Bastogi – 2007 – 13,00 Euro
Romanzo appartenente al filone dark-esoterico, colto e coinvolgente, capace di suscitare adeguate sensazioni al genere sebbene non privo di ridondanti pieghe. Sintesi dell’altro libro, quello che narra e contiene, del colore alchemico sprigionante la “Vera Forma”. Forma che sradica il dubbio come pure la stessa esistenza. Un libro che, misteriosamente, viaggia per essere recapitato a Nora Daren, la protagonista, per poi, attraverso un ancor più indecifrabile traghettatore, evitare puntualmente scaffali e catalogazioni attanagliando nuove vite per rendere altrettante fulminanti cognizioni. Libro, dunque, ermetico e persino sinistro, nondimeno mistico ed intriso del sangue del martirio, del vivere versato nella coppa dell’oblio, quella del pittore Vincent Daren, dove “la realtà plasma, devia, cambia” la ricerca della “Vera Arte”. L'”idioma cromatico” che ritorna al caos, alla sua origine. Lui è un artista divenuto cieco che non indugia ad evocare Baudelaire esortando ad “ubriacare l’anima” per tornare alla “Vera Forma”, ma resta ossessionato dai ricordi, imbrigliato in una lotta col sentimentalismo per affermare un’ostinata volontà di annichilimento del reale. Anacoreta nell’isolamento del sé dal mondo, sembrerebbe vivere i suoi ultimi giorni sotto una sperduta montagna francese per lasciare definitivamente il corpo, il suo supplizio, chiave di una trascendenza maniacale, turbata, possibile frutto di remoti traumi infantili. Emerge una follia rivelatrice, qualche retrogusto alla Polanski, ma anche accertate radici nella tradizione del noir ottocentesco con tanto di risvolti filosofici. Libro paradossalmente provvidenziale e nondimeno esiziale. Forma diaristica che ingloba un giallo a tema. Qui la morte è altresì taumaturgica per quanto contenuto nelle pagine, una forza personificata nell’inquietante ed altrettanto imponderabile presenza dell’ “uomo normale” e la sua “margherita” che si perpetua ovunque. Libro che compare e sparisce per poi di nuovo divenire altrove, estremo consolatore, possibile forma di ricongiungimento alla coscienza primordiale nel delirio, chiusura del cerchio, consapevolezza di salvifiche emozioni. Monade che oltrepassa “il corpo” nell’atto estremo celebrato nel suicidio, “Vertigine del Grande Salto”. Se “la realtà rende immortali le azioni scandite in un tempo che è già storia”, “l’Attimo di Eterno è in noi, ma non riusciamo ad afferrarlo”. “Lo stridor di denti”, citazione di una parabola del Vangelo secondo Matteo, conduce Nora da Padre Adolfo, delimita l’inferno relegandolo alla paura dei sentimenti. Ma sarà soltanto dopo la morte della ragazza che il sacerdote verrà, a sua volta, travolto da quelle inafferrabili pagine mai tradotte dal francese. Qui si susseguono, nella trama, i pochi tratti di un ordinario poliziesco, col libro sottratto da un presunto impostore e un’indagine con risvolti palesemente grotteschi. Con Padre Adolfo resta il dubbio, o piuttosto lo si elude attraverso la fede, ciononostante si percepisce tutta l’energia che lo scaraventa ad una condizione pre-esistente, nel libro che risucchia. Una monade che rifugge il ruolo demiurgico del mondo, mummifica ogni dinamica di ciclicità immanente introitando l’immaginifico in luogo del reale, e, nell’annullamento, ritrova l’entità assoluta constatata e contrastata, azzerando, di fatto, il varco iniziatico aperto con la creazione. Notevole è la caratterizzazione psicologica dei personaggi che, soprattutto nella seconda parte, è posta in risalto attraverso la figura di Verena, la cinica sopravvissuta che diverrà sigillo dell’intera vicenda aprendo prospettive per ulteriori scenari, tutti ancora da scrivere e dove, soprattutto, nel culmine delle cose tutto è ancora possibile.