Nicola Caleffi (chitarre, voci), Luca Giovanardi (chitarre, tastiere, basso, voci), Roberto Morselli (batteria, percussioni), Andrea Scarfone (chitarre, basso), Laura Storchi (basso, tastiere, voci), Fabio Vecchi (Piano elettrico Fender Rhodes, organo, synth, campioni, fiati) sono i Julie’s Haircut, un gruppo indie-rock di Modena, insieme dal 1994.
E sempre si parla di indie-rock, quando non si riesce a definire un genere musicale tra più anguste e classificanti definizioni di un tempo. Il rock, in quasi sessant’anni di vita, si è ormai arricchito di tutti gli innumerevoli ed eterogenei linguaggi musicali possibili, cosicché oggi la stessa I.SO. (come si chiama in musicoterapia, l’identità sonora di ogni singolo essere umano), cresce polimorfa e variamente riorganizzatrice di una sua propria sintesi. A cominciare da chi la musica la ama o comunque la rispetta a 360 gradi (o suppergiù) e desidera farne. Quindi ciascuno come gli pare, indipendentemente (appunto) da indirizzi, mode, corsi e ricorsi storici. Salvo poi, in secondo grado, diventare l’indie-rock un filone più definito nei ranghi delle umane necessità di categoria, in genere un mix di brit-rock psichedelico, un po’ garage, un po’ elettronico, ora energico, ora notturno e sognante… I Julie’s Haircut rispondono al primo grado.
Il loro primo album “Fever in the funk house” (1999 per Gammapop), fu accolto dalla critica come uno dei migliori lavori dell’alternative rock italiano e segnalato dalla rivista Rumore come uno dei 50 dischi italiani più importanti degli Anni Novanta. Al debutto seguirono l’e.p. “The plague of alternative rock” (Gamma pop 2000) e l’album “Stars never looked so bright” (2001 Gammapop), in cui all’originale cocktail d’esordio dei Julie’s, tra nuovo linguaggio rock (quello iniziato dai Pixies in particolare, o dai Dinosaur Jr. di Lou Barlow) e psichedelia, garage rock (di Stooges ed MC5) e brit-rock, con accattivanti melodie solari e beatlesiane talvolta, tal’altra oscure come l’altra faccia del rock rappresentato fin dai Velvet Underground) si aggiunse l’amore per la black music degli anni ’60 e ’70 (funk e soul di Tamla, Stax e Motown).
Seguiva l’extended play, The power of psychic revenge (Homesleep/Sony 2003). Per il terzo album si affidarono alla etichetta bolognese Homesleep Records, pubblicando “Adult situations“, il primo ad essere distribuito sul mercato internazionale. Da molti è definito il loro miglior album… Almeno fino all’uscita del loro quarto e ultimo cd, “After Dark, my sweet” (Homesleep, 2006), i cui estratti si possono in questo momento ascoltare dal sito dei Julie’s Haircut, ricco per altro di notizie e soventemente aggiornato, incluse takes inedite via via messe on line.
In tempi più recenti, che sia dura e mordente, sia rock o più eclettica, o che si stemperi in ballate oniriche, dilatate e dilatanti, la musica personale, valvolare, calda anche quando si fa da elettro club londinese (Satan eats Seitan è un brano degno dei Death in Vegas), si è ulteriormente ampliata, portando la band a nuove ricerche sonore e ad una maggiore (dichiarata) improvvisazione.
La band ha alle spalle una ricca messe di concerti, festival, apparizioni in radio e in televisione (tra cui MTV, Radio Rai, Tora! Tora! Festival, Independent Days, fino ad arrivare al mitico Cavern Club di Liverpool.). Negli anni, i Julie’s Haircut hanno incrociato molti nomi interessanti, collaborando con taluni, ed è stato oggetto di vari remix degni di attenzione (tra cui Marmalade da parte degli Amari).
Davide
Migliaia, milioni di bands e nomi di bands ormai nella storia del rock… Difficile trovare un nuovo nome originale. Il vostro, che da queste parti suona come “il taglio di capelli di Giulia”, come nasce?
Julie’s Haircut
Nicola: Per caso. Quando ci siamo formati come trio nel 1994 avevamo bisogno di un nome per il primo concerto. Ci piaceva utilizzare la parola “haircut” e associarla a qualcosa. Tutto qui. All’estero, il più delle volte, lo trovano stupido.
Davide
Da qualche parte siete stati definiti un collettivo di sei musicisti… Avete voi stessi dato un certo significato alla scelta di questo aggettivo? Nel jazz, per esempio, il collettivo è un qualcosa di ben preciso, una improvvisazione estemporanea di esecutori sempre diversi… Pur mantenendo un nucleo fisso originario, Vi considerate cioè come un “gruppo aperto” o si è trattato di una semplice licenza di chi ha usato quel termine?
Julie’s Haircut
Luca: Mah, in effetti con gli anni l’organico del gruppo è andato via via ampliandosi, siamo partiti come un trio (Io, Laura e Nicola) e ora siamo raddoppiati. In effetti la struttura che abbiamo adesso è molto più aperta di un tempo, dal vivo in questo tour ad esempio alle tastiere si alternano Fabio e Andrea Rovacchi (che per noi ha prodotto tutti i dischi tranne l’ultimo e ormai è una sorta di membro aggiunto dei Julies) a seconda delle serate e alcuni pezzi vengono suonati in maniera diversa a seconda che ci sia uno o l’altro, perché ad esempio Fabio suona anche la chitarra, mentre Andrea predilige le percussioni. L’impostazione stessa che ha il gruppo in questo momento è più simile a quella di un collettivo di musicisti che a quella di una band di stampo classico, anche perché la scrittura dei pezzi, rispetto al passato, nasce da un’improvvisazione collettiva e meno dalla stesura di strutture da parte di un singolo autore.
Davide
Avete suonato al Cavern Club di Liverpool, il luogo per eccellenza dei sempiterni Beatles… Che emozione avete provato?
Julie’s Haircut
Luca: Forte, anche se in realtà è poi simile a tanti piccoli locali che ci sono qui in Italia. Solo che poi è il Cavern.
Scarfo: All’inizio non ci ha turbato molto, prima del concerto ci siamo seduti e abbiamo cominciato a bere birra come dei normali avventori, ma poi osservando i quadri con le foto delle band che si sono susseguite su quel palco abbiamo realizzato che stavamo per suonare in una sorta di tempio del rock, è stata davvero un’emozione forte calcare quel palco.
Davide
Quali vostri incontri con altri musicisti e gruppi o quali collaborazioni ad oggi ricordate tra le cose più stimolanti e/o gratificanti della vostra carriera e perché?
Julie’s Haircut
Luca: Certamente in tempi recenti l’incontro in studio con Sonic Boom è stato il coronamento di un sogno. Poi quando abbiamo potuto conoscere I Sonic Youth…
Davide
E’ da poco uscito “After Dark, My Sweet“… Come sta andando? Inoltre, al di là di quello che si lascia dire ai critici o al pubblico, c’è una qualche evoluzione artistica da voi voluta e perseguita? Rispetto ai precedenti dischi, cosa vi avete introdotto di nuovo o diverso? E verso cosa potrebbe questo prossimamente e intenzionalmente evolvere?
Julie’s Haircut
Nicola: Il disco è stato accolto bene, forse anche meglio di quanto ci aspettassimo. Rispetto ai dischi precedenti c’è stato indubbiamente uno “stacco” in termini di approccio compositivo e di registrazione: After Dark è molto più basato sull’improvvisazione.
Davide
Cosa state facendo in questo momento e che progetti (anche collaterali) avete in cantiere per il 2006?
Julie’s Haircut
Luca: Ora abbiamo appena iniziato il tour, quindi dobbiamo pensare solo a macinare chilometri e suonare dal vivo.
Davide
Dai suoni che sento, mi pare amiate la strumentazione vintage… Quali sono i vostri strumenti preferiti? Quali possedete? Su quali sognate di mettere un bel giorno le mani (e il cuore)?
Julie’s Haircut
Scarfo: Abbiamo decisamente un vasto parco strumenti ed effetti vintage, perché siamo convinti che producano il suono che ci serve. Nello specifico sono piuttosto soddisfatto delle chitarre che possiedo, ma poggerei volentieri le mani su una Strato dei primi anni sessanta; tuttavia è alquanto improbabile che succeda, perché ci piace usare sempre, anche dal vivo, il nostro equipaggiamento, le chitarre di quel periodo oggi costano veramente troppo e questo è incompatibile con la vita da palco e da furgone che gli strumenti fanno.
Luca: Sì, ed è incompatibile pure con le tue tasche, diciamolo… Io invece adesso dal vivo me ne vado in giro con la 335 di Scarfo, so che lui ci soffre da matti, ma questo aggiunge sapore alle mie performance. Godo a far soffrire i feticisti.
Davide
Come va con l’estero?
Julie’s Haircut
Luca: Abbiamo avuto alcune buone recensioni, anche su testate importanti. E’ una soddisfazione, anche se non è che magari servano davvero a sdoganare il gruppo. Il nuovo album esce nel resto d’Europa il 7 aprile, poi vedremo.
Davide
Disse Gibran: “Una radice è un fiore che disdegna la fama”… Vi riconoscete in questa massima, nella quale io vedo tutta la profondità e tutto il valore di ciò che è e rimane liberamente sotterraneo, oppure nell’altra (sempre di Gibran) che dice: “Il vero uomo libero è colui che sa sopportare pazientemente il peso della servitù”?
Julie’s Haircut
Luca: Non saprei, si rischia di cadere nel luogo comune della volpe e dell’uva, con tutto il rispetto per il grande Gibran. Una radice può anche disdegnare la fama, ma se non ne ha nessuna difficilmente produrrà frutti. E’ anche vero che certe radici sono più durature di altre e possono portare a una proliferazione tardiva, inaspettata ed enorme: penso a un gruppo come i Velvet Underground, che quando erano in attività non hanno avuto alcun successo ma che hanno poi finito con l’improntare di sé buona parte del rock del XX e XXI secolo.
Davide
Grazie, à suivre…