di Julian Schnabel
Il ritratto quasi agiografico di Basquiat, artista di colore entrato nelle grazie del mitico Andy Warhol, prometteva molto di più, visti i tempi di revival beat e pop-art che corrono e vista la strombazzata partecipazione nientepopodimenoche di David Bowie nei panni di Warhol.
Dunque Basquiat è l’unico nero che ruota nel mondo dell’arte newyorkese di quel periodo, è coccolato da Warhol, si droga ed è pure un bel ragazzo: aggiungete una vita breve ed intensa, spennellate che sembrano messe a caso, una critica che comprerebbe anche l’intestino di Warhol ed il film è già pronto. “Basquiat” è comunque molto godibile, colorato, dinamico e molto ben recitato. Il cameo di Bowie lascia un po’ perplessi, se non fosse il Duca Bianco in persona ci sbellicheremmo dalle risate, con lui in campo si sfiora il capolavoro.
A tutti i giornalisti presenti in sala nasce subito un sospetto. Non impareremo che il film è stato finanziato da qualche galleria che ha la cantina piena di tele di Basquiat? Il prezzo della pop-art è un po’ in calo? Niente paura, con un minimo investimento ne rialziamo le quotazioni. L’incontro tra Basquiat e DioWarhol è un po’ troppo leggendario. Un ragazzo nero avvicina il suo idolo in un ristorante ed in un solo minuto riesce a vendergli un paio di disegni dallo stampo infantile. Il gioco è fatto, ed anche l’affare.