
Ci si oppone sempre alla legge, ed è naturale.
Georg Friedrich von Hardenberg (Novalis)
Ogni rapporto tra cittadino e potere pubblico corre sul filo sottile tra obbedienza e libertà. Laddove l’autorità incontra la resistenza, si manifesta la tensione più profonda dello Stato di diritto: quella tra la forza necessaria all’ordine e il diritto al rispetto e dignità degli individui.
Più prosaicamente a chi non è mai capitato di protestare contro un pubblico ufficiale per la rabbia provata per una multa o altro provvedimento d’autorità subito e considerato ingiusto? Ogni individuo ha il diritto di esprimere la propria opinione, al fine di comprenderne le ragioni e dunque eventualmente di esprimere anche il proprio disappunto, che di per sé non configura un reato, ma se la protesta eccede e diventa minacciosa o violenta si rischia di essere denunciati penalmente.
Il reato di “Resistenza a un pubblico ufficiale”, previsto dall’art. 337 del Codice Penale, è collocato dal legislatore italiano nel Libro secondo “Dei delitti in particolare”, Titolo II “Dei delitti contro la pubblica amministrazione”, Capo II “Dei delitti dei privati contro la pubblica amministrazione”. La norma stabilisce al I comma:
“Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni” [1].
Il fondamento della disposizione risiede, innanzitutto, nell’esigenza di tutelare la libertà di determinazione e di azione della Pubblica Amministrazione, attraverso la tutela, anche fisica, dei funzionari pubblici che rappresentano lo Stato.
Della nozione di “Pubblico Ufficiale” abbiamo trattato in diversi ambiti, definendolo come “chiunque svolge una funzione pubblica attribuita dalla legge” [2]. Vi rientrano quindi, in un elenco non esaustivo, tutti gli appartenenti ad organi di polizia, militari, magistrati, funzionari pubblici, medici e personale sanitario[3], professori universitari, insegnanti, membri del Parlamento e Governo, in altri termini tutti quei soggetti, dipendenti o meno di un’entità pubblica, che concorrono a “formare la volontà di una pubblica amministrazione”, essendo muniti di poteri decisionali, di certificazione, di attestazione, di coazione, e di collaborazione, anche saltuaria con la P.A. Il reato di cui parliamo viene pacificamente descritto come plurioffensivo, in quanto lede sia il buon andamento della P.A., sia la libertà di autodeterminazione ed incolumità della persona fisica che esercita le pubbliche funzioni, compreso il privato che, richiesto, gli presti assistenza[4]. Anche i soggetti indicati nelle “liste testimoniali” diventano pubblici ufficiali nel momento in cui il Giudice ammette i nominativi, autorizzando così le parti al loro interrogatorio[5].
L’incaricato di un pubblico servizio, invece, svolge funzioni residuali: pur agendo con le stesse modalità di un pubblico ufficiale, l’incaricato non è dotato di poteri autoritativi o certificativi. Si va dal conducente di mezzi pubblici, alla Guardia Giurata, dal volontario del soccorso medico d’urgenza, agli impiegati di enti pubblici che collaborano con i pubblici ufficiali nella loro attività, dall’esattore di una società concessionaria di servizio o bene pubblico, ai volontari di enti o associazioni della Protezione Civile, dai presentatori-conduttori di trasmissioni televisive, ai controllori ai caselli autostradali.
Il soggetto attivo del reato può essere “chiunque”: si tratta di un reato comune, ovvero di un crimine che può essere commesso da qualsiasi persona.
La locuzione “violenza o minaccia” costituisce l’elemento essenziale della fattispecie in quanto indica i due elementi costitutivi del reato: l’uso della violenza, cioè l’impiego di energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente o per mezzo di uno strumento, e la minaccia, che è soltanto verbale, sono alternative fra loro: questo significa che per realizzare il reato basta una soltanto delle due. Nel primo caso avremo un’aggressione fisica, nel secondo caso la prospettazione di un male ingiusto verso chi, in quel momento, sta compiendo un atto tipico del suo ufficio o servizio. La condotta viene realizzata durante il compimento dell’atto del pubblico ufficiale o per impedirgli di compierlo[6]. Ad esempio è integrato il reato di resistenza a P.U. nell’ipotesi in cui un individuo, al fine di impedire il proprio arresto, strattoni o si divincoli dagli agenti: quindi, ogniqualvolta quest’ultimo non si opponga in “maniera passiva”, ma impieghi la forza per neutralizzare l’azione e sottrarsi alla presa, nel tentativo di fuggire.
Oppure si pensi al caso di manifestanti che cercano di forzare un blocco operato dalla Polizia per impedire loro di raggiungere una zona interdetta[7].
La giurisprudenza italiana ha contribuito a chiarire alcuni aspetti controversi nella interpretazione e applicazione di questa fattispecie di reato.
La norma non punisce la resistenza meramente passiva, non potendosi essa farsi rientrare nei concetti di violenza o minaccia. Un esempio di residenza passiva è quella di chi si sdraia per la strada e non collabora con la polizia che lo vuole arrestare o spostare da un luogo ove sta manifestando. Ed è anche quella di chi si irrigidisce per rendere più scomodo il suo spostamento forzato, oppure si rifiuta di fornire i propri documenti durante un controllo.
Il semplice fuggire non integra la resistenza a pubblico ufficiale, neanche se gli agenti intimano al soggetto di fermarsi. Il reato scatta però se, nel darsi alla fuga, il reo usi una condotta violenta ed aggressiva ai danni degli agenti o di terzi. È il caso di chi, per scappare, spintona la gente per strada, corre in auto violando il codice della strada, guida il motorino a zig-zag o sul marciapiedi.
Inoltre è richiesto il “dolo specifico”, inteso quale coscienza e volontà, da parte del colpevole, di usare violenza o minaccia al fine di opporsi ad un pubblico ufficiale)[8]. Quindi, chi corre con l’auto senza sapere di essere inseguito dalla Polizia perché è distratto, non compie resistenza ma incorrerà nelle sanzioni previste dal codice della strada.
E’ stato anche stabilito che per la configurazione del reato non è necessario che il pubblico ufficiale sia effettivamente impedito nel suo operato, ma basta che l’azione del colpevole sia idonea a creare un intralcio, essendo irrilevante che il soggetto non abbia raggiunto il suo scopo, poiché la resistenza può consistere anche in atti preparatori, come la fuga o il tentativo di evitare un controllo.
L’articolo 393bis del Codice Penale prevede un’importante “causa di non punibilità” per i reati di (violenza, minaccia e) resistenza a pubblico ufficiale: la condotta illecita è giustificata, e dunque non ci può essere condanna penale, qualora risulti che il pubblico ufficiale, o l’incaricato di pubblico servizio, abbia dato causa al fatto, e dunque alla reazione spropositata del cittadino, «eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni»[9]. L’esempio può essere quello, di un agente della Polizia Locale che, fuori dal territorio di sua giurisdizione, pretenda di perquisire un cittadino che sta passeggiando per strada, o di elevargli una contravvenzione mentre è alla guida. Per poter configurare questa specifica esimente, però, la giurisprudenza richiede che la reazione “violenta e minacciosa” di chi subisce l’arbitrio non sia estrema e sproporzionata, nel caso contrario il reato sussiste.
La pena prevista per il reato di cui all’art. 337 C.P. è la reclusione da sei mesi a cinque anni, pena compresa in una “forbice” molto ampia per essere adeguatamente graduata dal Giudice in relazione alla gravità della condotta. L’articolo 339 C.P. prevede delle aggravanti. In particolare la pena è aumentata se la violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata (ossia con una maschera o con il volto coperto), o da più persone riunite[10].
La pena è da tre a quindici anni se il fatto è commesso: da più di cinque persone riunite e con l’uso delle armi; da più di dieci persone riunite anche senza l’uso delle armi; se la violenza o la minaccia sia commessa attraverso il lancio di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere.
E’ rilevante aggiungere che l’istituto della “non punibilità per particolare tenuità del fatto”, (art. 131bis C.P.), consente al Giudice di escludere la sanzione penale nei confronti dell’imputato quando la condotta sia di minima offensività, le modalità dell’azione siano lievi e il comportamento non riveli una particolare pericolosità[11].
Con la sentenza n. 23783/2025, la Cassazione penale ha ribadito che al reato di “resistenza a pubblico ufficiale” non può mai applicarsi la causa di “non punibilità per particolare tenuità del fatto”. La Corte ha evidenziato che la resistenza si caratterizza per la lesione di interessi primari come il regolare funzionamento della pubblica amministrazione, il rispetto dell’autorità legittimamente esercitata dagli organi dello Stato, la tutela dell’ordine pubblico. La condotta punita dall’art.337 C.P. assume una valenza simbolica e sostanziale che travalica il mero danno materiale o fisico arrecato al pubblico ufficiale, e non può ammettere mai una “particolare tenuità del fatto”.
Il reato di resistenza a pubblico ufficiale si colloca esattamente in questo spazio di confine, dove il diritto penale interviene a difendere la funzione pubblica da atti che ne minano l’efficacia, ma deve al contempo evitare di soffocare l’espressione legittima del dissenso.
Dalle barricate dell’Ottocento alle piazze del nuovo millennio, il conflitto tra autorità e cittadino ha assunto forme sempre diverse, ma conserva un nucleo immutato: la reazione alla forza pubblica. Quando una persona si oppone a chi rappresenta la legge, viene meno quel patto di fiducia che dovrebbe legare chi è chiamato a farla rispettare e chi ne è soggetto. In definitiva, il rispetto reciproco tra cittadini e forze dell’ordine è la base per una società che vive la legge non come imposizione, ma come garanzia di libertà e giustizia per tutti.
Non si può asciugare l’acqua con l’acqua,
non si può spegnere il fuoco con il fuoco,
quindi non si può combattere il male con il male.
Lev Tolstoj
- Cfr. www.laleggepertutti.it/ articoli di vari autori. ↑
- Uno per tutti “Quando arriva l’Ufficiale Giudiziario” di Alberto Monari, in Kultunderground n.133-AGOSTO 2006, rubrica Diritto. https://kultunderground.org/art/296/ ↑
- Anche i medici che prestano attività professionale presso strutture convenzionate con il servizio sanitario nazionale. ↑
- A tale ultima figura va infine equiparato anche il privato che proceda all’arresto in flagranza ai sensi dell’art. 383 c.p.p. Cfr. “Facoltà di arresto da parte dei privati” di Alberto Monari, in Kultunderground n.146-SETTEMBRE 2007, rubrica Diritto. https://kultunderground.org/art/752/ ↑
- Cfr. “Il Testimone” di Alberto Monari, in Kultunderground n.186-GENNAIO 2011, rubrica Diritto. https://kultunderground.org/art/1786 ↑
- Ovviamente, l’azione comprende anche quelle fasi immediatamente precedenti e successive, purché direttamente funzionali alla sua completezza. ↑
- Nel caso in cui la resistenza abbia causato lesioni o danni fisici al pubblico ufficiale, potrebbero configurarsi ulteriori reati come le lesioni personali (art. 582 c.p.), aggravando la posizione del colpevole.
Oppure, se durante l’opposizione violenta si causano danni a cose pubbliche o private, potrebbe essere contestato anche il reato di danneggiamento (art. 635 c.p.). ↑
- Corte Suprema di Cassazione, sez. Pen., n. 4325, del 27.5.1986. ↑
- Codice Penale – LIBRO SECONDO – Dei delitti in particolare – Titolo III – Dei delitti contro l’amministrazione della giustizia – Capo III – Della tutela arbitraria delle private ragioni. Art.393bis Causa di non punibilità ↑
- Affinché si integri il requisito delle più persone riunite, non è necessario che tra queste vi sia un previo accordo, ma è sufficiente la presenza fisica di almeno due persone, secondo l’impostazione dottrinale maggioritaria. ↑
- Cfr. “Depenalizzazione (ma non solo)” di Alberto Monari, in Kultunderground n.237-APRILE 2015, rubrica Diritto. https://kultunderground.org/art/18123/ ↑