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The Messengers

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Il nuovo film dei Pang Brothers è un esempio di come avvenga, ad Hollywood, l’incontro tra due modi di intendere il cinema, quello orientale e quello occidentale. Nella pellicola si ritrovano subito tutti quegli elementi rappresentativi che hanno caratterizzato gli horror orientali degli ultimi anni. Presenze inquietanti e deformi che strisciano sui pavimenti o sui soffitti, spiriti in cerca di una comunicazione con i vivi. Esseri che hanno un rapporto speciale con gli oggetti, l’acqua, il buio.

In The Messengers questi elementi, che fanno parte della cultura orientale e che in un qualche modo erano stati codificati all’interno del genere horror, vengono inseriti in un plot tipicamente hollywoodiano e per questo perdono immediatamente di senso ed efficacia.

I Pang giocano con l’horror come se si trattasse di un’attrazione da parco giochi, sorprese improvvise (sonore quanto visive) che funzionano come trucchi appositamente studiati per far saltare lo spettatore sulla propria poltrona

La cosa più difficile da digerire è il ritrovarsi di fronte, per l’ennesima volta, il tema della famiglia. L’horror che ha per sua natura una forte componente disturbante nei confronti delle istituzioni sociali quanto politiche in questo caso assume addirittura una valenza positiva che invece che distruggere il concetto di famiglia, alla fine, lo rafforza.

The Messengers non aggiunge nulla a quanto visto negli ultimi tempi ed è una conferma di come Hollywood tenda (ma come potrebbe fare altrimenti?) ad inserire chiunque entri nei suoi meccanismi all’interno delle proprie logiche narrative ed espressive.

Svariati i riferimenti a La casa, Gli Uccelli e Shining, ma è tutto un superfluo gioco di rimandi. Nella sostanza manca il coraggio di andare veramente nel fondo oscuro delle cose e si costruisce uno spettacolo di semplice consumo con una morale che davvero è difficile da mandare giù.


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