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Interno d’ombra

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Interno d’ombra

La stanza – il mondo ristretto che conteneva – era caratterizzata dal buio assoluto. Ogni cosa poteva essere percepita esclusivamente da sensazioni tattili. E’ strano come, in chi è naturalmente portato all’uso della vista, l’assenza di immagini si accompagni all’assenza di suoni.
I suoni – oppure i rumori – arrivano dopo, quando la mente si è adattata alla totale oscurità. Era immobile, limitato alle sensazioni che poteva dargli il suo corpo, l’universo ristretto ad uno spazio esiguo, quasi inesistente. Poteva muoversi quanto gli concedeva la distanza fra il lenzuolo e il letto.
Naturalmente nulla e nessuno gli avrebbero impedito di scoprirsi, alzarsi oppure accendere la luce. Era lui che non l’avrebbe fatto. Non in quel momento, non poteva interrompere l’incantesimo di profonda intimità con sé stesso, una comunicazione che mai avrebbe voluto fermare o anche solo mutare; le cose sarebbero accadute secondo l’ordine prestabilito. Non avrebbe lasciato nulla al caso perché era pronto a varcare quella soglia, doveva sapere a qualunque prezzo ciò che lo attendeva oltre.
Sovente durante il giorno rifletteva su ciò che gli stava accadendo. Aveva individuato quelle che riconosceva come premesse, piccoli eventi apparentemente insignificanti che lo avevano portato a quel punto – e non senza che potesse compiacersene.-
Ciò che sulle prime era sembrata la conoscenza occasionale di una sconosciuta, presto si sarebbe dissolta, trasformata in un nuova strada, nuovi percorsi destinati a mutare profondamente i suoi pensieri. Sfumature, gesti, parole – quante parole aveva speso, quanto scritto! – attraverso cui aveva compreso si trattava di qualcosa molto più grande di lui.
Il nero assoluto, unico colore del buio e il luogo in cui si trovava, gli davano modo di riflettere. Esplorando il proprio corpo la concentrazione dilatava il tempo. Distrattamente si stava adattando al buio da cui senza turbarlo emergevano lontani i suoni che gli erano familiari – solo una parte della sua mente li ascoltava, ma senza interesse – e tracciavano ombre distorte invisibili, perse nelle profondità della notte. Sarebbe stato capace di essere dovunque desiderasse.
Ripensando ai passi già compiuti, cominciava ad avere certezze. Non poteva contare su verità razionali, ma questo l’aveva già imparato da tempo. Doveva fidarsi delle sensazioni, delle emozioni che lo attraversavano. Gli era stato insegnato come trovare dentro di sé le risposte, stava prendendo confidenza con un nuovo linguaggio fatto di respiri e percezioni, una comunicazione senza suoni in un mondo che adesso cominciava ad essergli vagamente familiare. Come una figura vagamente abbozzata la nuova realtà si stava delineando sempre più precisa, contorni che molto presto avrebbe saputo distinguere. Sapeva di essere stato scelto, individuato attraverso una serie di apparenti casualità che quasi l’avevano ingannato. La porta che aveva aperto lo aspettava da sempre, quella più propria del tempo in cui viveva.
Il suo corpo eccitato lo guidava attraverso nuove percezioni. Quando gli era stato concesso poter scegliere, buona parte del tempo e della memoria non gli appartenevano più, erano oltre la soglia in un mondo ancora sconosciuto. Non avrebbe potuto scegliere altro.
Il buio continuava ad avvolgerlo con la sua forza primordiale. Poteva sentire la propria presenza solo attraverso le proprie mani. Il tempo stesso aveva smesso di scorrere, cristallizzato in singoli momenti come ricordi tangibili. Minuscoli pezzi di vetro lucenti erano allineati di fronte a lui, alla portata del suo sguardo senza che potesse toccarli.
Quella fu la prima esperienza completa che potesse ricordare, ora che il ricordo era diventato uno strumento della sua nuova esistenza. Una serie di sensazioni, confuse e indescrivibili, avevano preso forma, rivelando un ordine costituito. Quel mondo aveva senso di esistere, lui in qualche modo gli apparteneva e a tratti poteva distinguerne le forme, le architetture, l’essenza.
Il tempo scorreva in modo diverso, come un fiume limaccioso le cui acque si muovono flaccide inconsapevoli della loro immensità. Quando aveva deciso il maestro gli si era rivelato ed era cominciato il vero cammino. Un presente smisurato da conoscere, un’alchimia di misteri e consapevolezze gli presentava altre porte che lo attendevano instabili. Solo lui possedeva la chiave.
Attraverso i piani delle proprie solitudini il corpo l’aveva abbandonato – brevi e intensi momenti- trasformandosi nell’unicità col maestro. Le conoscenze razionali lo opprimevano cercando di trascinarlo verso una realtà cui non voleva appartenere, non ora. In seguito avrebbe trovato il modo di coesistere sospeso tra lucido ed impossibile, il prossimo passo sarebbe stato serenamente esistere tra vita e tenebra. Era difficile accettare, ancor più comprendere.
Un’immagine di donna non avrebbe avuto senso di esistere, nel modo in cui era abituato a considerarla. Era uno specchio che rifletteva accanto alle sfumature del proprio corpo, un’esistenza opposta e complementare. Aveva il profumo di una presenza reale, travolta con completa consapevolezza nella magia del mondo in cui lui si muoveva a stento. Quella presenza che lo inquietava ora era respiro, emozione, desiderava accoglierlo; era la stessa che lo aveva guidato e a cui lui desiderava abbandonarsi come gli veniva chiesto.
Quando giunse al seme scomparvero, entrambi dimenticarono, l’imprecisione dei suoi primi passi e l’ignoto che lo disorientava. L’emozione lo avvolse e si lasciò accogliere dalla tenerezza del desiderio e della femminilità, sapendo di non essere mai stato solo. Il sonno raccolse la sua coscienza adagiata su una certezza, aveva trovato la strada.

Enrico Miglino

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