Spirali – Pag. 260 – Euro 25
Una testimonianza di grande valore letterario quella resa da Manuel Vásquez Portal che descrive l’orrore delle carceri cubane con la grazia e la leggerezza di un poeta. Scritto senza permesso è una sorta di remake attualizzato di Contro ogni speranza di Armando Valladares (recentemente ristampato da Spirali), ma è molto più grande come testimonianza narrativa. Lo stile di Vásquez Portal è quello del poeta in prestito alla prosa che si lascia andare a dolcissime lettere d’amore per la moglie, consigli per il figlio e furore patriottico per una terra tormentata. Il popolo che sopporta una tirannia, la merita, diceva José Martí. Per Manuel Vásquez Portal l’incitamento è ancora attuale perché Castro non è l’erede delle teorie martiane, ma un usurpatore senza titolo. Il diario dal carcere di Vásquez Portal è un grido di dolore per la libertà della sua patria, costellato da struggenti poesie (Non hanno potuto uccidermi/ e mi seppelliscono vivo:/ un cadavere scomodo che canta) e da affermazioni come: “I manoscritti sono le mie uniche armi contro questa ingiustizia e contro questa ostilità. Convertirò queste pagine in un fragore accecante”. Il poeta grida: “Non sono un delinquente. Sono un semplice uomo che scrive. Dovranno rilasciarmi”. Ma poi comprende che chi governa “non crede né nella poesia né nella madre che li ha partoriti”. Vive in una cella che sembra una topaia, larga un metro e mezzo e lunga tre, colpevole soltanto di aver espresso delle legittime opinioni. “Ho la sensazione/ è quasi una certezza,/ che un paese intero non entra in un carcere,/ a meno che/ il paese sia il carcere”. Scrive in una lettera alla moglie: “La tirannia attuale è più sottile, sofisticata, sibillina, duttile di mosse, spietata, senza scrupoli e crudele di tutte le precedenti. Scolaretti furono Machado e Batista, bambini capricciosi e ingenui…”. Non si rassegna al suo destino di uomo che non può più scrivere le sue opinioni controcorrente. “Pensare è sempre stato rischioso, a Cuba pensare è diventato tabù, esprimere un pensiero è un crimine, non siamo liberi neppure di essere noi stessi…”. Rimpiange i giovani morti cubani per tante guerre inutili. “Siamo stanchi di morti superflue. Quanti cubani sono morti in Congo, in Angola, in Etiopia, in Somalia, in Nicaragua, soprattutto per cosa sono morti?”. Non pensa che il futuro sarà immune da pericoli, ma vuole lottare per la libertà, il suo unico sogno. “Non sarà facile. Abituare una società senza tradizione democratica ai vantaggi e alle esigenze della democrazia sarà lavoro da grandi innamorati della libertà. I vizi del totalitarismo non possono essere sostituiti da nuovi vizi”. E quando un giovane carceriere gli chiede perché è in galera risponde con le stesse parole che scrive al figlio: “Perché voglio che tu viva in un altro mondo, per questo sono in carcere, ragazzo”. Vásquez Portal è convinto che il regime sia in fase terminale. “Quando i governi incarcerano per ragioni politiche non fanno altro che mostrare la loro impotenza, la loro paura davanti alla disobbedienza civile”. Il poeta è consapevole di essere innocente di fronte alla storia e sa che sta combattendo una guerra giusta. “Io non ho commesso altro delitto che quello di scrivere con onestà su ciò che altri tacciono”. Vásquez Portal è un coraggioso giornalista, un paladino della non violenza che lotta con forza contro un regime liberticida. Concludo la recensione riportando una poesia tratta dal libro nella traduzione di Sonia Cosenza (mi permetto soltanto di tradurre lo spagnolo rejas con sbarre invece che con grate, perché rende meglio l’idea del luogo).
La mia cella
non è più ampia di uno sarcofago
ma fuori la notte
– già immensa senza Yolanda –
per quanto è bella, mi tiene sveglio;
nessuno può ingabbiarla.
Non hanno potuto uccidermi
e mi seppelliscono vivo:
un cadavere scomodo che canta.
Il carcere,
surrogato del patibolo,
serve ai boia
per l’atroce stratagemma
di simulare
che sono anche troppo benevolenti.
Il mio cuore
frutta pestata
– l’ho donato tanto! –
non muore
né si spaventa,
palpita soavemente
– decoro proverbiale di tanta sistole –
esala il suo profumo tra le sbarre
e avverte
ogni innamorato,
ogni città rovinosa,
ogni ammalato di paura,
che devastato,
resuscito e regalo
forse
un’altra leggenda.
Un libro da leggere e meditare per capire che non esistono dittature buone e comunismi diversi.