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L’ultima vanità

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L’ultima vanità

Brett Kalopulos varcò la soglia dell’International Beauty Center con passo sicuro. Anche in ciò si dimostrò quell’uomo deciso che tante volte era uscito vittorioso dagli scontri nel consiglio di amministrazione della South Brass Inc., società per cui aveva lavorato per circa venti anni. L’International Beauty Center era dislocato a Point Mead, a qualche miglio da Las Vegas, in pieno deserto, ma nell’atrio ovattato e con l’aria condizionata, fra le palme e i cactus di plastica, il deserto non sembrava una realtà plausibile.
Mentre si avvicinava alla reception per annunciare il suo arrivo, ebbe comunque una leggera sensazione di calore, quasi di ansietà: era pur sempre un ambiente diverso da quelli che aveva frequentato di solito. Per alleviare la tensione dedicò la sua attenzione a una donna bionda sulla cinquantina, ma ancora in gran forma, che se ne stava seduta su uno degli alti sgabelli davanti al banco del bar. La donna era intenta a osservare le finte piante fiorite e i rampicanti che sembravano vegetare oltre la vetrata alla sua sinistra.
"Buona giornata" disse.
"Buona giornata a lei" rispose la donna, girandosi lentamente verso di lui.
Brett rivolse per un attimo il suo sguardo all’uomo dietro al banco, il quale però era occupato al telefono e pareva non curarsi di loro, così continuò, rivolto interamente verso la donna: "E’ da molto che aspetta?".
"No, sono appena arrivata" disse lei.
"Permette che mi presenti… sono Brett Kalopulos, di San Diego".
"Piacere, sono Donna Chatworth". Si strinsero la mano. Poi la donna aggiunse: "Mi scusi, vedo il dottor Boulder laggiù… Mi rivolgerò direttamente a lui".
"Arrivederla" la salutò Brett.
"Mi dica, signore". L’uomo dietro al banco aveva riagganciato il telefono e gli stava parlando. Dopo un po’ Brett era alloggiato in una comoda stanza al terzo piano, con vista sul deserto. L’intervento a cui doveva sottoporsi era stato confermato per la sera stessa e ora non restava che aspettare, osservando alcune indicazioni mediche.
Brett ripensò per qualche minuto al passo che stava per compiere ma, come le altre volte, si rianimò presto e si disse che non doveva dar conto a nessuno, se non a se stesso. E poi, che gusto c’era, ora che si era ritirato col massimo delle indennità, se non poteva fare di testa sua e spendere i suoi soldi per vivere tutte le esperienze che gli restavano da vivere?
L’intervento durò circa quattro ore, ma l’anestesia continuò a fare il suo effetto e Brett si svegliò soltanto alle 10.00 del giorno dopo. Accanto al suo letto c’erano due medici, di cui uno era una dottoressa, e un infermiere.
"Buon giorno" disse il dottor Hipwell, che lo aveva operato. E continuò: "E’ andato tutto bene, si tranquillizzi".
"Davvero, dottore?" chiese Brett.
"Certo. Sono decenni ormai che siamo all’avanguardia nel settore e niente viene lasciato al caso. Può cominciare la sua nuova vita. L’intervento sul corpo e sul cervello è stato condotto alla perfezione. Stia… sicura: lei è una donna, ora… signor… ma scommetto che ha già pensato a un nuovo nome, non è così?"
"Sì, mi chiami pure Brenda, dottore. D’ora in avanti sarò Brenda Kalopulos".
"Bene, Brenda. Mi lasci dire che, senza falsa modestia, abbiamo lavorato talmente bene… sì, le devo fare i miei complimenti, signora: lei è davvero splendida!".
"Lei è molto galante, dottore" si schernì Brenda, pronunciando una frase che non aveva mai detto prima, ma che le venne spontanea.
"La dottoressa Kirby le starà costantemente vicino nei prossimi giorni e le sarà di aiuto per qualsiasi cosa… Ma ora si riposi. I tessuti hanno bisogno di un po’ di tempo per cicatrizzarsi. Auguri, Brenda!".
"Grazie, dottore".
Più tardi Brenda rimase sola in camera. Le sue mani cominciarono a percorrere tutto il corpo per verificare il cambiamento. Sì, non c’erano dubbi: era una donna. E sentiva di pensare anche come una donna. "Mio Dio" si disse infatti, "dovrò provvedere a ricostruire tutto il mio guardaroba… e gli accessori per il trucco, e tutto ciò di cui una donna ha bisogno!". Quel pensiero le dava un’emozione sottile, anche se non del tutto chiara, e nuove energie vitali.
"E’ vero" si disse ancora, " non c’è paragone con tutti gli altri piaceri. Cambiare sesso dopo aver vissuto una vita in panni maschili è come vivere due volte. Avevano ragione quelli che l’hanno già sperimentato. Ora anch’io posso ritenermi fortunata. Solo la ricchezza può consentire una trasformazione simile. Tutti i miei soldi, il lavoro di tanti anni… che senso avrebbero avuto se non mi avessero consentito di cambiare vita?".
I giorni successivi all’intervento, Brenda li passò quasi tutti davanti allo specchio. I medici avevano compiuto un capolavoro, pensò. Le avevano tolto persino le rughe e, soprattutto, l’intervento al lobo destro del suo cervello era risultato soddisfacente. Aveva emozioni da donna. Per non parlare dei seni: proprio come li aveva scelti, non grandi, ma neppure da ragazzina. Che si intonassero alla sua età, insomma. Non voleva certo sembrare più giovane dei suoi cinquantasei anni!
Il quinto giorno Brenda si era quasi del tutto ristabilita. Ordinò un vestito e un paio di scarpe, si rivestì e uscì per gli acquisti, che avrebbe potuto fare nella boutique dello stesso Beauty Center. Ritornò in camera un’ora dopo e provò subito gli abiti che aveva comprato. Indossò un tailleur elegante e fresco, delle scarpe basse (non era ancora abituata ai tacchi alti), prese la borsetta di coccodrillo ed ebbe voglia di andare subito in città, a Las Vegas, nonostante dovesse restare ancora qualche giorno in clinica.
Poi però, saggiamente, pensò che non era il caso di essere impaziente: era meglio aspettare la visita di controllo della dottoressa Kirby ed essere dimessa secondo il programma. Decise allora di scendere di nuovo nel salone del Center, dove c’era il bar. Appena uscita dall’ascensore, si diresse verso il banco e si sedette su di un alto sgabello. Chiese gentilmente un Cuba Libre al cameriere e poi si specchiò nel vetro lucido dietro alle bottiglie.
Mentre aspettava il suo cocktail si passò un dito sulle labbra per verificare il grado di umidità del rossetto e cominciò a tamburellare sul legno del banco con le unghie laccate. Intanto volgeva lo sguardo in giro. Il cameriere la servì e lei cominciò a bere. Dopo un po’ si girò ancora verso il salone. Seduto a un tavolo, in disparte, notò un uomo biondo, dai capelli cortissimi, che aveva un aspetto familiare. Ma non ricordò chi fosse.
Finito di bere, si avviò all’ascensore per rientrare in camera, ma trovò la maniera di arrivarci passando vicino al tavolo dello sconosciuto. Anche lui la fissava, ma nessuno dei due riusciva a riconoscere l’altro. D’un tratto Brenda esclamò: "Donna!". E poi, subito: "Mi scusi, mi sono sbagliata".
"No, sono io, Donna… cioè… ora mi chiamo Don, veramente".
"Io sono Brenda… Brett. Ti ricordi? Ci siamo conosciuti qualche giorno fa nell’atrio del Center".
"Ma certo… solo che non pensavo… cioè, non avrei mai supposto…"
"Nemmeno io, se è per questo". Vinto l’iniziale imbarazzo, i due presero a scambiarsi le loro esperienze.
"Ti prego, siediti" la invitò Don, accennando ad alzarsi. "Anzi, ho un’idea migliore: che ne dici di cenare insieme?". Brenda rispose di sì e, mentre lo faceva, provò un piacere nuovo, intenso, mai avvertito prima.
Più tardi, Don e Brenda erano seduti al ristorante del Beauty Center. Finita la cena, Brenda propose: "Perché non andiamo a Las Vegas e tentiamo la fortuna al tavolo verde?". E poi aggiunse, convinta: "Le statistiche dicono che la fortuna arride maggiormente alle donne. Sono proprio curiosa di scoprirlo". Don guardò Brenda e scoppiò a ridere. Anche Brenda prese a ridere, e continuò a ridere di gusto.

Giuseppe Cerone

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