Il mio più cordiale benvenuto a tutti voi cari lettori; se state leggendo questo articolo, posso ragionevolmente presumere che siate quantomeno incuriositi dalla lingua giapponese. Sì, perchè proprio di essa parlerò in una serie di articoli: quanto a lungo dureranno, dipenderà da voi. Aspetto quindi le vostre lettere per sapere cosa ne pensate.
Bene, da dove cominciare? Come disse una persona saggia, è bene cominciare dall’inizio. Diamo quindi per scontato che voi siate completamente all’oscuro di qualsiasi nozione sulla lingua giapponese. Probabilmente, al solo sentirla nominare, vi vengono alla mente indecifrabili e complicatissimi simboli dall’oscuro significato e dall’altrettanto oscura pronuncia. Potreste essere dunque indotti a pensare che il giapponese sia una lingua estremamente difficile da imparare. Bene, potete cominciare a tranquillizzarvi: non è affatto così.
La grammatica del giapponese non è affatto più complessa di quella di tante altre lingue più conosciute, come l’inglese o il tedesco. Al contrario, sotto questo punto di vista è alquanto semplice. Attenzione, però: questo non significa ovviamente che lo si possa imparare nel giro di cinque minuti. Come per tutte le cose, sono richiesti amore, dedizione e pazienza per poter ottenere dei buoni risultati. Nel caso specifico del giapponese, è necessario anche avere una buona memoria, come vi sarà chiaro tra poco.
Vediamo dunque di gettare un po’ di luce sui famosi “simboli”, che tanto disorientano gli occidentali, e che si chiamano più esattamente “ideogrammi”.
Prendete per un attimo in considerazione l’alfabeto occidentale, quello che usate anche voi quotidianamente per scrivere e leggere (come state facendo ora con questo articolo). Esso è composto da svariati simboli:
“a”, “b”, “c”… Ora, cosa rappresentano questi simboli, presi uno alla volta? Ad esempio, cosa rappresenta il simbolo grafico “u”? Pensateci un attimo, e vi renderete conto che i simboli dell’alfabeto rappresentano dei suoni che potete fare con la bocca. In termini più rigorosi, si può dire che i segni dell’alfabeto occidentale hanno un valore fonetico. Vorrei farvi notare che questi simboli NON hanno un significato se presi singolarmente. Se leggo “s”, cosa “vuol dire”? Niente, se non il suono che si fa espirando l’aria attraverso la lingua e il palato.
Per poter parlare di significati, bisogna prendere in considerazione le parole. Mettendo insieme più simboli dal valore di suono, si può scrivere un qualsiasi nome che nella lingua parlata identifica qualcosa. Ad esempio, se scrivo “gatto”, ho riprodotto graficamente il nome di quell’animale che miagola e fa le fusa e che tutti conosciamo. Da cinque simboli fonetici (le lettere) ho ottenuto una parola dal senso compiuto.
Mi pare di sentirvi dire, “cosa c’entra tutto questo col giapponese?”
C’entra eccome, ora ci arrivo. Gli ideogrammi sono anch’essi dei simboli grafici utilizzati per rendere la lingua parlata in forma scritta.
Tuttavia c’è una grande differenza tra gli ideogrammi e i simboli alfabetici occidentali (e non mi riferisco al fatto che generalmente siano più complicati). Un ideogramma NON ha valore fonetico, vale a dire non rappresenta un suono: esso ha già un significato di per sè.
Per chiarire le cose, ripeschiamo l’esempio precedente: esiste un ideogramma specifico per la parola “gatto”!
Ora, se ci pensate un attimo vi renderete conto di un aspetto abbastanza preoccupante di questo sistema. Infatti, mentre nelle lingue occidentali è sufficiente conoscere a memoria ventuno (o al peggio venticinque) simboli diversi, in una lingua ideografica ci dovrebbe essere un simbolo diverso per ogni parola possibile! Prendete per esempio un dizionario della lingua italiana; centomila parole? centomila ideogrammi! In realtà non è necessario arrivare a questi estremi, dato che si possono “attaccare” due o più ideogrammi per avere una nuova “etichetta” da associare ad un’altra parola. Ad ogni modo, il numero di simboli che sarebbe necessario conoscere raggiungerebbe ugualmente livelli disumani. La lingua cinese è così: per leggere e scrivere vengono utilizzati fino a cinquantamila ideogrammi diversi. Chiunque voglia cimentarsi con essa ha tutta la mia ammirazione, e gli faccio i miei migliori auguri.
Fortunatamente, i giapponesi hanno pensato bene di semplificare un po’ le cose. Inizialmente, attorno al quinto o sesto secolo, l’intero corredo di ideogrammi cinesi venne adottato in blocco. Poi, nel secolo nono, viste le grandi difficoltà di un simile sistema di scrittura, alcuni ideogrammi vennero modificati e semplificati; a questi ideogrammi venne assegnato un valore puramente fonetico, in modo che a ciascuno di essi corrispondesse una precisa sillaba (ad esempio “ma”, “ku”, “ri”, eccetera). Nacque così quello che viene denominato alfabeto sillabico Hiragana. Esiste anche un secondo alfabeto sillabico detto Katakana, ma ne parlerò più avanti per non confondervi le idee.
I caratteri Hiragana sono in tutto 46, anche se si possono combinare in modi particolari per ottenere la rappresentazione di ulteriori suoni.
In teoria, tramite questi soli 46 simboli è possibile trascrivere tutta la lingua giapponese. Da cinquantamila a 46, niente male, eh? Devo però darvi una brutta notizia… In pratica, infatti, scrivendo il giapponese solamente con gli Hiragana si corre il rischio di grosse incomprensioni ed ambiguità. Questo perchè nella lingua giapponese ci sono molti omòfoni, vale a dire molte parole uguali nel suono, ma differenti per significato.
Ad esempio, il suono “ki” può voler dire “energia”, ma anche “albero”.
Se si usa il carattere Hiragana, che rappresenta solo il suono, la scrittura per queste due parole risulterà identica; non si capisce, in definitiva, di cosa si sta parlando. Viceversa, gli ideogrammi sono unici: non ce ne sono due uguali.
Gli ideogrammi che significano “energia” e “albero” sono diversi, e non si possono confondere l’uno con l’altro. Naturalmente bisogna conoscerli…
Attualmente, nella lingua giapponese scritta sono in uso circa tremila ideogrammi diversi, che vengono utilizzati assieme ai segni sillabici
Hiragana (e Katakana). Purtroppo, per poterli leggere e scrivere non c’è altro sistema se non quello di conoscerli a memoria. Questa è l’unica vera difficoltà che presenta il giapponese a chi voglia impararlo. A peggiorare ulteriormente le cose, per ogni ideogramma esistono almeno due diversi modi di leggerlo; alcuni ne hanno molti di più. Ad esempio, l’ideogramma che significa “albero”, si può leggere (come vi ho già detto) “ki”, ma anche “moku”. Per ora vi dirò che solitamente esiste una pronuncia da usare quando l’ideogramma è isolato e una da usare quando si trova unito ad altri per formare una parola composta. Ci ritorneremo sopra in seguito; per ora non preoccupatevene.
Ormai vi sarà chiaro perchè per imparare il giapponese è necessaria una buona memoria, vero? A conti fatti, tutto si riduce a questo.
Ah, quasi dimenticavo: naturalmente si può scrivere il giapponese anche con i caratteri occidentali. Come è ovvio, però, così facendo si incorre nello stesso problema degli Hiragana, dato che sono entrambi sistemi fonetici. Tirando in ballo ancora una volta il nostro povero gatto, ecco che posso scrivere la parola giapponese che lo identifica in tre modi: con l’ideogramma che avete visto prima, con i caratteri occidentali (“neko”) e con i due Hiragana che indicano i suoni “ne” e “ko”.
Bene, se ora vi sentite un po’ giù di corda dopo queste notizie, per risollevarvi il morale vi parlerò un po’ degli aspetti facili della lingua giapponese. Innanzitutto la pronuncia: anche se con qualche eccezione, la struttura tipica delle sillabe di questa lingua (vocale + consonante) la rende molto simile a quella dell’italiano. Le vocali si leggono come le nostre (a differenza di quanto avviene, per esempio nell’inglese). Anche la grammatica risulta molto più semplice di quella italiana: tanto per fare un esempio, nella coniugazione dei verbi ci sono solo due tempi, passato e presente. Per il tempo futuro si usa la stessa forma del presente; anche se può sembrarvi strano, probabilmente anche voi lo fate, quando pronunciate frasi del tipo “domani vado al cinema” (che in italiano corretto dovrebbe essere “domani andrò al cinema”). Naturalmente anche il giapponese ha le sue difficoltà, che sono dovute però alla diversità delle regole rispetto a quelle dell’italiano, piuttosto che alla loro complessità.
Vedo che siete un po’ stanchi… per questa volta basta così, il mese prossimo vedremo più nel dettaglio gli alfabeti sillabici e tante altre cose interessanti. Se siete però impazienti di imparare la vostra prima frase in giapponese, vi dò una piccola anticipazione:
Che si pronuncia:
e che significa “Io sono XXX”; al posto delle X potete mettere quello che vi pare… Nella prossima puntata vi spiegherò meglio questo genere di frase, per ora vi basti sapere che “Watashi” è uno dei tanti modi di dire
“Io” e “desu” corrisponde al verbo “essere” dell’italiano. Per quello che riguarda quel piccolo “Wa”… ne riparleremo!