DEBOLEZZA.
“Strano, s’era sentito chiamare, nessun dubbio. Ma non ci pensò più, forse era la sua immaginazione: del resto, non voleva essere disturbato. Era in uno strano stato d’animo, invaso dalla soddisfazione, con ogni nervo teso e una musica nel sangue. Si sentiva parte della natura, del sole, delle montagne e di tutto il resto; alberi, erba e paglia gli infondevano col loro fruscìo il senso del proprio Essere. L’anima gli divenne grande e sonora come un organo, non dimenticò mai più come quella dolce musica gli si infondesse nel sangue” (Knut Hamsun, “Misteri”, capitolo VI).
Scardinato, disorientato, nevrastenico: il protagonista di “Misteri” è un artista della menzogna e una selvatica incarnazione dei contrasti e delle contraddizioni che già animavano il febbrile giovinastro di “Fame”. Sregolato e stravagante, disarmonico e affascinante, è uno straniero e un vagabondo che s’impone in un ambiente trascinando con sé tutta l’esasperazione della sua esistenza: tracimante, straborda e soverchia: decide e incide, deride e collide con l’alterità: splendidamente spregiudicato, deliziosamente estremo.
E non me ne frega niente delle ironie di Eco sull’allitterazione e sugli omoteleuti, detto tra le righe, per inciso. L’allocco è chi non vuole intendere. Non chi gioca.
Nagel è follia e debolezza: nel romanzo, è una cometa nell’esistenza di una comunità d’una città della costa. Compare a metà estate e scompare un anno dopo; vittima, di un amore o di se stesso, questo davvero poco conta. Vittima. Nagel è un eccentrico vestito giallo e un ampio berretto di velluto: navigatore misterioso che sembra apparire del tutto fortuitamente nella narrazione. È uno straniero alla vita che solo in letteratura ha ragione di esistere; perché nella vita reale non può avere scampo, è destinato a deragliare e autodistruggersi, perché non esiste comprensione della follia tra gli uomini: c’è intuizione e riconoscimento, poi si risolve l’equivoco ammettendo: “egli è altro”. Facile.
È la maledizione di chi non vuole accettare compromessi. Si risolve con una morte rapida: è bene non lasciare troppi segni, e ridacchiare come polvere della polvere della vita. Sprofondare e lasciar riemergere solo qualche bolla. Più intensa d’un canto, più autentica di una vita di menzogne.
Viaggia con due bauletti, una pelliccia, una valigia e un astuccio di violino, che giura d’aver smesso di suonare. Dice d’essere un agronomo. Si sta fidanzando una donna che tutti hanno trovato attraente, e tutti vagheggiano: c’è una festa in suo onore. L’ombra è il suicidio d’un religioso, il giovane e inquieto Karlsen. L’amore è un segreto che può trascinare alla follia. La fede è la prima sorella dell’amore. Il disordine si cerca di seppellirlo, perché non agonizzi il quieto vivere sotto il peso dell’insistenza (dell’esistenza) della menzogna.
Nagel è un felicissimo cortocircuito, la promessa d’una dannazione che dovrà travolgere e accompagnare alla deriva un microcosmo.
Nagel è talmente onesto da riconoscere e rivendicare il suo diritto alla morte: non si può vivere rifiutando le norme e le regole del sistema e mantenersi intatti. C’è una scelta coerente da meditare, interiorizzare e attuare; senza tradire se stessi, coinvolgendo nel naufragio un solo spettatore: se stesso.
Perché altrimenti è esibizione e recita su un palcoscenico, e qualcuno potrebbe lamentare l’artificio. Nagel non è artificio, è l’arte che appare, s’insinua, s’incarna,combatte, rifiuta e afferma, e infine si consegna all’eternità.
La morte, la morte, la morte che arriva: un canto splendido di Tiziano Sclavi s’è impadronito dei miei pensieri, e adesso altro non so e non vorrei dire: concludo semplicemente affermando che questo libro è febbre, amore e follia: e che non va letto ragionando, ma inquietandosi e abbandonandosi infine, perché esistono onde che non si spengono e fiamme che non feriscono, e chi legge Hamsun rinuncia a difendersi dal mondo, e domanda solo d’esser sprigionato e d’impazzire; perché all’inganno esista fine, e trionfi la vita, e sia arte.
“Se credessi in un dio” rispose poi “un dio davvero eccelso e sacro, nel nome di questo dio giurerei che effettivamente penso tutto quello che dico, assolutamente tutto, e che sono convinto d’agire per il meglio anche se le confondo le idee. Quando discutemmo l’altra volta, lei disse che io rappresento una contraddizione al modo di pensare degli altri. È vero, riconosco di essere la contraddizione fatta persona, e nemmeno io me ne spiego la ragione. Tuttavia m’è impossibile ammettere che anche gli altri interpretino le cose al mio stesso modo, a tal punto limpidi e trasparenti mi appaiono i fatti, e così luminosamente chiara ne vedo la relazione tra loro. (…) Se solo potessi convincerla a credermi, ora e sempre!” (Knut Hamsun, “Misteri”, capitolo XI).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Knut Pedersen, alias Hamsun (Garmostræde, presso Lom, Gulbrandsdal, Norvegia 1859 – Nørholm, Grimstad, 1952), romanziere, poeta e drammaturgo norvegese, autodidatta. Premio Nobel per la Letteratura 1920.
Knut Hamsun, “Misteri”, Rizzoli, Milano, 1979.
Traduzione di Attilio Veraldi. Prefazione di Claudio Magris.
Il romanzo è strutturato in ventitre capitoli, numerati progressivamente e non titolati.
Titolo originale: “Mysterier”, 1892.
Approfondimento in rete:
Odin.