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Gran Torino

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Il vecchio Walt è seduto in veranda. Il cane accucciato vicino a lui. Una serie di lattine di birra vuote. Una sigaretta che spunta dalle labbra. Lo sguardo duro. Il quartiere è ormai invaso da troppi musi gialli, che il vecchio Walt sopporta a fatica. Però quando uno di loro si trova in difficoltà, perché preso di mira dalla gang della zona, Walt interviene. Non tanto perché vuole aiutare il ragazzo, quanto perché quei maledetti mangiariso sono entrati nel suo giardino, nella sua proprietà.
Eastwood scrive un altro meraviglioso capitolo di cinema umanista, che nasce da una inesauribile riflessione su temi fondamentali, quali la vita, la morte, la religione, il rapporto con Dio, la morale, l’insegamento, la guerra. Il personaggio di Kowalski, apparentemente fascista, razzista e di destra è invece l’ultimo baluardo di una moralità (costruita su valori più o meno condivisibili ma fondamentali per la coesione di una nazione) che non trova spazio tra le nuove generazioni. Kowalski guarda male la nipote con il piercing all’ombellico, i giovani neri che importunano una ragazza, i membri della gang orientale che se la prendono con Thao, un ragazzo che ha cercato di fregargli la sua Gran Torino.
Ed è da questo incontro inaspettato, che nasce da un tentativo di furto, che Walt entra in contatto con Thao e la sua famiglia (e quindi la sua cultura). E attraverso questo rapporto, questa impensabile amicizia Kowalski si apre nuovamente alla vita (e quindi all’inevitabilità della morte) e trova quella pace interiore che né Dio né tantomeno un prete appena uscito dal seminario possono dargli. Walt diventa un padre per Thao, come Frankie Dunn lo era diventato per Maggie Fitzgerald in The Million Dollar Baby.
Gli insegnamenti di Walter avvengono attraverso un’ironia crudele e feroce e allo stesso tempo divertentissima, che trasforma il suo razzismo in una serie di irresistibili battute, un razzismo che poi si scopre essere la base della sua visione dell’amicizia maschile, in cui è lecito prendersi per il culo ed insultarsi, come dimostra a Thao quando lo porta dal suo amico barbiere italiano.
Clint Eastwood ha la straordinaria capacità di saper raccontare ancora i valori fondamentali degli Stati Uniti nell’unico modo in cui essi possono sopravvivere, accettando di evolversi nell’incontro con l’altro, con il diverso. Solo così è possibile trasformare i pregiudizi in conoscenza, la diffidenza in amicizia, la vendetta in sacrificio. Se si pensa a Callaghan e al suo modus operandi potrà apparire ancora più chiaro il percorso compiuto da questo cineasta, capace di penetrate come pochi il cuore delle problematiche morali di un’intera nazione, rielaborandole in un messaggio di profonda umanità.
Walt è un personaggio complesso, ha combattuto la guerra in Corea, ha ucciso uomini, va in chiesa ma non si confessa, è stato operaio alla Ford e simboleggia le contraddizioni, le paure ma anche i valori più importanti dell’America stessa. Un Paese che non sa più che farsene dei vecchi e di quello che essi rappresentano. E forse questo è il suo errore più grande.

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