Mentre sul calcio italiano imperversa la bufera con un inevitabile, comune senso di disagio, anche se da tempo e un po’ tutti la temevamo, esce questa briosa ed ammiccante iniziativa editoriale della Leconte. Manca poco alla grande avventura dei mondiali e la stessa copertina, scanzonata quanto basta, non trascura dettagli evocatori e futuri segni premonitori. Sogni poi realizzati, nel buon auspicio, visto il profondo luglio in cui ne scrivo, soffocante e silente del riverbero accecante per l’inaspettato trionfo appena scorso. Scaramanzie, amuleti e tic da campioni, ognuno a fare i propri scongiuri, a convalidare o, meglio, piuttosto a riscoprire il lato più irrazionale e magico del calcio, quello di cui, probabilmente, eravamo un po’ più dimentichi. L’incantesimo del puro diletto continua tra queste pagine, filtrato attraverso l’esperienza di un mondiale del tutto insolito, inatteso e, nondimeno, mai così tanto invocato. Mundial tic è, senz’altro, il cuore e la parte più succulenta di tutto il testo. Cronologicamente scanditi, sono rievocati affascinanti, tondi misteri per quello che, da sempre, è stato considerato il trofeo più ambito: la gloriosa, memorabile coppa Rimet. Messico ’70. Vola la memoria su Italia – Germania: personalmente mi ritengo un eletto per aver visto, in bianco e nero, quell’indelebile evento. Scorrono pagine tra aneddoti e superstizioni e ci s’imbatte in pali e traverse stregati fino a vere e proprie ossessioni del caso nell’impossibilità di prevederlo. In un calcio “che è diventato quasi prevedibile”, Massimo Bucchi, con le sue “460 parole” introduttive, esorta indirettamente il tifoso al sortilegio riportandoci subito ai tempi del “basta avere Maradona. Se non è possibile, allora macumba”. Miti e romanticismo, scomparsi attraverso l’affermarsi di un business che, già a partire dagli anni Ottanta, prendeva il sopravvento, qui ritrovano adeguato spazio e dignità nella loro innata spontaneità. Lo fanno riscoprendo il calcio, quello più genuino, condito di strafalcioni e “leggende metropolitane”. “Lunghe nottate passate su assurdi siti di improbabili tifosi”, come le descrive Gabriele Salvatori, uno dei due curatori del testo insieme a Marco Traversari, oltre ad altre e più ortodosse ricerche del genere, sono, come loro stessi asseriscono, il tentativo di restituire al calcio una più che mai necessaria carica d’umanità. Ora che, sfogliando pigramente giornali nella canicola pomeridiana, apprendiamo di quante sentenze e ricorsi continuino a travagliare il nostro caro vecchio pallone, mi viene da pensare più che mai quanto il football sia uno sport, un gioco bellissimo e coinvolgente, e nient’altro. Ma i tifosi, sì, hanno il cuore debole e soprattutto sono disposti ad accettare di tutto… Squadre quotate con i loro risparmi in borsa, paventate amnistie e relativi campioni tra le solite veline con annessi vezzi e vizi. Per nostra fortuna, oltre gli esilaranti testi di questo libro, troveremo anche ventisette vignette di Bucchi che, già da diversi anni, ci delizia dalle pagine de La Repubblica. Una satira, oltre che deformante, elegante nel suo essere irriverente, quanto di più adeguato per meglio alleviare il già pesante fardello del tifoso ma anche di quanti, più semplicemente, vogliano continuare a gioire del calcio; perché in fondo, non dimentichiamolo, un match dovrebbe significare proprio questo: puro divertimento. Certo, ogni spettacolo ha un suo prezzo, ma che sia tale da non manipolare la natura delle cose e lasciarci ancora il gusto di guardare una partita con innocenti, stupefatti occhi, senza troppa malizia a rodere dentro. Perché nel calcio, non dimentichiamolo, è ancora insita, nonostante tutto, tanta poesia.
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