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Democrazia cubana e modello statunitense

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Democrazia cubana e modello statunitense
 
Ho letto su “La Repubblica” del 24 dicembre un ottimo intervento di Omero Ciai che ha reso noto un sondaggio indipendente effettuato sull’isola dai ricercatori di una Ong spagnola. Da quel sondaggio, ovviamente segreto e svolto nella più totale clandestinità, emerge che i cubani vorrebbero la democrazia e che sono stanchi della dittatura castrista. I giovani dai 18 ai 29 anni non hanno dubbi in merito e sono in gran parte contro il regime assoluto, ma in ogni caso un buon 53% degli intervistati sceglie la democrazia e solo il 20% la dittatura, mentre il resto rappresenta la quota degli indecisi. Non sappiamo come è stato realizzato il sondaggio, certo che la situazione politica cubana non è ideale per raccogliere libere opinioni e quindi è probabile che anche molte risposte a favore della dittatura siano state influenzate dal timore di repressioni. In ogni caso siamo certi che i cubani vorrebbero la democrazia, la libera espressione di parola, la libertà di stampa, ma crediamo anche che in prima istanza vorrebbero risolvere il problema alimentare che è il vero problema. A Cuba le cose vanno male e su questo il gruppo di intervistati è compatto e dalle risposte viene fuori un quadro che necessita di urgenti cambiamenti. Il problema fondamentale del cubano sono i salari inesistenti per lavori scarsamente professionali e quasi inutili, retribuiti con cifre che non servono a risolvere neppure il problema alimentare. La fame è il secondo problema perché non basta la propaganda di regime a riempire la pancia e la popolazione fatica anche a procurarsi un piatto di riso e fagioli. In questa situazione negativa possiamo inserire anche il desiderio di libertà e di democrazia, ma solo al terzo posto, perché non è il principale obiettivo del cubano medio. La famiglia cubana cerca una casa degna di questo nome, un lavoro retribuito in maniera adeguata e la fine del razionamento alimentare. La democrazia è un obiettivo da raggiungere ma riguarda il cubano più intellettuale, la persona che ha obiettivi diversi da quello di mettere insieme il pranzo con la cena. Le rivoluzioni e le grandi proteste sociali sono sempre state un’iniziativa della borghesia e non dei bassi strati della popolazione. La difficoltà di operare un cambiamento a Cuba sta proprio nel fatto che manca una vera e propria borghesia, eliminata da anni di egualitarismo e populismo castrista. I dissidenti interni rappresentano una speranza di cambiamento, ma con loro il regime è molto duro. Molti prigionieri di coscienza vivono una situazione allarmante di salute a causa delle pessime condizioni di incarceramento. Ogni tanto ne viene liberato qualcuno, come è stato per Mario Enrique Mayo Hernández, che il primo dicembre 2005 ha ottenuto una licenza per motivi di salute. Hernández è un poeta – giornalista vittima della ondata repressiva della primavera nera del 2003, quando venne incarcerato insieme ad altri 74 dissidenti. Tra l’altro il pubblico italiano potrà apprezzare le sue liriche nel libro di prossima pubblicazione Versi dietro le sbarre (Edizioni Il Foglio, 2006). Il giornalista ha una licenza valida un anno, dopo di che dovrà tornare in prigione, a meno che non riesca a prendere la via dell’esilio. A Cuba essere contro il regime, anche solo criticarlo un poco, vuol dire mettersi dalla parte del torto e porre a rischio la propria libertà personale e la sicurezza dell’intera famiglia. La situazione dei prigionieri politici cubani è del tutto insostenibile e i governi democratici europei dovrebbero fare qualcosa per stigmatizzare questo atteggiamento. Amnesty International sta lavorando in tal senso ma da sola non basta. Tra l’altro “le dame in bianco” (così vengono chiamate le mogli dei dissidenti incarcerati) si sono viste negare dal regime cubano il visto per recarsi presso il Parlamento Europeo, dove avrebbero ritirato il Premio Sacharov per la pace. Un’altra dimostrazione di intolleranza e di autoritarismo di puro stampo dittatoriale. Castro non concepisce alcun tipo di contrasto al suo modo di intendere quello che è bene per Cuba: soltanto lui lo sa.
Cuba sta attraversando un grave momento di crisi politica, economica e sociale soprattutto per le mancanze del sistema politico che è retto da un padrone unico e dispotico. Fidel Castro ormai si comporta come un padrone assoluto che si fa portavoce di una politica di impostazione finto – populista. Il popolo non può godere del prodotto del suo lavoro e diventa sempre più povero, l’unico proprietario assoluto è il regime che invece diventa ogni giorno più ricco. Tutto questo produce malcontento sociale e proteste spontanee che vengono represse duramente dalla polizia, ma produce anche un esodo massiccio verso gli Stati Uniti e verso l’Europa che i cubani tentano con ogni mezzo a loro disposizione. Vorrei chiedere a chi sostiene che Cuba è un Paradiso socialista: quando mai la gente scappa dal Paradiso? Di solito si fugge dall’Inferno… L’opposizione interna esiste ma viene falcidiata dalla polizia e dalla repressione e l’unica cosa che può fare è stare accanto al popolo e lottare per i suoi bisogni. Ma in una realtà come quella cubana non è per niente facile. I metodi della polizia sono tipici di uno stato dittatoriale che arresta e incarcera persino i potenziali antisociali, come le persone che non lavorano, che non studiano e soprattutto quelli che (per mangiare) esercitano attività commerciali illegali. A Cuba è impossibile campare esercitando solo attività legali, chi non ruba è perduto e non arriva alla fine del mese se crede di contare solo sugli alimenti concessi dalla tessera di razionamento. In questa situazione la Carta dei diritti umani ha per Fidel lo stesso valore della carta straccia, le ingiustizie sociali sono all’ordine del giorno e se qualcuno prova a manifestare dissenso rischia grosso. Il regime rispetta solo lo straniero perché porta valuta pregiata e ricchezza (che non viene condivisa con la popolazione ma finisce nelle casse del governo) ed è aggressivo e arrogante con il cubano. Fidel Castro si circonda di personaggi senza spina dorsale allenati a recitare a memoria i discorsi del capo. Basta vedere la fine che hanno fatto i dirigenti del partito che si erano messi a ragionare con la loro testa, in modo indipendente dal volere del capo. Roberto Robaina era un valente primo ministro molto in auge negli anni Novanta, forse troppo per i gusti di Fidel, tanto che oggi deve occuparsi di problemi di poca importanza in un ufficio vicino al Rio Almendares. Di Robaina non si sente più parlare da diversi anni, per certo era diventato molto popolare e le sue idee forse non erano troppo rivoluzionarie. Fidel Castro teme le personalità forti che possono contrastare il suo potere assoluto e un altro di questi suoi ex collaboratori è José Luis Padrón che si è dileguato nel nulla. Ma ci sono esempi classici di ex uomini fidati del Comandante che sono morti in un ospedale psichiatrico (José Abrantes), oppure che sono stati abbandonati al loro destino (Ramiro Valdés) o presi come capro espiatorio delle cose che non vanno (Marcos Portal). Per non parlare della fine del generale Arnaldo Ochoa che era diventato troppo popolare per continuare a vivere. 
A Cuba nessun cittadino ha diritto alla libertà e questo fatto è molto grave, non esiste libertà di pensiero e le persone contrarie alla ideologia del regime subiscono torture fisiche e psicologiche. Per chi vuole esprimere idee in contrasto con il castrismo ci sono soltanto due possibilità: la galera o l’esilio. Il cubano non ha neppure libertà di movimento e non può viaggiare né all’interno dell’isola né all’esterno, a meno che non venga autorizzato dal governo. Va da sé che il regime decide arbitrariamente sulla possibilità di far uscire dal paese una persona che lo chiede e investiga sui motivi che lo conducono a intraprendere il viaggio. A Cuba esiste un regime totalitario che nega al cittadino ogni diritto di espressione del pensiero.
La situazione economica non è migliore. Le feste di Natale a Cuba non sono riconosciute, ma vengono comunque celebrate dalle comunità cattoliche che dopo la visita del Papa sono state autorizzate a farlo. A Cuba si festeggia solo il primo giorno dell’anno che è l’anniversario della entrata all’Avana delle truppe rivoluzionarie. In ogni caso le feste di Natale per il cubano rappresentano l’apice della mancanza alimentare, perché arrivano proprio alla fine del mese quando gli alimenti concessi dalla tessera di razionamento sono ormai finiti. La situazione economica andrà peggiorando sempre di più perché al regime non interessa minimamente la povertà della popolazione. Questa è la tragedia più grande di un governo che non può certo dirsi socialista, se non arbitrariamente e nel senso più negativo del termine. Le ricchezze che arrivano dal turismo finiscono nelle casse dello Stato e non si sa dove e per cosa vengano utilizzate. Forse servono a costruire nuovi alberghi e attrezzature turistiche, ma non sono certo impiegate per risolvere i problemi della popolazione.
Jorge Olivera Castillo (altro poeta che sarà pubblicato in Italia nel volume Versi dietro le sbarre) dice che “si sta avvicinando una nuova ondata repressiva, simile a quella del 2003, e saranno proprio i politici che parlano in televisione nelle tavole rotonde a condurre le operazioni”. Olivera Castillo aggiunge che è stato incarcerato a lungo dal regime e “trattato come un maiale, punito come un criminale, tenuto in mezzo agli scorpioni, ai topi, alle zanzare, sfamato con alimenti putrefatti, in un ambiente insalubre, a contatto con delinquenti comuni, pazzi e aspiranti suicidi…”. Sono parole di un uomo che sta ancora lottando a Cuba a suo rischio e pericolo contro una dittatura infame.
Tutto quello che abbiamo detto però non vuole essere un’apertura incondizionata alle tesi statunitensi che parlano di “accelerare la transizione democratica a Cuba”. Condoliza Rice deve limitarsi a parlare dei problemi di casa propria perché a Cuba devono pensare soltanto i cubani. Non pensiamo certo che una democrazia imposta dall’esterno a colpi di bombe intelligenti possa essere migliore della dittatura castrista. Le nostre critiche a un regime ormai fuori dalla storia non sono aperture filoamericane e niente sarebbe più sbagliato che condurre contro il regime cubano una guerra assurda come quella che sta travagliando l’Iraq. Gli USA devono pensare a rinsaldare la loro democrazia traballante e ingiusta e ai grandi debiti in materia di crimini di guerra, forse superiori agli stessi crimini commessi da Fidel Castro in quarantasette anni di regime. Cuba deve tendere alla democrazia perché il suo popolo lo chiede, ma la transizione verso la Terza Repubblica deve essere un movimento spontaneo che nasce dall’interno dell’isola. I cubani hanno già combattuto le guerre di indipendenza per scacciare gli invasori e hanno fatto una rivoluzione per liberarsi di Batista. Adesso forse è giunto il momento di lottare contro chi aveva promesso giustizia sociale, umanesimo e una società nuova e invece ha regalato al popolo soltanto una squallida dittatura paternalista.
 
Gordiano Lupi

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