Fra gli insetti sociali, quelli che hanno più colpito l’immaginazione dell’uomo, come dimostrano le innumerevoli leggende sulla loro vita, sono le formiche. Catalogate in diverse migliaia di specie, la loro società è antichissima, come risulta evidente dai reperti fossili nell’ambra baltica, databili circa 30 milioni di anni fa. In tali depositi sono stati ritrovati esemplari di tutte le caste sociali con caratteristiche uguali a quelle degli attuali esemplari. Il che dimostra come, in un periodo così lontano, le società delle formiche fossero giè del tutto strutturate come ai giorni nostri. Seguimo, nelle sue linee generali, la vita di uno di questi nidi ed osserviamo come è composta una di queste società. Se noi apriamo un formicaio vediamo subito fuggire un numero imprecisato di formiche tutte attere, che sono i componenti della casta sterile, tutte femmine, a volte di uno o più tipi, differenziabili quindi in sottocaste. Se raggiungiamo il cuore del nido troveremo una grossa formica (a volte più d’una), si tratta della regina, femmina feconda, il cui unico scopo è di deporre uova per la continuazione della specie. Se la nostra indagine è fatta in un determinato periodo dell’anno (variabile da specie a specie) possiamo trovare degli individui alati, sono questi maschi e femmine feconde pronti per il volo nuziale. (L’accoppiamento delle formiche avviene in volo). Da questi individui dipende la diffusione della specie mediante la fondazione di nuove “città”. Continuando la nostra esplorazione nel nido troviamo, suddivise in apposite cellette tutte comunicanti tra loro, da lunghi e tortuosi corridoi le uova, le larve, ed i bozzoletti con le loro larve o pupe. Questi ultimi sono quelle specie di “grani di riso” che le operaie portono frettolosamente e freneticamente in salvo quando noi distruggiamo un formicaio e sono inoltre poste in commercio come nutrimento per pesci ed uccelli e con il nome improprio di “uova di formica”. Ora che abbiamo conosciuto i componenti del nido, anche se molto superficialmente, (in seguito parleremo dei compiti specifici di molte di loro), vediamo in generale come si svolge la loro vita. La città delle formiche viene fondata da una sola femmina feconda: la regina.
Essa, insieme con le compagne e i maschi, lascia il nido dove è nata, per sovraffollamento, in volo nuziale. Lo sfarfallamento è contemporaneo non solo per gli individui dello stesso nido, ma bensì per tutti quelli di una determinata regione, per cui si deve pensare che esso dipenda da particolari condizioni ambientali. Dopo le nozze avvenute in volo (unico volo delle formiche feconde), le regine scendono sul terreno dove sceglieranno il luogo per iniziare la nuova colonia. E’ questo il periodo più delicato della vita della comunità, in quanto la femmina regina è sola, poichè il maschio muore dopo il volo nuziale. Trovato il posto adatto la regina si sgancia le quattro ali, che cadono, come l’abito nuziale di una sposa a fine cerimonia, spazzola il suo corsaletto e si mette a scavare il terreno per chiudersi in una cella sotterranea dove tenterà di fondarvi una nuova colonia. La fondazione di questa nuova città che molto spesso termina in tragedia, è uno dei più patetici e più eroici episodi, della vita degli insetti. Colei che sarà forse la madre di un innumerevole popolo si sprofonda dunque nella terra e vi costruisce una stretta prigione.
Non possiede altri viveri tranne che quelli che porta nel suo corpo, vale a dire nella tasca sociale, una piccola provvista di rugiada mellificata, la sua carne e i suoi muscoli, soprattutto i muscoli possenti delle ali sacrificate, che verranno interamente riassorbiti.
Nulla penetra nella sua tomba, salvo un poco di umidità proveniente dalle pioggie e forse qualche misteriosa sostanza di cui si ignora ancora la natura. Paziente aspetta che si compia l’opera del suo destino, finalmente qualche uovo si spande intorno a lei. Ben presto da uno di essi esce una larva, altre uova si aggiungono alle prime, due o tre larve ne escono nel frattempo; chi le nutre? Non può essere che la madre, poichè la celletta è chiusa a tutto, fuorchè all’umidità. Sono già cinque o sei mesi che la madre è sepolta: ormai non ne può più, non è più che uno scheletro. Allora comincia l’orribile tragedia. Vicino a morire di una morte che annienterebbe d’un colpo tutto il lavoro fatto fino a quel momento, essa si decide a divorare una o due delle sue stesse uova, il che le dà la forza di sopravvivere e di rideporne altre tre o quattro, si rassegna inoltre a divorare una delle sue larve, il che le permette, grazie agli apporti segreti di cui non conosciamo la sostanza, di nutrirne altre due o tre; e così tra parti ed infanticidi, infanticidi e parti, tre passi avanti ed uno indietro ma regolarmente avvantaggiandosi sullo spettro della morte, il macabro dramma si svolge per quasi un anno, fino a che si formano alcune piccole operaie deboli, perchè mal nutrite sin dalla nascita, ma abbastanza in forza da forare i muri di quella cella che è stata anche la loro prigione per più di un anno. Ora esse usciranno a cercare i primi viveri per loro, ma in modo particolare per la loro regina nonchè, madre. Da questo momento la regina non lavorerà più, non si occuperà di null’altro fino alla morte, che di deporre uova giorno e notte. I tempi eroici sono trascorsi, l’abbondanza e la prosperità prendono il posto della lunga carestia, la prigione si allarga, si costruiscono velocemente strade, ponti e sottopassaggi intorno alle radici conficcate nel terreno, si costruiscono stanze, magazzeni, incubatoi collegati tra loro con millimetrica precisione dando finalmente un volto definitivo alla nuova ” CITTA’ “.
La città delle formiche
Giorgio Malferrari