Il neoplatonico Giamblico parlava, riguardo alla fine dell’uomo sul proprio pianeta, della dissipatio humani generis, ovvero dell’eventualità della dissipazione di tutto il genere umano. Dissipazione non in senso morale ma nell’accezione della tarda latinità in cui dissipatio recava il significato di evaporazione. Ed è esattamente ciò che accade in questo romanzo, in una atmosfera dominata dal surrealismo, nella notte tra l’1 e il 2 giugno. L’unico superstite di un’umanità dissipata è il protagonista: un uomo lucido e ironico, un Io narrante esemplare ultimo di una specie la cui storia, il cui sviluppo e la cui evoluzione coincidono con se stesso, unico reduce.
L’umanità è dunque sparita, dissipata, ma le macchine, le città e tutto il mondo, prodotto dell’evoluzione plurisecolare dell’umanità, ci sono ancora. Il mondo con la sua millenaria storia, generato in secoli di guerre, rivoluzioni, invenzioni e creazioni, in cui miliardi di individui hanno apportato il proprio contributo con la vita, è ora ereditato da un uomo. Un uomo solo. La vicenda risulta particolarmente paradossale in quanto si tratta di un uomo che si stava apprestando al suicidio. Ma ancora più paradossale è il suo vivere come superstite in un mondo in cui sono tutti morti e lui, aspirante suicida in un mondo che era vivo, è rimasto unico vivo.
La natura non si è accorta di lui la notte del 2 giugno? Ora quell’intermezzo che si chiama storia si è concluso o può continuare per uno solo e con uno solo? Lo stupore misto al panico dominano il suo interrogarsi riguardo un accadimento che ha dell’inspiegabile. Così come inspiegabile risulta la scelta operata dal caso, o dal Dio in cui non crede, di riservare per lui un destino da eletto beato o un eterno dannato.
Il protagonista scampato a se stesso e alla propria tendenza autodistruttiva ha a disposizione un mondo lasciatogli in eredità, ma a quale fine? Il monologo solipsista dell’autore-protagonista in preda ai dubbi più inesplicabili, arriva a definire il mondo come un luogo mai stato così vivo, pulito, luccicante, allegro come oggi che una certa razza di bipedi ha smesso di frequentarlo. La libertà anarchica e solipsista del protagonista lo conduce a vedere se stesso come unica verosimile spiegazione: io sono il successore. L’umanità c’era, ora ci sono io. L’epilogo si incarna in me. concludo le generazioni. Ero lo scopo, la meta, il termine ultimo.
Il tutto inizia quando il protagonista anonimo decide di togliersi la vita all’interno di una caverna in montagna. Dopo poco cambia idea e torna indietro. Di qui inizia la ricerca tormentosa di altri sopravvissuti per le strade di Crisopoli (nome fittizio dietro il quale si cela la città di Zurigo), per l’aeroporto della città e attraverso il telefono a cui rispondono però solo voci registrate. Compagno assiduo della ricerca è il soliloquio appassionante e paradossale del protagonista in cui i ricordi del passato si intrecciano con angoscianti interrogativi, del tutto legittimi, relativi al destino dell’umanità scomparsa. Emblematico e ancora più paradossale è il finale del romanzo con il protagonista che, seduto su una panchina aspetta il dottor Karpinsky, un medico che gli aveva curato la neurosi ossessiva anni prima a cui era rimasto particolarmente legato. Ma il dottor Karpinsky è morto, prima che si dissipasse l’umanità, il giovane protagonista ne è consapevole ma lo attende ugualmente, lo attende certo della sua impossibile venuta.
Autore solitario ed incompreso, geniale ed eclettico Guido Morselli visse la sua solitudine come prodotto stesso della sua incomprensione. Le sue opere furono rifiutate da molte case scrittrici e, di conseguenza, furono anche prive di un pubblico (come attesta anche la sua carta di identità che alla voce Professione recava la scritta Agricoltore). Tuttavia il suo amaro destino non gli impedì, tra mille tormenti, di assecondare e dedicarsi alla sua passione: scrivere. Romanzi, racconti, saggi e articoli sono ora pubblicati con un certo favore di critica ed attestano il valore e la genialità di un autore che per più di un trentennio si è aggirato come uno spettro impalpabile nell’ambito della cultura italiana. La fama postuma che arrise a Morselli dopo la pubblicazione di quest’ultima sua opera, dunque, sembra essere tanto beffarda ed assurda perché pagata con la propria vita: con quel suicidio con il quale Morselli chiude la sua esistenza, quella di cui Dissipatio H.P sembra esserne il testamento più autentico e metafora della sua inconciliabile solitudine esistenziale.