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Qualunque cosa accada… amala – Marisa Provenzano

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Casa Editrice: Aljon Editrice
Anno Edizione: 2008
Pagine: 114
Prezzo: Euro 11, 00
 
Con competenza psicologica, Marisa Provenzano, in “Qualunque cosa accada… amala“, affronta qualificanti tematiche di grande attualità: i problemi degli abbandoni e delle adozioni, delle disabilità, del bisogno di una palingenesi spirituale, del dolore, della solitudine, della disperazione, ma, soprattutto, dà un’interpretazione partecipata del sentimento materno e del rapporto simbiotico madre-figlio, “…leggere nei suoi occhi le emozioni, i disappunti ed anche la tristezza”, del continuo fidarsi, affidarsi e confrontarsi, in circostanze particolari. 
 
La scrittura sempre fluida, elegantemente sobria, agevola la narrazione, che si sviluppa in due direzioni diametralmente opposte: la vita dei protagonisti sulla via di un futuro non prevedibile e il ritorno al passato di Sofia non ripetibile. Il tono narrativo, pacato nella prima parte del romanzo e più teso nella seconda e ultima (“Quei giorni… Frammenti di ricordi”), si adegua garbatamente e magistralmente agli stati d’animo di Sofia, ai cambiamenti d’atteggiamento e di carattere di Andrea e al suo graduale affrancamento dalla iperprotezione materna, messi in luce dalla fine sensibilità della scrittrice, che coglie delicati aspetti della psicologia dell’età dello sviluppo.
 
Leggendo, ci ritroviamo bambini intenti ad ascoltare la storia che ci viene narrata, tra un soave lirismo e una semplice, ma profonda, filosofia di vita, venata di malinconia, che ci sembra di conoscere già, ma che seguiamo piacevolmente, confrontandola, facendola interagire, questa volta, con le nostre esperienze di vita quotidiana, avvertendola attuale, tangibile.
 
Sorprendendoci ad attuare un processo di autoanalisi per ritrovare, perdonare e amare se stessi e, di conseguenza, gli altri (viene in mente “Puoi guarire la tua vita” di Luise L. Hay), ci immedesimiamo nella protagonista, che, attraverso un elegiaco recupero memoriale, che non è regressione all’infanzia, né evasione, ma desiderio di sogno, di riappropriazione di sé, del proprio mondo, del bello, esterna riflessioni, sentimenti, emozioni, sofferenze e, soprattutto, quasi novello Almustafa , “Il profeta” di Gibran, porge amorevolmente premurosi e saggi consigli al figlio.
 
I temi dell’auscultazione di una natura consolatrice ed ispiratrice, luogo dell’anima, del dolore, della morte, della capacità di meravigliarsi e di dare il giusto valore alle ragioni del cuore e alle piccole cose, dell’importanza degli affetti familiari, dell’abbandono e della conseguente solitudine, del mistero della vita, hanno un’impronta fortemente pascoliana e, soprattutto con le incertezze del piccolo Andrea, ci rimandano, per alcuni aspetti, a  “La vita è un sogno”, il dramma di Calderòn de la Barca, mentre l’opinione incoraggiante di Sofia, e, sicuramente, della scrittrice, che la vita è comunque bella, è una continua e incalzante proposizione dell’oraziano “carpe diem!”, nel significato più spirituale, nella consapevolezza della provvisorietà e dell’eterno divenire, dell’azione demolitrice del tempo, della morte incombente, dell’urgenza di trovare il senso della vita; un “Va’ dove ti porta il cuore”, di Susanna Tamaro: “E quando poi davanti a te si apriranno tante strade…, ascolta il tuo cuore, …alzati e va’ dove lui ti porta”.  Ma altri ancora, e sempre calzanti, sono i riferimenti culturali, non ostentati, ma chiamati a testimoniare, ad aiutare la ricerca dei significati dell’esistere, a indagare il subconscio, i sensi di colpa, il sogno, a stimolare all’impegno, come conquista di libertà, che dà forza alla verità e all’umiltà, a diffondere la “filosofia dell’amore” universale, motore del mondo.
 
La tensione emotiva parallela, di chi narra in prima persona, attraverso un lungo rimembrar, un dialogo diacronico, distribuito in parti nel discorso narrativo, e una narrazione intimistica, altrettanto efficace, nelle pagine di un diario, e di chi interiorizza, Andrea e il lettore, dipende, in primis, dalla predisposizione dell’animo ad accettare un particolare messaggio universale.
 
Abbiamo, comunque, l’impressione di percorrere con la protagonista un sentiero in salita “alla ricerca del tempo perduto”, del nostro io, tra virgulti di ottimismo, in un’atmosfera, che irradia silenziosamente del calore nell’animo del lettore, dolcemente crepuscolare, “…dietro un angolo buio può aprirsi  uno spiraglio di luce”, nostalgica, in cui s’intravedono gli ormai tenui bagliori degli “ameni inganni” leopardiani, della speranza di una “quiete dopo la tempesta”, dei sogni, ecc.
 
Traspare, nella narrazione, dell’autobiografismo e, decisamente, dell’umanitarismo, si stabilisce familiarità tra i nostri pensieri e quelli di Sofia (“…il silenzio che non trova alibi per il cuore”) e “—la certezza di un amore che va oltre l’esistenza”. Insistente è il tema della sofferenza, del ricordo, che addolcisce e sfuma la tragicità degli eventi “…l’anima respira immersa nel profumo dei ricordi”, contro la potenza annichilatrice del trascorrere inesorabile del tempo, il tema dell’amore per le piccole cose, che hanno dei “significati che bisogna scoprire” e apprezzare e, in ultima analisi per la vita e, di conseguenza, per la gioia che riusciremo a trarne “qualunque cosa accada…”.
 
“L’anima apre se stessa come un fiore di loto dagli innumerevoli petali” (da “Il profeta” di Gibran).

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