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Quelli che restano

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Il verde smeraldo, colore della Speranza, si trasforma in una pioggia putrida, che ricorda il muschio, la melma ed il fango delle paludi.
Figure nere si aggirano per questo paesaggio lugubre, privo d’ogni riferimento spaziotemporale; si trascinano come spettri irrequieti sulla riva dell’Acheronte, in cerca d’un ricordo ormai dimenticato che possa riportarli alla loro precedente esistenza.
Perché è questo che sono, anime defunte, vero?
E’ Boccioni stesso, con il titolo del suo dipinto, a insinuare il dubbio nell’occhio dell’osservatore. “Quelli che restano”.
Un titolo incisivo, che suona come un epigramma funebre.
Ciò a cui stiamo assistendo non è la Morte, ma nemmeno la Vita, è uno stato intermedio tra i due, un Limbo di sofferenza che Samuel T. Coleridge ne “La ballata del vecchio marinaio” descrisse come Death-in-Life, la Morte-in-Vita.
Poiché è questa la condizione in cui si trovano “quelli che restano”; i reduci, i superstiti, i sopravvissuti, non importa a cosa. I sopravvissuti a una catastrofe, a una guerra, alla Vita, avvertono su loro stessi l’angosciante senso di colpa di “essere”, di esistere.
Non sono le anime dei defunti a depositarsi come foglie trasportate dal vento sulle sponde dell’Acheronte, ma quelle dei vivi. Qui si ritrovano, ma non a cercare conforto gli uni con gli altri, come testimoniano i loro volti atterriti, piuttosto ad unirsi in un unico, silenzioso pianto, udibile tramite il tratto ondulato delle pennellate di Boccioni.
Le loro lacrime commemorano i defunti e allo stesso tempo evocano l’Ade, il quale è tanto più reale per i vivi piuttosto che per i defunti, ormai cullati dal dolce sonno della Morte.
Esso non si trova nelle viscere del terreno ma in un luogo molto più vicino; l’Oltretomba alberga dentro di noi, è una condizione mentale, uno stato d’animo che tormenta i vivi, portando le Ombre direttamente nel loro mondo.
Simile al vaticinio d’un oracolo invasato da un démone, questo quadro, dipinto nel 1911, pare un funesto presagio di ciò che sarà l’Europa al tramonto della Prima e ancor più della Seconda Guerra Mondiale, una malinconica palude attraverso la quale i superstiti, deambulanti sui cadaveri di milioni di morti, porteranno sulle spalle l’angosciante peso dell’Esistenza.

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