KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Intervista con Mata

13 min read
 
La storia dei MATA è indissolubilmente legata a quella dei Nevroshockingiochi – tutti e tre i membri provengono da questo progetto ultradecennale votato alla decostruzine sonora e cognitiva – e a quella della OFN – Only Fucking Noise, crew che da dieci anni gestisce l’omonima label e organizza eventi, tra cui il noto festival underground Onlyfuckinglabels.
 
Il progetto Nasce nel 2015 ed è attualmente formato da Alessandro Bracalente, Mauro Mezzabotta e Emanuele Sagripanti – gli ultimi due, oltre che nei Nevroshockingiochi, già negli Esdem. Elemento aggiunto fondamentale è il produttore, polistrumentista e fonico Manuel Kopf (Tetuan, Resurrecturis, The Shell Collector, Kmfrommyills Babau), capace di apportare un prezioso contributo tecnico e artistico al progetto.
 
Il primo EP “ATAM” viene pubblicato nel 2017 dalla Atypeek Music di Lione, strutturato come un’unica composizione di 36 minuti divisa in 4 movimenti.
 
Nel 2018, a seguito di assestamenti di formazione, la band inizia a cercare nuove vie per lo sviluppo del proprio sound, che si fa più asciutto e aggressivo rispetto al passato, come risulta evidente in questo nuovo album “Archipel{o}gos”, un disco nato di getto, senza una vera e propria intenzione programmatica, assecondando un certo approccio sound art e memore delle sonorità noise rock e industrial con cui i componenti della band sono cresciuti. Non ci sono band di riferimento da emulare, ma tra i solchi è possibile scorgere echi di Einsturzende Neubauten, Coil, Swans, dei Melvins più sperimentali, nonché passaggi IDM e glitch che possono ricordare Alva Noto e Pan Sonic, o alcune derive digital hardcore proprie di Alec Empire.
 
Il lavoro della band è focalizzato sul ritmo, dove si sperimentano le possibilità dell’utilizzo di grancasse sia elettroniche sia acustiche – queste ultime messe in verticale e suonate con mallet o bacchette – declinate in innumerevoli caratteristiche timbriche a sviluppare un certo tribalismo, giocato nel continuo contrasto tra elementi caldi e elementi freddi. Alla registrazione – effettuata in presa diretta in studio e con le casse riprese in un gazebo in legno e vetro per avere le caratteristiche di risposta sonora ricercate dalla band – tutti i brani sono arrivati quasi in forma di canovaccio, lasciando quindi ampio margine all’improvvisazione.
 
Only Fucking Noise Records
 
Teaser
 
Peyote Press
 
Intervista
 
 
Davide
Ciao. L’uscita di questo lavoro è prevista per il 4 ottobre prossimo? Possiamo parlarne prima o preferite aspettare l’uscita effettiva sul mercato? (Io preferirei la prima… cioè del parlarne prima…)
 
Alessandro
ciao Davide, pubblicala pure prima, per noi non c’è problema.
 
Davide
Se Archipelagos vuol dire in greco arcipelago, cos’è invece lo “Arcipe-logos” del titolo ovvero un arcipelago del logos? E perché le parentesi graffe (e graffianti) piuttosto che tonde a racchiudervi la “o”…?
 
Alessandro
Cogli nel segno, ovviamente il gioco è abbastanza immediato, comunque si, arcipelago del logos credo possa essere la parafrasi perfetta, ma anche arcipelago di logos e arcipelago di loghi.
È un po’ il sunto delle riflessioni che ci siamo trovati a fare mentre componevamo il disco, l’osservazione di una contemporaneità caratterizzata da una compresenza di moltitudini di linguaggi e codici che non si toccano e che non trovano traduzioni per comunicare fra loro.
La frammentazione culturale dell’occidente contemporaneo in cui il processo di sostituzione delle effigi ideologiche e religiose con Loghi commerciali sembra così avanzato da aver creato una società di gruppi isolati e chiusi, composti a loro volta da individui incapaci di creare comunità. Arcipelaghi, gruppi di isole, ciascuno con il proprio idioma caratterizzati essenzialmente da individualismo e incomunicabilità.
Le masse migratorie di questi ultimi anni sembrano una prova del nove e quello che abbiamo visto finora è un atteggiamento generalizzato di ostilità e chiusura.
Nel disco si parla di incomunicabilità, in varie forme e c’è uno sguardo su questo sistema attraverso alcune sue possibili estreme conseguenze. Così, racchiudere la “o” in due parentesi graffe, è un modo per evidenziare questo gioco di parole, tentando di simulare un po’ l’effetto di un Logo commerciale. Graffa, appunto perché graffiante, certamente più rappresentativa del sound (prodotto) che si va a “vendere”.
 
Davide
Riprendo qui una nota nel comunicato stampa della Peyote Press: MATA, parola che esiste in moltissime lingue, con significati sempre differenti. È la traduzione dialettale di “fango”. Significa “quando” in arabo, “occhio” in indonesiano, “madre” in bengalese oppure “uccidi” in spagnolo (ma anche in esperanto), “marcio” in finlandese, “anche” in giapponese, “stregoneria” in lingua indiana Telugu, “non importa” in ucraino. Insomma, conclude, “assolutezza e ambiguità in un viaggio trasversale attraverso l’infinità dei linguaggi”. In spagnolo, per altro, mi pare che mata significhi anche cespuglio. E aggiungo che in islandese è “cibo” e “alimentazione” in svedese. Il gioco forse può continuare. Chiedo invece a voi cosa significhi davvero MATA.
 
Alessandro
Senza contare tutte le parole che si possono comporre con “mata” in giapponese!
MATA come già hai scritto, nasce proprio da questa idea di assolutezza. Il primo significato è quello, nel nostro dialetto, di fango, acqua e terra, l’Humus della vita nel nostro pianeta.
In seguito è stato affascinante scoprire tutti i significati che la parola poteva avere nelle diverse lingue e questo ha consolidato la nostra convinzione sulla scelta: MATA è una parola ma contemporaneamente tantissime parole, moltissimi concetti a secondo della persona o che la pronunci o del luogo in cui venga pronunciata, quindi ribadiamo la definizione proposta dal comunicato: “assolutezza e ambiguità in un viaggio trasversale attraverso l’infinità dei linguaggi”.
 
Davide
Cosa significa per voi decostruire o, meglio, il costruire attraverso un processo di decostruzione? E decostruzione di cosa? O costruzione di cos’altro?
 
Alessandro
Senza scomodare troppo Derrida direi che la necessità di decostruire si ha di fronte a strutture e linguaggi sedimentati e prevedibili, che perdono in efficacia proprio perché nella solidità che acquisiscono diventano istituzionali, stantii, morti.
È un approccio che abbiamo sempre prediletto, Archipel{o}gos, ma anche ATAM e anche i nostri progetti musicali precedenti ne hanno comunque risentito. Per noi è una via sperimentale di ridurre strutture che conosciamo ai minimi termini fino a ricavarne un alfabeto che sia il più possibile nostro per poter poi riproporre la nostra visione delle cose e esprimerci in un linguaggio che sia comunque comprensibile esternamente. Possiamo dire che è una via per ricercare un linguaggio il più possibile vivo e un modo per tentare di creare futuro, smontando e studiando il presente e il passato.
 
Davide
Qual è la connessione tra il tribalismo e l’elettronica industrial, quindi il primitivismo e la tecnologia apparentemente così lontani, per non dire opposti?
 
Alessandro
Credo che la risposta più esaustiva alla tua domanda si possa ritrovare direttamente nell’industrial stesso, quello che definirei “originale” dalla prima metà degli anni ’80 in avanti, le cui caratteristiche erano proprio queste, tribalismo e energia percussiva applicata a tappetoni e arpeggi sintetici. L’approccio è legato intrinsecamente alla sua estetica che negli anni ha attraversato varie fasi, passando da circuiti più sperimentali al mondo raver alle commistioni con l’exotica e la neo-psychedelia. Tutte espressioni della cyber-cultura sempre caratterizzata da una base di tribalismo.
Credo che la ripetitività e la modularità che la macchina elettronica permette e la sua possibilità di mantenere un beat costante creino un legame inscindibile con l’urgenza atavica e primitiva del ballo.
Per quello che ci riguarda direi che se c’è un’influenza industrial nella musica dei MATA, certamente in parte è questa, ma soprattutto la trovo nel modo di utilizzare gli strumenti: la disponibilità di una macchina che se ben programmata può riprodurre un brano musicale in maniera impeccabile passata però sotto le nostre mani umane e imperfette. È in questo scarto che credo si possa ritrovare l’essenza ancestrale dell’atto. È come un disegno a mano libera, fatto su un foglio perfettamente bianco, questo contrasto riesce a mostrare tutta la gestualità, l’emotività di un’esecuzione, molto più chiaramente rispetto invece alle stesse linee tirate però su uno sfondo già di per sé articolato e “sporco” in cui buona parte delle caratteristiche elencate si andrebbero a perdere.
 
Davide
Cosa pensate del termine che è stato per voi usato di IDM (Intelligent Dance Music o “braindance”), creata dallo speaker radiofonico inglese Alan Perry, consacrato poi dalla Warp, il quale però giudicherebbe altra musica dance elettronica come “non intelligente” (e invero ve n’è ma de gustibus)? Cosa è per voi una musica intelligente, cosa no?
 
Alessandro
Non credo che i MATA possano essere definiti IDM, sicuramente anche in questo caso ci sono delle influenze evidenti ma anche delle distanze abissali, soprattutto perché nel nostro set la presenza di sonorità di derivazione noise-core è molto forte.
La definizione di IDM andava a definire la caratteristica più cerebrale di questo, per distinguerla dal concetto più tradizionale di Dance Music pur lavorando essa con le medesime sonorità. La IDM è certamente musica Intelligente da mio punto di vista, o quantomeno “colta” nel senso classico del termine, dato che le strutture compositive sono molto articolate e affini a quelle della musica classica o contemporanea, questo non toglie che esista della musica dance intelligente, è una questione di gusto musicale, credo. In fondo David Guetta ha guadagnato molti soldi, quindi sfido a non chiamarlo intelligente!
L’heavy metal per converso è un genere molto articolato e che ha spesso guardato alla classica, ma dal mio punto di vista proprio in questo punto di incontro sono stati generati enormi obbrobri musicali… ma a molti piace.
Non vedo per forza intelligenza nell’articolazione o nei riferimenti colti, d’altronde è dal punk e dal noise che veniamo. Non vedo per forza bellezza in una musica definibile intelligente e il termine “intelligente” in sé può racchiudere molte accezioni. Certamente riesco però a pensare come intelligente un’opera che riesca a creare un’epifania, stimolare domande e riflessioni, fotografare il proprio tempo e immaginare un futuro, e queste per me solitamente sono anche le caratteristiche che rendono un’opera bella. Sull’arte però si parla sempre di punti di vista, impossibile pensare ad un’oggettività.
 
Davide
Registrato e mixato da Manuel Kopf e masterizzato a Londra (Transmutation studio) dal musicista, compositore e produttore Eraldo Bernocchi (Ashes, Interceptor, Bill Laswell, Zu, Harold Budd, Sigillum S e molto altro). Che apporti hanno dato al vostro lavoro?
 
Alessandro
Manuel è un grande produttore e oltre a questo è un ottimo musicista, poliedrico, molto attivo e creativo.  Il suo apporto è sicuramente fondamentale, si può considerare a tutti gli effetti un elemento aggiunto della band, ci segue come fonico nelle prove e nei live e ha curato assieme a noi la produzione del disco, proponendo soluzioni significative e aiutandoci a definire il sound che avevamo in mente. Archipel{o}gos è innegabilmente frutto anche delle sue manipolazioni e della sua esperienza.
Eraldo certamente non ha bisogno di presentazioni, con noi è stato solerte e molto disponibile, ci ha fatto tre proposte di master ognuna delle quali bucava letteralmente le casse. È stato difficile scegliere quale fosse la migliore. È davvero importante anche per il mastering affidarsi a qualcuno che abbia una visione ampia per poter capire dove vada portato tuo lavoro. Chi meglio di lui?
Ode e lode ad entrambi.
 
Davide
Il vostro lavoro mi ha riportato alla mente soprattutto gli Autechre. Perché in particolare vi siete dedicati al suono dei bass drums, sulla cui trama avete addensato suoni elettronici per lo più dalla vocazione indeterminata o, se non percussiva, comunque ritmica? Quali sono stati i parametri del suono e del ritmo per voi principali su cui concentrarvi, per farne che tipo di esperienza?
 
Alessandro
Quando il progetto è nato eravamo in tre, Massimo Marini era ancora con noi e non avevamo un batterista. Abbiamo deciso così di sviluppare le potenzialità dell’assenza di una sezione percussiva, lavorando solo con basso, chitarre, synth e basi ritmiche elettroniche molto minimali, con l’idea di inserirla in seguito. Quello che sapevamo era che non volevamo fermarci ad un’idea pregressa di sezione ritmica, ma considerare le proposte che ci sarebbero arrivate e valutare che tipo di risultato avrebbero dato unite ai temi che stavamo sviluppando. Conoscevamo Emanuele già da molto tempo, avevamo suonato molto assieme in passato, e probabilmente questo era già un motivo di fiducia a priori ma la sa proposta sicuramente è risultata la più convincente: 2 grancasse messe in orizzontale e suonate a mano, più un setting elettronico. Da questo punto in poi diciamo che tutto è venuto un po’ da sé. ATAM contiene ancora elementi più melodici che erano un po’ le fondamenta fissate prima dell’arrivo di Emanuele, con Archipel{o}gos abbiamo un po’ tirato le somme.
Non c’è stata una vera progettualità di partenza il tutto è diventato più tribale e viscerale, tutto funzionava bene per tutti. Da qui poi l’idea di sviluppare un impianto ritmico giocato quasi esclusivamente su grancasse, sia acustiche che elettroniche, approfondendo via via le possibilità dinamiche date dalle differenze timbriche. È stato un percorso che si è riprogettato costantemente fino alla chiusura del mix.
 
Davide
Cosa vuol dire per voi esplorare ed esprimervi attraverso quella che i futuristi avrebbero chiamata (e chiamarono) “l’arte dei rumori”?
 
Alessandro
Siamo tutti coetanei e abbiamo vissuto insieme l’adolescenza tra la seconda metà degli anni ’90 e i primi anni ’00, il post-punk era già evoluto in noise-rock dalla decade precedente e continuava a espandersi in quella direzione. Quella è la musica con cui siamo cresciuti, che abbiamo interiorizzato, poi rifiutato (mai totalmente), poi ricercato, ma che essenzialmente ci appartiene, o forse noi gli apparteniamo, in maniera irrazionale e incondizionata. Sposiamo totalmente la riqualificazione del rumore come elemento musicale, avvenuto da Russolo in poi, credo che nonostante ci sia stato dagli inizi del ‘900 a adesso un approfondimento e uno studio su tutte le possibilità dell’approccio rumoristico nella composizione musicale, siamo comunque di fronte ad una partita giocata da “tutta la storia” V.S. “un solo secolo”, è chiaro, sappiamo benissimo che il secolo in questione è stato enormemente più prolifico rispetto a tutti i precedenti, con possibilità tecnologiche in crescita esponenziale ma comunque lo spettro del suono armonico è, per quanto infinitamente ampio, una selezione rispetto all’infinita gamma del sonoro che per lo più è classificabile come rumore. Quindi il mio punto di vista è che le possibilità creative rispetto al rumore sono infinite e ancora tutte conoscere. Ovviamente questo resta un discorso teorico e statistico che si deve scontrare con tutte le variabili, siano esse temporali, sociali ecc. della percezione umana, cioè forse le possibilità sono infinite ma non possiamo sapere quanto di queste possa avere un senso, ma dal mio punto di vista questo non ci è dato saperlo.
 
Davide
Cosa ci riserva il futuro, anche musicalmente, nel rapporto tra l’uomo e la sempre più grande e pervasiva, totalizzante macchina elettronica digitale? Qual è il vostro punto di vista sulla crescente “esternalizzazione” della mente e delle capacità umane alle macchine? Verso quale punto di equilibrio o disquilibrio spingete la vostra ricerca in tal senso?
 
Alessandro
Domanda decisamente importante, forse troppo grande per noi! Ma direi che nostra risposta può essere un riassunto delle risposte precedenti. In ogni campo, quindi anche in musica, la tecnologia digitale ha elevato le possibilità all’infinito, la ricerca del suono e la caratterizzazione dell’ambiente sonoro delle nostre quotidianità e ogni suono che caratterizza la nostra vita diventa custode di abitudini, ricordi e sentimenti.
Il rumorismo racconta essenzialmente questo, facendo capo alla percezione umanizzata di elementi sonori a cui leghiamo la nostra vita interiore e la nostra spiritualità, la mano e l’orecchio umano li ricompone ricercando un senso.
Mi resta invece molto difficile immaginare le conseguenze dello sviluppo della musica digitalmente automatizzata: attualmente un algoritmo può creare musica in maniera totalmente indipendente dalle scelte di un autore, trovo in questo un collegamento diretto con l’assenza di comunicazione diffusa di cui abbiamo parlato alla prima domanda, la possibilità ad esempio di definire a priori determinati parametri di gradimento generalisti che possano essere la matrice di infiniti brani musicali senza autore ma che rispondano alle esigenze del mercato mi sembrano una possibile forma estremizzata dello svuotamento già in atto di valori essenzialmente umani come la solidarietà, il senso di comunità, fino a creare un’umanità ancora più individualizzata, sola e depressa. E’ solo un’ipotesi rispetto a scenari che si stanno prefigurando, non siamo sociologi, ma magari sarebbe interessante farsi qualche domanda a riguardo, il capitalismo è subdolo e agisce in forma costante e indolore fino a quando ad un tratto ci svegliamo dal sogno e vediamo la catastrofe. Da sempre ci auspichiamo una tecnologia che assecondi le necessità umane e naturali e sistematicamente ci accorgiamo che l’umano e la natura si trasformano assecondando le caratteristiche della tecnologia, spesso con risultati nefasti.
Il nostro percorso, come già espresso prevede la mano umana, la nostra, prevede tentativi continui di commistione tra strumentazione elettronica e non, e non è neanche detto che in determinati casi l’elettronica non si possa escludere del tutto. Ci interessano la musica, il suono e la composizione, la strumentazione e la tecnica sono sempre e solo mezzi, mai il fine, ma sarà comunque sempre affascinante affrontare le possibilità espressive che uno strumento offre, magari estremizzando verso soluzioni critiche, bug, errori, e tutto ciò che resta di ancora non prevedibile.
 
Davide
Cosa seguirà all’uscita del disco?
 
Alessandro
Stiamo lavorando per cercare date e stiamo già pianificando il calendario, abbiamo preparato il live corredandolo di materiale video e stiamo ipotizzando la collaborazione con un VJ. Stiamo lavorando a nuovi brani e la dedizione verso il progetto è sempre tanta… è tutto ancora in divenire. Staremo a vedere.
 
Davide
Grazie e à suivre…
 
Alessandro
Grazie a te, a presto..!

Commenta

Nel caso ti siano sfuggiti