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Il padre de li santi

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Prospettive teatrali a 360°

Ospitato all’interno del suggestivo Teatro di Documenti di Roma lo spettacolo: Il padre de li santi, ovvero: i monologhi del cazzo[1], trova in questo spazio il luogo deputato ad una rappresentazione inquietante e grottesca, volta ad un pubblico vicinissimo alla scena, posto tutto intorno allo spazio della rappresentazione.
La scena si apre con una passerella di attori-maschera cabaret tedesco anni ’30: il viso bianco, con la bocca rossa, gli occhi contornati dalla matita nera, tutti e quattro si avvicinano agli spettatori in modo composto all’interno della loro distinta giacca nera; poi si fermano e si posizionano uno di fronte all’altra: sono uno il doppio dell’altro. Inizia un monologo di presentazione del protagonista: il cazzo. Il monologo è diviso tra i vari attori che lo rendono così multivocale. Primo approccio di prospettiva a 360°: il suono proviene da più angolazioni.
Gli attori sono quattro come del resto lo sono gli angoli della sala e allora ogni attore si occupa di un pubblico diverso. Ogni spettatore ha un punto di vista diverso dello spettacolo. E loro, gli attori, guardano negli occhi il pubblico. O meglio le maschere di cerone bianco ci guardano dritti negli occhi e osservano le nostre reazioni di fronte alle loro parole, parole irriverenti e poco perbeniste… si parla del cazzo del resto! E allora tutto diventa come materializzazione di una psiche lontana, quella psiche descritta da  Freud, grazie anche alle luci che ad un certo punto, verso l’inizio dello spettacolo si accendono e si spengono, come per un effetto strobos e tutto diventa quasi un sogno al limite dell’incubo, dove questi esseri-mascheroni, eccentrici nel loro formalismo gestuale, detengono delle verità scomode al perbenismo sociale. E così per quanto abbiamo operato su di noi per smantellare dei preconcetti di genere, anche se esterniamo una risata compiacente, rimaniamo comunque esseri suscettibili di vergogna e/o disgusto di fronte l’esplicitazione di un discorso salottiere e un po’ sboccato sull’omosessualità e/o sulla pedofilia. Del resto mentre vige l’argomento della pedofilia, un’attrice ci dice – questa volta in modo del tutto naturalistico – che certe cose non possono essere accettate: non sono ammesse nella società civile. Mentre l’Autore che nel frattempo ha fatto pervenire una sua lettera, visto la delicatezza dell’argomento, rinvia il suo giudizio dichiarandosi insicuro su cosa pensare e implicitamente ci invita a riflettere da un altro punto di vista: ecco che non è più Apollo a suggerirci i pensieri ma Dioniso.
E allora abbiamo una prospettiva a 360° anche all’interno del testo, che si svela come finzione a volte e altre che entra nella vita del momento condiviso: la lettera dell’Autore ci arriva da uno spazio al di fuori della scena ed è tra l’altro un messaggio al di fuori del testo drammaturgico comunemente pensato.  
Le vicende si susseguono e sono le più disparate: si passa dallo psicologo al monte Olimpo. E questo è una forza del testo che però a volte diventa troppo didattico-storiografico. Gli attori però danno prova di grande abilità sia vocale che gestuale e interpretativa in genere passando da una recitazione estraniante ad una naturalistica con disinvoltura.
Uno spettacolo che riesce ad arricchire l’immaginario della psiche con qualcosa che riconosciamo appartenente ad una tradizione teatrale (il mimo) ma che sa rivelarsi inaspettato nel suo essere lì, in quel momento.
 
Breve ma dilungata descrizione sul Teatro di Documenti
Come a dire “ghiaccio caldo”… scriveva Shakespeare nel Sogno di una notte di mezza estate
Per comprendere a pieno lo spettacolo bisogna comprendere prima lo spazio che lo ospita, perchè come affermò Quadri: quel teatro è di per se “scenografia permanente”. Allora provate a fare un piccolo sforzo e ad immaginare una porta color avorio. La porta si apre e di fronte a voi una piccola anticamera: il botteghino. Fate il biglietto e aprite un’altra porta color avorio: vi trovate nel foyér, sotto una volta a botte. Tutto è bianco. Siete arrivati in anticipo e una ragazza vi viene incontro presentandosi come guida. La seguite. Un piccolo museo nella stanza di fianco al foyér, ospita progetti scenografici e mascheroni neri sopra a manichini coperti di tuniche rosse. Siamo nella Grotta scenografica. Tutto è bianco. Poi si va giù attraverso un cunicolo stretto e antico. Il Teatro è ricavato da una struttura naturale preesistente che risale al Seicento. La sala di sotto ospita un palchetto e una platea rialzata. Cubi bianchi. E una statua ricoperta da lucine rosse. Poco più in là però c’è la seconda sala, questa è collegata ad un’altra sala, che le sta proprio sopra, da una botola con dei gradoni. Presupponendo che gli spettatori si accomodino nella sala di sopra questi potrebbero vedere uno spettacolo nella sala di sotto tramite uno specchio. E magari vedere spuntarsi un attore da un lato tramite dei piccoli passaggi laterali alle panchine degli spettatori. Tutto avvolto nel biancore dei muri e del soffitto. Dal montacarichi una statua da clown si solleva dalla sala di sotto a quella di sopra. Squilla una cornetta del telefono appesa al muro.
 
Breve citazione di Franco Quadri:
“…è nel Teatro di Documenti che l’utopia è destinata a compiersi, […] con l’acquisizione graduale di un sistema di grotte, l’una dentro l’altra, […] e tra botole, scale, fessure di comunicazione, punti di fuga che ossessionavano con Damiani i suoi spettatori si moltiplicarono assieme a più scene coesistenti per più spettacoli da rifrangere in un solo spettacolo, perché il visibile e l’invisibile, l’immagine e il suo fantasma, divengano complementari, giocando con le fonti inarrivabili e avvolgenti del suono.”   
 

[1] Il testo è di Luigi Lunari (che tra l’altro ha appena pubblicato una Breve storia del teatro con Bompiani veramente piacevole e piena di curiosità, delineando un approccio trasversale con l’argomento), la regia di Luciano Damiani (Biglietto d’argento per la sua instancabile ricerca teatrale, purtroppo ci ha lasciato da poco) e gli attori sono quattro, giovani ma impeccabili: Danilo Gattai, Florigio Lista, Sara Rutigliano, Vanessa Sacco.

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