OTEME
IL CORPO DEL SOGNO
Il corpo nel sogno è il nuovo disco di OTEME, l’Osservatorio delle Terre Emerse condotto da Stefano Giannotti, un’opera tra musica da camera, canzone d’autore, Rock-In-Opposition, musica elettroacustica. È il terzo disco di Oteme dopo Il giardino disincantato (2013) e L’agguato, l’abbandono, il mutamento del 2015, di cui abbiamo parlato (v. link sotto).
Precedenti interviste
Intervista
Davide
Terzo lavoro firmato Oteme. Quali continuità e novità rispetto ai precedenti due lavori?
Stefano
IL CORPO NEL SOGNO si colloca come un punto di arrivo importante nella produzione di OTEME; alcuni legami con i lavori passati ci sono, ad esempio la trasversalità fra canzone d’autore, incursioni nel rock e musica colta del Novecento, c’erano accenni ne IL GIARDINO DISINCANTATO con TERRE EMERSE (Bolero Primo), con CADUTA MASSI e TEMA DEI CAMPI, maggiormente ne L’AGGUATO, L’ABBANDONO, IL MUTAMENTO con la suite che dà il titolo al CD; nel nuovo lavoro questa “terra di mezzo” sembra acquistare un carattere più definito. Brani più corti del precedente lavoro, meglio a fuoco. Il suono è più omogeneo, essendo l’ensemble ormai rodato da anni e stabilizzato in una line-up che è la stessa che suona dal vivo. Inoltre in questa opera i confini fra canzone e musica contemporanea colta si affievoliscono, pur mantenendo una certa scorrevolezza che rende riconoscibili le varie influenze. Non ultimo il fatto che in questo album ogni brano è un’esplorazione in un genere musicale diverso.
Davide
“Il corpo nel sogno” sembra immergersi soprattutto in quella che è stata la Canterbury Scene, penso soprattutto a Kevin Ayers, agli Hatfield and the North… Ma anche Henry Cow. Quanto ha contato per te questa eterogenea e peculiare corrente del progressive?
Stefano
Domanda molto interessante. Un amico in un messaggio mi dice di sentire influenze dei Tuxedomoon. Un altro ascoltatore mi rimanda ai Magma.
In realtà sono tutte influenze che bene o male entrano nel disco.
Ma a dire la verità quelle più coscienti sono il Frank Zappa orchestrale, Steve Reich, Oliver Messiaen, Morton Feldman, John Cage, Claudio Monteverdi, Lucio Battisti con Pasquale Panella, forse De Andrè e anche se non lo amo alla follia, Paolo Conte.
C’è sicuramente il David Bedford di Star’s End e un rimando alla quarta parte di INCANTATIONS di Mike Oldfield, il Sakamoto di Bolerish, il Sylvian di Manafon e forse A Pocket Full Of Change. C’è molto Bach, Stravinski, Robert Wyatt e chissà quanti altri…
Tutte esperienze che mi hanno segnato.
Il Canterbury l’ho scoperto all’epoca del liceo e lo capivo poco, a parte Robert Wyatt e Hatfield and the North, che mi piacevano molto… certi gruppi come Henry Cow li ho riscoperti da adulto e mi hanno appassionato. Sicuramente oggi chi ascolto di più sono Zappa, Bach, Sylvian e Battisti/Panella.
C’è anche una certa idea radiofonica in alcuni brani, come SONO INVISIBILE, specie di micro radio-dramma, o IL CIMITERO DELLE FATE da NASCITA DEI FIORI, quasi una produzione di ars-acustica.
Davide
Qual è il tema che lega i testi? Che sorta di percorso tracciano e intrecciano con la musica?
Stefano
I testi rappresentano i vari volti del reale, del mondo in cui viviamo, delle relazioni, del linguaggio, del sogno… RUBIDOR#1 e UN PARADISO CON IL MAL DI TESTA nascono come collages presi da chat, profili facebook, mail e messaggini. In particolare RUBIDOR#1 è nato come un saccheggio del profilo di Rubidori Manschaft, artista e regista pugliese che vive fra Milano e la Svizzera, dove ha una compagnia teatrale. Rubidori è una persona molto ironica, con uno sguardo poetico e cinico al tempo stesso, romantico e sornione, disperato e divertente. Mi sono molto ritrovato nei suoi aforismi e così le ho chiesto il permesso di creare un testo sulle sue frasi, roba del tipo “E non mi convincerete nemmeno con la zuppa Wan-Ton”, oppure “Se non vuoi che una cosa si sappia non la fare”.
La title-track, IL CORPO NEL SOGNO, è una poesia nata standomene disteso sul letto con un mal di schiena dell’altro mondo, immaginando il mio corpo trasformarsi in una foresta pietrificata. NEGLIBOR è un sogno vero e proprio, annotato la mattina dopo sul mio diario; Neglibor come Bonglier è l’anagramma di Brignole, gli Iescin sono i Cinesi, la Numera è la Rumena.
SONO INVISIBILE nasce invece da un monologo scritto per le celebrazioni dell’anniversario di Cage nel 2012. L’Associazione Cluster – Musica Contemporanea di Lucca mi chiese un brano per una serata, e pensai di creare una sorta di monologo teatrale recitato a braccio, come se stessi improvvisando e raccontando una storia vera. La storia però era surreale e pian piano il pubblico se ne accorgeva. Il risultato mi piacque molto e pensai che la storia potesse essere trasformata anche in una canzone.
Davide
Chi è presente nella attuale line-up che ha registrato il disco? Ci sono ospiti?
Stefano
Il gruppo è quasi interamente quello storico de IL GIARDINO DISINCANTATO, sono cambiati solo tre elementi. In realtà Riccardo Ienna, il batterista, esisteva già in una formazione pre-OTEME, assieme a Emanuela Lari ed è rientrato da L’AGGUATO.
Dunque la line-up è fatta da Valeria Marzocchi: flauto e voce, Emanuela lari, tastiere e voce, valentina Cinquini: arpa e voce, Lorenzo Del pecchia: clarinetti, Maicol Pucci: tromba e flicorno, Marco Fagioli (un altro mio collaboratore dall’epoca de IL TEATRO DEL FARO, negli anni 90) alla tuba, Riccardo Ienna alle percussioni, più due voci maschili aggiunte, Gabriele Stefani e Edgar Gomez, miei allievi di composizione e musicisti che suonano nell’Orchestra SMS, l’altro ensemble che curo.
C’è poi la preziosa presenza di Antonio Caggiano come ospite al vibrafono su i due brani ORFEO E MOIRA e BLU MARRONE.
Davide
Cage definì che “un’azione sperimentale è quella il cui risultato non è prevedibile”. Come definiresti la ricerca e l’azione sperimentale (ma anche culturale) degli Oteme con questo disco in particolare?
Stefano
Amo molto la definizione di Cage.
D’altra parte, credo che ogni volta che componiamo qualcosa sperimentiamo. Fariselli degli Area sostiene a ragione che ogni volta che componiamo improvvisiamo.
OTEME sposta i significati da un piano ad un altro. Crea associazioni fra musica da camera e canzone d’autore, spesso muovendo elementi esistenti e riconoscibili (generi musicali, temi filosofici della vita quotidiana) da un piano all’altro; ad esempio in STRIPPALE una batteria elettronica molto sintetica si sposa con un riff vintage, anni 30 e una banda di paese… UN PARADISO CON IL MAL DI TESTA è un classico brano alla Camaleonti o Dik Dik, ma suonato ad un vecchio Farfisa di plastica con i ritmi incorporati, clarinetto basso e solo finale di toy-piano. SONO INVISIBILE è una ballata alla Dylan in 6/8 con il violino suonato come un banjo, la batteria in 7/8 e incursioni del Bolero di Ravel. Addirittura RUBIDOR#1 nasce come una specie di Music Circus alla Cage (come avrebbe potuto realizzarlo Zappa), dove l’ensemble è diviso in sottogruppi, ognuno dei quali segue un tempo metronomico diverso.
Tutto ciò è abbastanza imprevedibile, come dice Cage, dunque (abbastanza) sperimentale.
Questo modo di lavorare funziona un po’ in tutti i contesti (anche nei video, nei testi) ed ha il vantaggio di poter partorire creazioni a volte anche molto spinte, ma senza perdere il filo, dunque la comunicabilità.
Davide
Qual è la maggiore forza motivante dietro e dentro le vostre creazioni musicali?
Stefano
Ognuno ha la propria visione della vita. Una buona motivazione sono i pranzi e le cene a casa di Manu (Emanuela Lari). Scherzi a parte, siamo fondamentalmente un gruppo di amici, ci ritroviamo poche volte all’anno e ci divertiamo un mondo a stare insieme e a suonare. Ci sembrano momenti importanti; a volte pensiamo che mentre siamo lì a studiare l’incastro fra il 6/8 ed il 7/8 altre persone sono alla partita o alla TV a fare zapping. Riteniamo OTEME importante proprio per il fatto di studiare assieme (aspetto che ci appare con più forza, data l’età non più giovanissima di diversi di noi). A volte ho la sensazione che siamo alieni, anche perché nel periodo storico della massima comunicazione, dove siamo tutti collegati, in realtà non abbiamo contatto con nessuno dei nostri colleghi, forse per mancanza di volontà, o forse perché c’è troppa roba in giro e ci perdiamo in un labirinto.
Io propongo i brani, con l’arrangiamento già pronto o quasi. Gli altri musicisti di OTEME lo fanno proprio e spesso ci troviamo a cambiare assieme delle sezioni, perché non funzionano o l’arrangiamento non va con quello strumento. Da lì parte la fase più importante, comporre per OTEME, inteso come strumento musicale. Ed il risultato magicamente arriva…
Davide
Non solo rigore compositivo e performativo, quali elementi o atteggiamenti “ludici” o “giocosi” cercate attraverso la musica?
Stefano
In ognuna delle discipline che attraverso nel mio lavoro, musica, video, letteratura, radioarte, la visione del mondo è sempre la stessa. Un’accettazione del reale alla Joyce, in cui convivono stasi e movimento, allegria e malinconia, rappresentazioni oniriche e cinismo, insomma tutti gli aspetti del vivere. Spesso in questi anni mi sono sentito chiedere (da un produttore in particolare) di essere brillante e divertente, visto che ho quel tipo di capacità; niente di più sbagliato, secondo me. Ironia e comicità nel mio lavoro avvengono perché ci si inciampa sopra; i veri aspetti giocosi nascono proprio dall’accostamento di piani diversi del reale, ovvero dallo spostamento di senso. Se questo spostamento di senso di cui parlavo prima produce comicità, allora va bene, ma va bene anche se produce una tristezza infinita.
Secondo aspetto invece è quello performativo. La giocosità nasce automaticamente dal fatto che ci divertiamo molto dal vivo, dunque anche il pubblico si diverte. Ci siamo trovati a volte senza preavviso ad improvvisare scenette pseudo-teatrali (pseudo, perché in erano reali e non preparate prima), tipo in un concerto, alla fine di UN PARADISO CON IL MAL DI TESTA (che non sapevamo come terminare) ho cominciato a tossire (e tutti gli altri mi hanno seguito tossendo, soffiandosi il naso) e a pregare il pubblico di comprare i nostri CD. Le persone ridevano da matti, eppure non c’era davvero collegamento fra le due cose. Valeria ha poi lanciato il personaggio di Olga, la badante bielorussa, parlando in Italiano con l’accento dell’est e conversando con il pubblico. Fare tutto questo senza recitare, dunque spontaneamente, per musicisti che vengono per la maggior parte dal mondo classico è quasi impossibile se non stai bene con te stesso e con i compagni di viaggio, lì, in quel luogo.
Davide
Cosa seguirà?
Stefano
Difficile da dire al momento. Ci sarà una nuova produzione per un teatro vicino a Lucca, ma di cui non mi sento ancora di anticipare i dettagli, produzione che probabilmente porterà anche ad un nuovo CD fra un paio di anni o poco prima. C’è anche da capire che tipo di formazione portare in giro (a patto di trovare concerti, attività sempre più difficile), anche perché diversi musicisti di OTEME sono impegnati su altri fronti ed alcuni vivono lontano. Speriamo però di avere altre occasioni per vedersi e continuare a studiare assieme con i buoni pranzi e cene da Manu, perché questo è un modo importante di condividere il nostro tempo.
Davide
Grazie e à suivre…