1995, Abbey Road 2, Londra. I Verve, prodotti e coadiuvati da Owen Morris (definito da Ashcroft “l’unica persona che conosco in grado di sfasciare una vetrata di dieci metri senza smettere di lavorare”), già al fianco degli Oasis in “Definitely Maybe”, incidono il loro secondo Lp: “A Northern Soul“.
È un’esperienza estrema per la band, prossima al primo (provvisorio) scioglimento: una registrazione effettuata sotto la pesante influenza delle droghe, in un periodo che sembrava annunciare, da un momento all’altro, la fine dell’avventura del gruppo di Wigan. Il disco non ha ottenuto eccessivi consensi da parte del pubblico e ha in parte spiazzato la critica: l’eredità sonora di “A Storm in Heaven” si percepisce, tuttavia va sfaldandosi da una traccia all’altra, per la convergenza di testi sempre meno criptici e di sonorità sempre più soggiogate dalla melodia. Ascoltato a quasi dieci anni di distanza, sembra sintetizzare la (non eccessivamente) poliedrica esperienza dei Verve: è psichedelia e pop, è Ashcroft-centrico e tuttavia non soffoca gli ancora inespressi talenti di Nick McCabe. “A Northern Soul” conclude la ricerca del “Verve E.P.” e di “A Storm in Heaven” e annuncia le concessioni puramente pop di “Urban Hymns”. Non è immaginabile il passaggio da, per intenderci, “Gravity Grave” a “Drugs don’t work” senza la felice transizione di “On Your Own“; l’atmosfera drammatica ed esasperata e il respiro para-epico di “History” origineranno “Bitter Sweet Symphony“; “This is Music“,spurgata dall’orgoglioso livore, sarà la prima sorgente di “Sonnet“.
Prima di presentare i brani nel dettaglio, integro nella pagina due giudizi critici divergenti, per offrire una panoramica più completa.
EXCERPTA. LA FRATTURA DELLA CRITICA.
Jason Ankeny di www.allmusic.com scrive:
“(…) Reportedly produced under the influence of excessive drug use, the album is harrowingly intense, its darkly hypnotic momentum steered by Nick McCabe’s spiraling guitar leads and Ashcroft’s incantatory vocals; tracks like the remarkable “On Your Own”, “So It Goes”, and the majestically morose “History” are searing evocations of isolation and desperation, soaring yet heartbreaking anthems of disillusionment and loss”.
Sostiene Piero Scaruffi: “Northern Soul (Vernon Yard, 1995) ha poco da offrire che non fosse già nel primo album. A New Decade (un inno da cui sembra far capolino il buon vecchio Bob Dylan) e Northern Soul (una giostra allucinogena in cui sembra di intravedere il buon vecchio Donovan di Season Of The Witch) fanno capire che il gruppo potrebbe continuare per anni a propinare lo stesso sciroppo psichedelico, ma diversi scivoloni (McCabe che fa l’Hendrix in Reprise, e non è esattamente il più grande chitarrista del mondo, Ashcroft che intona lo shuffle acustico On Your Own con un falsetto gospel, e non è esattamente Marvin Gaye, il soul orchestrale alla Barry White di History) mettono in guardia che il futuro potrebbe riservare più ridicolo che rispetto. Manca soprattutto il materiale su cui lavorare. E Ashcroft, passando dal gemito tremante stupefatto di un tempo al crooning altisonante di oggi, e dai testi enigmatici degli inizi a quelli filosofici di oggi, tradisce soltanto di essere un cantante men che stellare e un infausto poeta”.
A NORTHERN SOUL: l’album.
Acido, disturbato, inquietante: il secondo disco dei Verve è decisamente borderline, sin dall’ouverture, “A New Decade“: Ashcroft canta la progressiva fortuna della band e l’estraniamento derivato dal primo successo e dalla coscienza della sua non adattabilità alle convezioni del sistema. “The radio plays the sound we made / And everything seems to feel just right / Coming through your lonely mind / Well I’ve seen things / That scared and bruised and left me blind“.
Singolare la facilità di lettura di questi versi, che sembrano aver rinunciato davvero all’ermetismo della prima fase pseudo-rosicruciana dello stile di Ashcroft, per restituire l’immagine di un’anima che rinuncia a qualunque trasfigurazione e a qualunque reminiscenza per raccontare direttamente il suo stravagante e non comune vissuto. “A New Decade” ha un respiro rock, sembra “Revolution 1” dei Beatles inasprita, distorta e velocizzata.
“This is music“: nuova esplosione di rabbia e di consapevolezza di Ashcroft. “I’ve been on the shelf too long / Sitting at home on my bed too long / Now it’s time to hear my song / How are you gonna take it?“: egoico, ma non ideologico come Lennon, provocatorio e giullaresco come Jagger, Ashcroft riflette sul rapporto tra amore e musica, esaltando ancora una volta quel che sta creando assieme alla sua band. “This is music” sembra mantenere la freschezza della prima psichedelia di “A Storm in Heaven”, è carica d’ambizione, di sogno e di energia. Ma il dolore non è stato rimosso. Finalmente, “On Your Own“: un primo epilogo della ricerca esistenziale di Ashcroft: isolamento>individualismo.
“You come in on your own / And you leave on your own / Forget the lovers you’ve known / And your friends on your own“. È una ballata: splendida nella versione acustica, ospitata nella prima delle due versioni del singolo “History”(in copertina, l’insegna del “Times Square” recita: “All Farewells should be sudden”). Nella versione dell’album, Nick McCabe suona il piano e Richard Ashcroft la chitarra acustica. È uno dei tre brani che meritano l’acquisto del disco, assieme alla successiva “So it goes” e a “History”: ma insisto, la bellezza di questa ballata la si riconosce più facilmente nella superlativa versione acustica, con buona pace degli oppositori delle b-sides. Una delle vette dei Verve. “Tell me what you’ve seen / was it a Dream? Was I in it?” (was it a vision or a waking dream?, scriveva Keats).
“So it goes“: echi blues d’una lacerante rottura d’una relazione sentimentale, insistenza sulla solitudine e sull’incomprensione, nausea e noia. Sgretolante.
“Cause I don’t need no calls / When my feelings fall / You showed me things I didn’t want to see / I don’t believe that love is free / Sure fine way to treat a man“. E infine: “another drink and I won’t miss her”, ripetuto a oltranza, la voce s’incrina e si spezza; dissolvenza. So it goes. Dal particolare all’universale: rappresentazione d’un sentimento non esclusivo, e totalizzante.
Senza patetismo, senza compiacimento. Percussioni e chitarra acustica per Ashcroft, prima chitarra McCabe, qui assolutamente joydivisioniano.
È il momento del brano eponimo dell’album: “A Northern Soul“. “Take a look into my eyes / I’ll tell you so many lies and then / I’ll let you go into the night / And I don’t think I’m coming down / I’m alive with something inside of me“.
L’esistenza è menzogna e non esiste rimedio alla dannazione: eterna ricerca d’una origine che non si riesce più nemmeno a nominare, nell’illusione che l’origine sia la verità. Pezzo psichedelico e notturno, “A Northern Soul” è il brano più nitidamente acido del disco: distorsione e ripetizione, fino all’irreparabile estraniamento visionario (“I’m gonna die alone in bed“). La facile rima “too busy staying alive, too busy living a lie” non tradisca l’interpretazione: qui s’incarna il baratro esistenziale di Ashcroft.
“Brainstorm Interlude” è una nuova apertura alle prime sonorità dei Verve: sperimentazione strumentale, apprezzabile nel suo dinamico disordine.
I ritmi si rallentano e s’assopiscono nella neoromantica “Drive you Home“: qualche frammento, nel testo, annuncia “Bitter Sweet Symphony” (“I’ll never change for anyone” si sposa con “I’m a million different people from one day to the next / I can’t change my mould”); è la storia, per il resto, d’un incontro(amoroso)magico ed empatico, è canto di altra e nuova appartenenza.
Gli archi annunciano “History“, diamante britpop del disco: trascinante l’interpretazione di Ashcroft, coinvolgente e commovente. Wanderer, come Arthur Machen, per le strade di una Londra segreta e spopolata, l’artista ritrova in ogni volto le ragioni per cui è fuggito via. Inadatto a vivere, si sta lentamente autodistruggendo. “I’ve got to tell you my tale / of how I loved and how I failed / I hope you understand / These feelings should not be in the man“.
“Living with me is like keeping a fool”, sussurra alla sua compagna: quel che rimane della speranza è tra le lenzuola sfatte di un albergo, chiaro e limpido, nonostante le droghe (“I’ve got a skin full of dope”) confondano la percezione della realtà e aiutino a sprofondare ancor più nel dolore. Questa è una canzone che non invecchierà mai. Tornerete ad ascoltarla a distanza di anni e la scoprirete ancora magnetica, e viva.
“No knock on my door” è una nuova fiammata rock. Ashcroft attinge ancora al suo vissuto, parla di un incontro e di una “illuminazione”: personalissimo, sembra ripetere il racconto della singolare “iniziazione” legata alla figura-cardine femminile che già aveva ispirato “All in the mind”, il primo singolo della band, registrato tre anni prima. “She knew my feelings were tangled and frayed / She took me into a windblown alley / She showed me what a boy should see / I’ll thank her till the day I that die“.
“Life’s an ocean“: nuova lettura del male di vivere dell’artista, della sua irreparabile insofferenza nei confronti del “sistema”: siamo ancora al concetto romantico dell’artista isolato e “incompreso”, ed emblematicamente cosciente (e orgoglioso) della propria diversità. Le sonorità riprendono, indirettamente, quelle della storica “She’s a superstar”: meno distorta, più rallentata e soffusa d’atmosfere oniriche. Memorabili questi versi, figli d’una nuova visione: “Imagine the future / Woke up with a scream / I was buying some feelings / From a vending machine“.
L’ipnotico e avvolgente canto (profetico) della distruzione del primo equilibrio della band, “Stormy clouds” chiude il disco. “Reprise” è il personale, sfarzoso e atipico congedo psichedelico di Nick McCabe.
A Northern Soul.
Guitars: Nick McCabe.
Vocals: Richard Ashcroft.
Bass: Simon Jones.
Drums: Peter Salisbury.
Producer: Owen Morris.
Registrato in Abbey Road 2, Londra. 1995.
“I hope you know that I am me so come on
I’m thinking about history
And I’m living for history“. (“History”, Verve).
DISCOGRAFIA ESSENZIALE e GENESI DEL GRUPPO.
Urban Hymns, Virgin, 1997.
A Northern Soul, Vernon Yard, 1995.
No Come Down, Vernon Yard, 1994. (b-sides e inedite)
A Storm in Heaven, Vernon Yard, 1993.
The Verve E.P., Vernon Yard, 1992.
All in The Mind, Hut, 1992. (Three tracks single)
Wigan, Lancashire, tardi anni Ottanta. Lo sciamanico chitarrista e cantante Richard Ashcroft(classe 1971), il batterista Peter Salisbury, il bassista Simon Jones, amici sin dai tempi della Upholland High School, incontrano il cupo e introverso chitarrista Nick McCabe, cultore dei Joy Division, all’epoca studente del Winstanley College.
È la nascita d’un gruppo storico della scena indie rock inglese: i Verve.
La band firmò il suo primo contratto con la Hut e debuttò nel marzo del 1992 con l’introvabile singolo “All in The Mind“, seguito, in rapida successione, da altri due singles: “She’s a superstar” e “Gravity Grave”. Larga parte dei brani ospitati nei tre dischi furono ristampati nel primo, omonimo e leggendario E.P.
Siamo, per intenderci, nel periodo in cui i Verve erano definiti “l’essenza liquida del rock’n’roll“. Ottenuti ottimi riscontri sulla scena indie, reduce da una tournée americana al fianco dei Black Crowes, la band di Wigan incise il primo album, “A Storm in Heaven“, annunciato dal singolo “Blue“. Apparso nel 1993, acclamato dalla critica, non rappresentò tuttavia un successo di vendite. La fama dei Verve come band eclettica e atipica(convergenza e fusione di psichedelia e pop) s’accompagnò rapidamente con quella di band “must” dal vivo: negli spettacoli live, Ashcroft era trascinante, estremo e magnetico, calamitava gli spettatori.
Eccessi e stravizi iniziarono ben presto a segnare l’attività del gruppo: Ashcroft più volte ricoverato per l’eccessivo deperimento, Salisbury arrestato per aver distrutto una camera d’albergo, in Kansas. Nel frattempo, Nick McCabe si mostrava sempre più insofferente nei confronti del leader e frontman della band, l’uomo che, per dirla con Gallagher, “As he faced the sun he cast no shadow“: l’incredibile personalità di Ashcroft (appassionato studioso, tra l’altro, della cultura rosicruciana) oscurava il resto del gruppo.
Nel 1995, sotto l’effetto di pesanti quantitativi di extasy, i Verve registrarono un album che sembrava poter rappresentare il congedo della band: “A Northern Soul“. Il disco, nonostante ospitasse brani come “History” e “On Your Own” non ebbe fortuna: soltanto qualche mese dopo, Ashcroft abbandonava la band, salvo poi fortunatamente ritornare sui suoi passi. McCabe, tuttavia, non fu immediatamente d’accordo e venne rimpiazzato da Simon Tong, chitarrista e tastierista, altro vecchio compagno di scuola. Trascorrono due anni: il tempo necessario al transfuga per tornare sui suoi passi, il tempo necessario per ideare il Disco Definitivo. 1997.
“Urban Hymns” è il caso discografico dell’anno. Trascinato dal singolo “Bittersweet Symphony“, cover “spuria” di “The Last Time” dei Rolling Stones(il brano campionava un sample di una esecuzione orchestrale dell’originale), e dalla malinconica ballata “The Drugs Don’t Work“, l’album è stato un successo internazionale. Seduti sul tetto del mondo: fin quando, neppure un anno dopo, Nick McCabe ha definitivamente alzato i tacchi, rompendo per l’ennesima volta con la band. I Verve si sono ufficialmente sciolti nel 1999.
Richard Ashcroft, attraverso una felice collaborazione con il progetto Unkle del Dj Shadow (“Lonely Soul”) e una discreta prova con i Chemical Brothers (“The Test”), s’è avviato ad una carriera da solista: il primo, promettente album, “Alone with Everybody“, pubblicato nel 2000, trascinato dal fortunato singolo “Song for the Lovers“, è stato un successo internazionale.
Il secondo disco, “Human Conditions“, è piuttosto fiacco e deludente: introspettivo ed eccessivamente intimista, segna un momento di transizione.
Peter Salisbury collabora irregolarmente ai dischi di Ashcroft.
Il bassista Simon Jones ha fondato, assieme a Simon Tong e all’ex Stone Roses John Squire (poi sostituito da Dan McBean), un nuovo gruppo: “The Shining“(nome scelto in omaggio al film di Kubrick e al romanzo di King).
Il primo, interessante album, “True Skies“, è stato pubblicato nel 2003.
L’inquietante e talentuoso Nick McCabe ha collaborato con il progetto Faultline e con i Neotropic.
Fonte principale delle informazioni biodiscografiche è stato, oltre al solito, monumentale www.allmusic.com, il sito ufficiale della band:
http://special.the-raft.com/theverve/
Sito ufficiale dei “The Shining”: http://www.theshiningarehere.com/
Sito non ufficiale di Nick McCabe: http://www.nickmccabe-kim-2freespirits.co.uk/
Sito ufficiale di Richard Ashcroft: http://www.richardashcroft.co.uk/
“History has a place for us. It may take us three albums, but we will be there“. (Richard Ashcroft, 1993).