Il dipinto che vedete come sfondo, eseguito nel 1988, è opera di un’artista contemporanea il cui nome a molti può non significare nulla.
Non avendo vissuto in quel periodo non sarei in grado di dire esattamente quale sia stato il ruolo e la fortuna di Carla Accardi, questo è il suo nome, tranne che fu protagonista qualche anno fa (negli anni ’80) di un articolo pubblicato su Vogues; del resto il suo nome risulta poco noto, se non sconosciuto, alla maggior parte delle persone di media cultura.
Purtroppo in pochi prestano attenzione agli artisti italiani dell’ultimo trentennio in parte anche per motivi di ordine culturale; probabilmente gli italiani rimangono legati ancora al mito dell’arte figurativa passata dal Trecento in poi fino alla prima metà del nostro secolo e non sono ancora entrati nella nuova ottica che vede l’artista dover confrontarsi con le innovazioni tecnologiche: queste ultime lo spingono non solo a utilizzare materiali diversi (oltre naturalmente a quelli tradizionali) ma anche a considerare la realtà non così come è ma secondo una ricostruzione nuova, tutta personale seppur razionale.
Inoltre, l’arte italiana soffre del fatto che dal 1945 in avanti ha dovuto giocare un ruolo subordinato rispetto agli Stati Uniti che furono a quell’epoca un immenso calderone di idee e un grande trampolino di lancio per artisti anche non americani; così più facile che si conoscano artisti come Pollock e Andy Warhol piuttosto che Fontana o Ceroli (pure esponente della Pop Art, ma italiana). Una parte di responsabilità appartiene anche alla critica che ha svolto un ruolo importante nella diffusione dell’arte, ma ha riservato la sua “pubblicità” e i suoi scritti a pubblicazioni settoriali e specializzate e con un linguaggio a dir poco ostico.
La nostra artista appartiene a quel tipo di arte che si diffuse nel dopoguerra prolificando tramite numerosi gruppi che si riunivano attorno a un artista più anziano e famoso o a un critico che si prestava come garante e mecenate. La Accardi esordì ufficialmente nel 1947 durante l’esposizione intitolata Forma1, il cui nome deriva dall’omonima rivista che vide solo il primo numero. I suoi dipinti ad una prima visione risultano quasi scarabocchi senza senso, invece nascondono il suo rapporto e la sua visione del mondo; essa stessa dichiara che per leggere i suoi quadri non ci si deve affidare a un punto di vista stabile, alla razionalità, “l’osservatore deve lasciarsi andare”. In tutti i suoi quadri
presente un dualismo di aspetti distinti in rapporto costante fra loro: lo sfondo e la forma.
Il primo sempre luminoso ed percorso da segni scritti che a volte svaniscono in esso, a volte gli uni si confondono con l’altro. A mano a mano che la personalità artistica dell’autrice si evolve, lo sfondo diventa sempre più trasparente fino a scomparire, dando il sopravvento al segno.
I due elementi possono essere interpretati come la Luce invasa dal segno scritto o dalla forma più in generale. Secondo Massimo Cacciari la luce non è un elemento formale di composizione, è solo il pretesto che da una ragione d’essere alla scrittura, perciò le due parti non sono in antagonismo. Qualcun altro ha visto in questi cieli fittizi addirittura i limpidi cieli della Sicilia, dove l’artista aveva trascorso la sua infanzia.
Al di là delle interpretazioni più o meno ipotetiche i dipinti di Carla
Accardi, pur non essendo di interpretazione immediata, sono molto piacevoli sia dal punto di vista grafico che cromatico.
Testo elaborato sulla traccia del saggio di Marianne Browner (Catalogo della personale di Carla Accardi, Modena, Palazzina dei Giardini Pubblici, febbraio-aprile 1989).