è un film francese.
La conferma l’ho avuta ripetendo l’esperienza con "Chi lo sa?", altro film francese, in concorso nella scorsa edizione del festival di Cannes ed interpretato, tra gli altri, dal bravo Castellitto, oramai adottato dal pubblico e dalla critica d’oltralpe. "Chi lo sa?" racconta di una compagna teatrale (quasi) tutta italiana in tournèe europea per rappresentare, in italiano, "Come tu mi vuoi" di Pirandello. Camille e Ugo sono fidanzati ed anche gli attori principali della commedia, Ugo poi (Castellitto) è anche il promotore della tournèe. In Francia lei cerca di mettersi in contatto con l’ex fidanzato, ancora pazzo di lei, mentre lui va alla caccia di un inedito di Goldoni e finisce col trovare, oltre al manoscritto, un’affascinante "bibliotecaria". "Chi lo sa?" è tanto intelligente e ben scritto quanto noioso e irritante. Solo dopo due ore e mezza di contorsioni sul posto, il volto sofferente della mia morosa ne era un esempio, ci si accorge di avere visto un brutto bel film e naturalmente il rammarico è doppio. Il bello del film è l’intrecciarsi lento ma perfettamente sincronizzato tra la realtà dei personaggi e la finzione della commedia che stanno mettendo in scena. Piano piano anche nella vita normale la teatralità degli accadimenti e delle espressioni prende il sopravvento, per culminare nella scena finale quando la realtà si volge sul palcoscenico e nessuno si accorge della differenza. Tutto ciò è sopraffatto da un ritmo insolitamente lento, o meglio, lento nonostante il tentativo di ravvivarlo con piccole gags e con gli slanci degli attori, effettivamente bravi. Jacques Rivette si rimette dietro alla macchina da presa a 72 anni e fa tutto alla perfezione tranne nel ritmo della commedia, spiritosa, arguta e deliziosa ma, ahinoi, estenuante. Al primo fotogramma la mia morosa esclama "è uno di quei film francesi…" volendo dire che sa a cosa andrà incontro.


Michele Benatti

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