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Ninna Nanna

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Ninna Nanna
(Chuck Palahniuk – Mondadori)

Dopo Figh Club, da cui è stato tratto il film di David Fincher, dopo Survivor, Invisibile Monsters e Soffocare, Chuck Palaniuk si cimenta in una black commedy con originalità di idee e destrezza stilistica.
Carl Streator, giornalista, indaga sulla “sindrome di morte improvvisa” di alcuni bimbi e, resosi conto che la causa è una nenia, intraprende un viaggio, alla ricerca di tutti i testi che la contengono, con Helen, Mona e Ostrica; un tour de force, un po’ anche per noi preoccupati sovente dalla sensazione che l’autore voglia a tutti i costi prolungare il racconto, ma ricompensati e divertititi, soprattutto nella parte finale, dalla particolarità degli eventi che si rincorrono e si succedono a ritmo incalzante.
“Il canto della dolce morte”, una filastrocca, cantata dagli africani ai bambini destinati a morte sicura, per fame e malattie, che ha radici in una terra arsa dal sole. Estranea al progresso e alla cultura occidentale, la Ninna nanna (Lullaby, titolo originale) viene catapultata in un’ambientazione moderna e particolarmente fantasy, dalle atmosfere gotiche, dai colori accesi, che si imprimono subito nella mente del lettore, come il rosa dei capelli di Helen, il giallo della “senape marocchina”, il verde dell’ ” Hedera Heliseattle”, il ” bianco diamante, verde smeraldo, rosso rubino” delle luci della giostra, i riflessi “turchesi color zaffiro, il giallo dei citrini, l’arancio dell’ambra”.
Come una canzone che ripetiamo involontariamente, anche se non l’ascoltiamo ormai da tempo, “…rapida come un grido la filastrocca… balena nella testa…”, consapevolmente o senza volerlo, consci o inconsci del suo potere, facendo morire grandi e piccini, nemici e amici, dando vita ad una “costruzione distruttiva”: uccidere per salvare la vita ad altri. La narrazione è rocambolesca e simpatica, anche se, a volte, scade nel ridicolo. La pungente ironia fa eco al potere dell’informazione, ai virus informatici e al loro veloce contagio che crea turbe psichiche, “possediamo il libero arbitrio o sono i mass media e la cultura che ci controllano, … i nostri desideri e le nostre azioni fin dal giorno in cui veniamo al mondo?”. Si passa con ritmo sostenuto dagli sketch macabri e, qualche volta, ripugnanti ad una concezione filosofica e realista della società, “E’ la mia generazione che cerca di distruggere la cultura imperante diffondendo il contagio”, e al fugace patriottismo dell’autore, “America.
Un assedio di idee. L’impeto della vita in tutta la sua potenza” (non la pensiamo forse così anche noi?). Un continuo passaggio dal possibile all’impossibile. Si ha l’impressione di giocare ad un videogame: alla guida di un’auto che corre a gran velocità, con la polizia alle calcagna. Svoltiamo l’angolo ed ecco il muro. Effetti speciali di uno stile giornalistico e di un linguaggio da reportage, efficiente, vivace, di facile comprensione, che mira subito al dunque.
I personaggi sono strampalati, un po’ come quelli del film “Il Favoloso Mondo di Amelie” di Jean-Pierre Jeunet, ma le ripetizioni di scene, sostanziate di opportune variazioni, sicuramente più riuscite e molto meno monotone.
A lettura ultimata, la nenia africana “della dolce morte” ci lascia pensierosi, allo stesso modo in cui, dopo circa dieci anni dal ritrovamento, ai confini tra Italia e Austria, e dopo che anche il prof. Konrad Splinder, il primo ad esaminare il reperto Oetzi, è morto, si comincia sul serio a credere ad una “maledizione” della mummia del Similaun.

Simonetta De Bartolo

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