Roberto Zambelli, talent-scout di vaglia, ci ha fatto delibare le squisitezze grafiche di Cristina Palandri, dotata di vocazione scenografica nelle microinstallazioni che rammentano il raffinato polimaterico di Prampolini “Bèguinage” e certe ineffabili creazioni di
Savinio “Giocattoli e Mobili nella foresta”, e le raffinatissime creazioni di Clerici. Per il ricorso a intrusioni di materiali extra-pittorici, si pensi ai collages ben calibrati di Hannah Hoech e di Sonia De Aunay. Il gusto trasgressivo nell’accostamento di materiali eterogenei ricorda i “Ready-made” di Duchamp e i “Feticci d’affezione” di Man Ray.
Di sapido impianto, le terse cromie etnografiche di Sergio Marra.
Nè tralasciamo le “sudate carte” di Isa Gorini, che si è anche cimentata con avvincenti “Libri d’artista” e “Libri-oggetto”, di materica consistenza tattile, che rammentano la lezione futurista e la poesia visiva di Miccini e Luciano Caruso.
Vera rivelazione è la grafica talentosa Giulia Boni, che sfoggia notevoli doti nei sinuosi viluppi simbolisti che lambiscono micro-figurazioni simboliste, a scalfire l’impianto ben impaginato.
Collaudato binomio allo studio aperto di Maria Zanetti, che ci ha fatto ammirare struggenti collages, in cui i fili e le pagliuzze d’oro intessono smaglianti fondi che rammentano i “Primitivi”, e alcune polite sculture in marmo, intaccate da una griglia di solchi come segni di notazione di un pentagramma plastico.
Il suo alter-ego, Ugo Tricoli, inesausto sperimentatore, ci ha fatto osservare polimaterici neo-dada, sapientemente impegnati, ironiche teche e ludoteche, pseudo-cornici, a racchiudere sapidi microcosmi, in sè conchiusi, come le Monadi di Leibniz.
Al Punto-arte, abbiamo ammirato parecchi artisti di livello nazionale, come Bertè, Loffredo, Tenconi, Rognoni, Canonico, rivelando talenti emergenti, come Emanuele Balossino, di sicuro gusto scenografico, sia pure in un minimalismo che valorizza un materiale povero e naturale, come la corda e il tessuto.
Recentemente, lo scultore Loris Roncaglia, ci ha sciorinato esemplari fittili, di taglio etnografico che, nella sicurezza esecutiva e nella padronanza della tecnica e di un materiale umile e dimensso, come l’argilla, di valore universale in tutte le civiltà, rivela la sua annosa formazione di restauratore plastico.
Benito Aguzzoli allo Studio Muratori, dispiega il suo talento surreale, le cui figurazioni oscillano tra Thanatos ed Eros, gli scampoli dei suoi paesaggi simbolici, gli alberi archetipi venendo a rappresentare una Dendrologia mitica, come “L’albero della vita” e
“L’albero cosmico”, di matrice onirica, essendo loro radici abbarbicate all’Omphalos, centro iniziatico, in cui è imperniato l’Axis in cui imperniano fantasie e sogni naturalistici, solcando un’entità panica.
Duetto in S. Barnaba: il figurativo Bindo Michelini offre un repertorio tradizionale: nature morte trompe-l’oeil, figure e paesaggi.
Rivela d’avere stoffa, l’albanese Rudina Sumicna, impaginando opere di taglio neo-cubista, per certe figure simboliste, imperniate in un reticolo grafico, inserite in scampoli di interni complici, come scenografie ben strutturate, in un ordito formale, reso in una gamma di toni affocati e radiosi di una tavolozza brillante.
Al centro Pavarotti, ci trasporta in cielo, in un refolo di zefiro,
Anna Corsini, con i suoi angeli leggiadri, bambini teneri e paffuti, che sembrano quelli delle cartoline anni ’20. Le sue raffinate creazioni simboliste sono incastonate in cornici, che impaginano le fattezze soavi. Il ricorso a un fondo oro e a un impasto brillante, che rasenta l’encausto, rivela consumata abilità tecnica.
Presso la S. Salvatore è esposto un tandem artistico: Giancarlo
Guidotti e Fabio Jemmi. I fregi sinuosi di Guidotti s’inseguono tradendo l’amore per l’archeologia e la pittura antica, scalfendo un bel rosso pompeiano di calda consistenza, in cui si stagliano motivi e glifi, girali e arabeschi e intrecci, grafici palpitanti scalfiscono geometriche campiture di vibratili stesure cromatiche.
Traduce in versione attuale il neo-plasticismo di De Sjil, di Mondrian e A. Soldati, Jemmi, con le sue nette scansioni geometriche di spazio, che sembrano suggerire ritmi musicali in un pattern orfico ben calibrato.
Alla MR è siglato il ritorno di un grande della pittura dell’800:
Gaetano Bellei che fu caposcuola di solidi talenti non solo locali, quali l’ottimo Gino Scapinelli eclettico artista e scenografo di razza.
Bellei, nato a Modena nel 1857, dopo studi all’Accademia diretta dall’eccelso Adeodato Malatesta, che aveva espresso tematiche romantiche, riferendosi a artististi classici, come Perugino, Tiziano,
Velasquez, Van Dick e ai più recenti Ingres, ai Nazareni, a Delaroche e al Biedermeier.
Ma il Bellei subiva l’influsso determinante di Antonio Simonazzi, con la sua traduzione del Verismo, sulla scia di Domenico Morelli e della scuola napoletana, senza tralasciare la ricerca luministica di
Macchiaioli come il Cabianca e S. Lega.
La vocazione scenografica deriva al Bellei dal magistero di F.
Manzini.
Ma, tappa fondamentale del suo itinerario artistico è l’assegnazione del 1o premio al concorso Poletti del 1876 con “Francesco Frabcia ammira la S. Cecilia di Raffaello” d’impostazione rinascimentale. Potè così frequentare per tre anni l’Accademia di Roma e per un anno, quella fiorentina.
Con l'”Annunciazione” del 1880 espresse sensibilità simbolista e preraffaelita. Dalla frequentazione di Nino Costa derivò particolari effetti luministici, nella parcellizzazione della materia, in un corpuscolarismo di taglio divisionistico, derivato dal Morelli delle
“Tentazioni di S. Antonio”, ripreso dal Michetti. E’ del 1881 un capolavoro assoluto del Bellei, la “Resfa”, con la scena biblica del martirio dei fratelli Maccabei, in presenza della loro madre. C’è un riferimento all'”Imbalsamazione del corpo di Cristo” del Morelli, in una livida tonalità grigiastra. La stravolta deformazione anatomica delle figure sembra sentire di J. Thoma. L’allucinato visionarismo nordico del dipinto, colto in vari bozzetti e in successive variazioni, ha una resa impressionistica, facendo risaltare sagome cupe sul fondo affocato o in agghiaccianti grigi metallici azzurrati di un bozzetto privato. L’opera però era così innovativa da essere vistosamente criticata.
Nel 1882 si trasferisce a Firenze, dove gli amatori inglesi Bredling e
Strange, a prezzi irrisori, diffondevano i suoi quadri all’estero.
Egli produceva così soggetti di “genere”, scene domestiche e a sfondo rustico accattivante. Ben impaginata la “Benevenuta” esposta alla
Royal Academy, ritrae un’anziana contadina attorniata dalle nipoti in sintonia con le opere di genere popolaresco di Gaetano Clerici e
Zampighi.
Ammaliante, risulta il “Coro” di S. Maria Novella, la cui penombra è rischiarata da un fiotto di luce calda, in un’atmosfera intrisa di effetti simbolisti.
La “Finestra” risente della “macchia” ritratto della sorella, focalizzata dal tocco di luce rossa dello scialle.
Nel 1894 il Bellei si stabilisce a S. Agnese, poi in Canalgrande 97, in via Campanella e poi in Rua del Muro, con la moglie fiorentina
Ismene Miniati.
All’ultimo decennio ‘800, risale una fase di divisionismo temperato, nel “Porto di Livorno” del 1893, con vibrazioni luministiche della marina.
Partecipava nel contempo a varie manifestazioni internazionali, alla
Royal Academy di Londra 1882, a quella di Liegi del 1895, all’Arte
Sacra di Torino del 1898, all’Universale di Liegi del 1905 con “Ride ben…” e all’Internazionale di Milano del 1906 dove fu premiata la
“Madonna del muricciolo”. Venne poi la partecipazione all’Associazione artisti italiani di Firenze del 1907, alla Mostra d’arte sacra di
Venezia del 1908 con “Cristo deposto” premiato, alla rassegna di
Santiago del Cile del ’10 con “L’assalto” e all’Internazionale di Roma del 1911.
Bellei, apprezzato anche a Boston, in seguito all’acquisto di “Che freddo!” acquistato da un collezionista americano; Leon Bonnat sembra aver acquistato una testina. Intanto si andava specializzando in soggetti popolari del Chierici e di Giacomo Favretto, con l’antecedente del Biedermeier e della tematica degli affetti domestici e folclorici, con gli esempi di “Rivendugliola” e “Vecchia che fila” del Malatesta e il recupero di ambientazioni fiamminghe e soggetti di
Hals e Rembrandt, con derivazioni cronachistiche e illustrative.
Spicca fra i temi minuti dei vecchietti la “Cantoria” e “L’osteria di
Collegara” del ’18, “Il giorno di Pasqua”, “All’osteria” e “Ride bene… chi ride ultimo” pendant di dipinti esposti in v. Università, poi acquistati da Pietro Foresti.
Ben riuscite le fisionomie infantili dei fratelli Aurelio, Bice e
Luisa Artioli del 1902 e di fanciulle come ne “Lo scialletto azzurro”, in una lenticolare resa della materia, nella stessa acribia, risultano
“Bimba con gattini”, “Buonanotte a lume di candela”; “Dietro la porta”, “Dietro il sipario” e varianti. Dello stesso intimismo, risultano improntati “Quattro testoline infantili”, “La bimba in abito azzurro con rosa” del 1897, “Bambino in veste grigia” del 1919 e
“Ritratto di bimba con fiocchetto” del 1905.
Alla “pittura degli affetti”, appartengono “Cari nonni”, “Le ciliege del nonno” 1918 e “I tre amici” del ’19.
Dal ’06 al ’21 si annoverano “Colpo di vento” e “Sotto la pioggia”, in una gamma grigio-azzurra, tocchi rossi-arancio, in un divisionismo filamentoso che rammenta lezione di Previati, Ranzoni, Morbelli T.
Cremona dalla Scapigliatura; nella stessa tecnica, risulta la raffinata resa simbolista di “Donna con veli”.
Della stessa resa atmosferica risultano i paesaggi “Da Ligorzano” 1913 e “A Serramazzoni” del ’16. Di sapore vernacolare “La triganeina” nelle versioni del ’15 e del ’19.
Una serie di tele di gusto settecentesco, come il conventuale “Affetti di una novizia” esposto alla Società di incoraggiamento nel 1875, la gouache “Fanciulla in abiti del Settecento” sulla scia del Fortuny; il
“Moschettiere che brinda alla Meissoniere”.
Curiosa, l’allegoria del “Giubileo”, in un apparato iconografico esemplare, con l’apogeo di Leone XIII.
La sua fortuna, costruita sulla ritrattistica, delinea esponenti dell’alta società, i “Coniugi Palazzi”, “La N. D. Rovigli” in un habitat sfarzoso e del ’12 l’esemplare “Dottor Tiarini”, che rammenta il Boldini, “Il Senatore Sandonnini”, “Il Senatore Nicola Fabrizi”; i ritratti degli amici artisti; lo scultore Silvestro Barberini, il poeta Ferruccio Cambi del ’18, il musicista Ernesto Vellani di sapore
Liberty. Rammenta Fortuny, Marganasi Zuccoli di piglio esecutivo brillante. Tra Verismo e Liberty, si colloca emblematicamente l’ambientazione “Alda Agazzotti” d’atmosfera intimista, su uno scorcio autunnale.
Dotato d’introspezione psicologica, l'”Autoritratto” del ’18 “Mistico e Madonna”, ma già laico, risulta “Maddalena”.
Diverse sue opere appartengono a chiese, in S. Domenico, a Zocca,
Fanano, Rolo e in cappelle gentilizie dei marchesi Campori Stanga e nei Palazzo Rangoni a Bomporto.
Al Verismo si unisce il Simbolismo, in un Divisionismo tradotto in un pulviscolo cromatico. Diviene apprezzato decoratore di interni di chiese a S. Maria di Mugnano, con l’affresco “Trasporto della S. Casa di Loreto”, a Rub e nella Chiesa del Crecefisso a Carpi.
Insieme ad altri artisti locali, come Muzioli, Reggianini, Eanpighi,
Boschi, illustra La Galleria Estense, opera di Adolfo Venturi nel
1882.
Divenuto socio onorario dell’Istituto di Bell’Arti, Accademico
Residente di Pittura, insegna dal 1896-7 e dal 1902 al 1905 alla
Scuola Libera del Nudo presso l’Istituto di Belle Arti. Muore il 20 marzo 1822.
Occhio per Occhio
Giuliana Galli