Il corpo di una ragazza viene ritrovato sulla sponda di un lago. Il corpo è nudo, ricoperto da una giacca. La testa è girata in maniera innaturale, a guardare le acque del lago.
“Qui ci stanno di mezzo i sentimenti” dice il commissario Sanzio (l’ottimo Tony Servillo) ad Alfredo, il suo aiutante.
Chi ha ucciso la ragazza non voleva, mentre se ne andava e la guardava per l’ultima volta, vedere i suoi occhi sbarrati. Le ha girato la testa, è qualcuno che le voleva bene.
E allora si inizia a indagare tra tutti quelli “che volevano bene” ad Anna, la ragazza uccisa.
Il padre, morboso nel riprendere il corpo della figlia nei filmini estivi.
Il fidanzato, che aveva dormito con Anna la notte prima che fosse uccisa. Mario, lo scemo del villaggio, incapace di fare del male ad una mosca, che guardava Anna ogni mattina correre davanti alla sua cascina, dove vive con il padre paralitico.
Il padre di Angelo, un bambino “difficile” che Anna aiutava.
In un’atmosfera rarefatta e quasi sospesa si svolgono le indagini del commissario Sanzio. Sotto la presenza incombente della montagna che domina il paesino e attraverso i colori lividi del lago, dei boschi e delle pietre si cerca di ricostruire i fatti e di raggiungere la verità. La narrazione procede lentamente, in una rivisitazione atipica delle regole del noir e dell’indagine poliziesca, e mano a mano si svelano segreti e si aprono le psicologie dei personaggi. Vengono alla luce rapporti e drammi, situazioni familiari dolorose e frammentarie. La famiglia, per una volta, non è più quel nucleo felice e rassicurante ma diventa il centro delle problematiche di tutti i personaggi. Dove soprattutto nei legami con i padri si scoprono le difficoltà maggiori, il senso di un distacco generazionale sempre più grande, ma anche il desiderio di ricucire questo strappo, di diminuire le distanze, soprattutto nel rapporto tra il commissario e sua figlia.
La ragazza del lago non è un film compiuto. Nel finale si smorzano forse troppo velocemente le varie luci che avevano illuminato il percorso investigativo del commissario, alcune sfumature psicologiche perdono la loro intensità ma rimangono presenti alcune buone idee di regia e soprattutto un lavoro di sceneggiatura, messinscena e attoriale di tutto rispetto.
Ci si muove dalle parti dei lavori di Sorrentino (il produttore è lo stesso dei film del regista de Le conseguenze dell’amore) sia per l’uso della macchina da presa (anche se Andrea Molaioli, già aiuto regista di Nanni Moretti, rinuncia ai virtuosismi per una narrazione filmica più fluida e omogenea) sia soprattutto per l’utilizzo e la scelta della musica (tra atmosfere ambient e minimalismo elettronico alla Thom Yorke)
Ci si muove in terreni finalmente cinematografici, dove si torna a pensare ai film attraverso tutte le loro componenti e dove finalmente non ci sono più le tante banalità e volgari ipocrisie che stanno divorando i nostri schermi.
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