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Venezia 2004: il Circo delle contraddizioni

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Il Circo delle contraddizioni.

Il Festival del Cinema di Venezia per sua caratteristica è un grande circo a cui, ogni anno, qualcuno che ne è direttore, cerca di dare ordine. Se è tedesco come Moritz de Hadeln (il grande capo degli ultimi due anni) la macchina organizzativa può risultare precisa e puntale (quest’anno si diceva cos’ì qui al Lido, anche se gli anni scorsi lo si accusava del contrario), ma proprio per l’assunto iniziale del Festival come circo, ne risulta sminuito, ridotto. È per questo che qualsiasi cosa sia emerso da questa 61a edizione, qualsiasi critica sia positiva che negativa si possa fare alla gestione curata dal nuovo direttore Marco Muller e dal Presidente della Biennale di Venezia, Davide Croff, non si può non riconoscere che questa è stata la Mostra sicuramente più interessante degli ultimi anni. Muller ha esaltato il circo, ne ha esaltato le caratteristiche, non ha cercato di controllarlo, anzi lo ha alimentato senza preoccuparsi se gli sarebbe sfuggito un po’ di mano. Ha cercato di esagerare dove ha potuto farlo, cioè nella quantità di film proposti, di tutti i generi e di tutte le cinematografie, ed è per questo che, a mio parere, ha funzionato pur non funzionando perfettamente. Questo festival è stato vissuto sulle sensazioni, non si può cercare di dargli un ordine. Cosa ci fanno Tarantino e Joe Dante in sala alle due di notte esaltarsi insieme ad un pubblico di cultori dei B-Movie italiani degli anni 70′, portando loro stessi le loro copie personali di film come "Sette note in nero" di Lucio Fulci, citato musicalmente in "Kill Bill", vederli a braccetto con Barbare Bouchez e chiedere a Lino Banfi la copia originale de "L’amante in vacanza e la moglie in città"?
E la sfida a distanza di pochi giorni fra due maestri di animazione giapponesi Hayao Miyazaki ("La città incantata") e Otomo Katsuhiro ("Akira") con i loro nuovi lavori, proiettati in anteprima assoluta mondiale al Lido, mentre in pieno centro di Venezia, il salotto buono di Piazza San Marco era occupato dall’ennesima anteprima mondiale (rubata a New York) del colosso di animazione americano "Shark Tale", prodotto da Spielberg, con Robert De Niro, Angelina Jolie e Will Smith (doppiatori della pellicola) a tenere a battezzo l’evento?
Oppure l’inserimento all’ultimo momento in concorso del miglior film visto qui a Venezia, "Binjip" del regista coreano Kim Ki-duk, giustamente premiato (anche se personalmente gli avrei assegnato il Leone d’Oro) con il Leone d’Argento (Premio Speciale per la Regia), dopo una proiezione con la stampa con tifo da stadio e applausi?
Cosa c’è di più bello che assistere ai meritatissimi fischi, sempre ad una proiezione per la stampa, del film in concorso di Michele Placido, "Ovunque sei", immaginandosi le facce dei vertici Rai che hanno finanziato la pellicola, che puntava alla vigilia decisamente alla vittoria del Leone d’Oro, ed il giorno dopo alla visione per il pubblico in sala Grande, organizzare una proiezione di regime con la classe politica, ministro della cultura Urbani in testa, al gran completo per riabilitare il lavoro al cospetto di un regista commosso ed esaltato da quella falsa platea compiacente?
E nonostante fossimo tutti qui a Venezia per vedere dei buoni film di qualità, come non emozionarsi ancora ad assistere alla schiera di star del cinema rincorrersi nelle sale, fino all’estrema genialità di vedere Johnny Depp andare alla passerella per il suo film alle due e quindici del mattino, con Harvey Weinstein, potente produttore della Miramax dare il benvenuto alla proiezione breakfast del loro film prima di minacciare Marco Muller di gettarlo in laguna, oppure al Pacino cedere il suo posto a Jeremy Irons, che ne era sprovvisto, al gala (iniziato per altro con 70 minuti di ritardo) della loro pellicola "Il mercante di Venezia"?
Cosa c’è di più legato al mondo circense felliniano della cerimonia di chiusura della Mostra, al Tetro Fenice restaurato, nello sfarzo più assoluto: inquadrature delle solite facce dei dirigenti Rai dopo l’ennesima batosta della non premiazione del film di Amelio (arrivato come salvatore della patria dopo il fiasco di Placido), e probabilmente pensare perché la Rai non ha mai peso politico in queste manifestazioni, invidiando i francesi che probabilmente un film come quello, se fosse stato francese (o anche no), a Cannes avrebbe sbaragliato tutti; la presentazione imbarazzante della Gerini (ma non per colpa sua); la rivincita di Mike Leigh che ringrazia Cannes per non aver accettato il suo film considerato non interessante; l’annuncio di Marco Muller della riproposta per il prossimo anno della rassegna dei B-movie, recuperando i maestri del genere orientali (salvo eventuali vendette Rai con non riconferma del direttore)?
Per non parlare poi del contorno televisivo a supporto del Festival, con le clamorose baggianate degli inviati; una su tutte: "Perché i film italiani non vengono premiati a Venezia? Perchè i presidenti di giuria premiano le pellicole loro connazionali, e quindi ci vorrebbero presidenti di giuria italiani", come infatti è successo l’anno scorso quando il presidente era Mario Monicelli, ma di cui nessuno si ricorda.
E che dire del mausoleo dei 60 Leoni giganti alti quasi due metri in vetroresina, trattati a foglia oro, patinati e invecchiati, all’esterno del Palazzo del Cinema, disposti a scacchiera e appoggiati su una pedana lunga 63 metri a ricordare i vincitori delle edizioni dei festival precedenti (creazioni dei maestri dell’immagine Dante Ferretti e Matteo Thun , segnatevi questi nomi e comportatevi di conseguenza), o dell’orrenda sigla di apertura delle pellicole?
Niente, non diciamo niente perché del Festival si prende tutto, il buono e il cattivo, il trash e la politica (ma non sono la stessa cosa?), il glamour e l’impegno civile, e soprattutto i film, perché di tutto questo noi non potremmo mai farne a meno.


Andrea Leonardi

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