
Giorgio Linguaglossa solleva un interrogativo decisivo sul concetto di arte: «Come e dove orientare la ricerca del nuovo linguaggio poetico?». Dopo la fine dell’evo moderno e di ogni ontologia estetica modernista, decretata da Zygmunt Bauman e dalla new sociology contemporanea, ogni meta-filosofo post-modernista – come Jencks con l’architettura, Danto con l’arte o Fukuyama con la storia- ha la tentazione di irrogare la sanzione definitiva di condanna a morte dell’oggetto della sua filosofia, senza fare i conti teoretici con la lezione contenuta in La condition postmoderne e nel bellissimo misconosciuto Le postmoderne expliqué aux enfants di Jean-François Lyotard: il nucleo del post-modernismo consiste nell’ammissione della caduta di ogni «métarécits», cioè della delegittimazione delle metanarrazioni della modernità e della concezione e di «univers(o)alità». L’iper-modernismo, conscio della distinzione lyotardiana tra morte del discorso e morte del meta-discorso, resuscita l’arte e seppellisce l’everything goes di Danto: contro il post-modernismo si innalza l’iper-modernismo di Virilio, Baudrillard e Lipovetsky; contro il post-moderno si innalza l’iper-moderno di Bauman (liquid society) e Beck (risk society) [la post-modernità ha sempre mantenuto una certa vagueness confusionaria tra teoria (post-modernismo) o spazio storico (post-moderno)]. L’iper-modernismo, come ogni neo-avanguardia millenials (esempio italiano il mio neoN-avanguardismo), abbandona – come consolidato- il dibattito sull’anti-«univers(o)alismo» e si inserisce in continuità antagonistica con il modernismo, a differenza del post-modernismo, liberando i suoi missili Katjuša in direzione della delegittimazione di ogni forma di «canone» e «Tradizione», schiavo della sua vena neo-avanguardistica. Però, l’iper-modernismo, è un movimento della krisis. Chiusa la krisis, ogni avanguardia/neo-avanguardia, auto-criticandosi, si suicida artisticamente, e, finalmente entra in campo il tardomodernismo. Cos’è il tardomodernismo? Prima di tutto è, insieme, teoria e spazio storico: supera a sinistra post-modernismo e iper-modernismo dichiarando la fine definitiva dell’ontologia e il distacco totale dal modernismo, naturale o caricaturale; supera a destra post-modernità e iper-modernità, ufficializzando il trapasso dall’evo moderno all’evo tardomoderno (come ripetizione storica del trapasso tra evo antico ed evo tardoantico).
L’affermazione di Giorgio Linguaglossa è falsa: «La risposta che al momento possiamo dare è che oggi, nel 2025, non si può porre mano ad alcuna ermeneutica dell’arte a seguito della Fine della poiesis, di quella che un tempo si chiamava «arte» nel tempo della storia progressiva; oggi, nel tempo della storialità (cioè della storia non-progressiva), la fine dell’«arte» trascina con sé anche la fine della critica d’arte. E qui il discorso si chiude». Giorgio ricade nel post-modernismo di Jameson (1) e Danto, formalizzando, inavvertitamente, un’utopia della distopia, con una kitchen dystopian utopia. L’arte non è morta: è morta ogni meta-narrazione universale sull’arte, cioè ogni ermeneutica (critica) letteraria fondata sull’auto-dichiarazione d’essere un’interpretazione oggettiva dell’arte. L’artista, riunito in bund, kolektivne, assemblee aeriformi, nomadi e resilienti, metabolizzato l’errore della storiografia filosofica moderna sulla distinzione aristotelica tra ποίησις e πρᾶξις, rifiuta la nozione stessa di «poesia» o anti-«poesia» come creazione fantastica di un oggetto-linguaggio e, nel nome di una concezione pragmatics dell’oggetto-linguaggio medesimo, rilancia l’interpretazione autentica dell’artista contro ogni interpretazione soggettiva del critico letterario. La critica non è morta: è diventata interpretazione debole soggetta alla meta-critica argomentativa (Habermas) dell’artista. L’artista diventa agens (engaged poetry), da faber, organizza l’oggetto-linguaggio secondo i suoi fini, sostituisce l’ermeneutica con la praxeologia, si appropria del fare arte (discorso), del dire arte (meta-discorso) e del contra-dire arte (mega-meta-discorso), acquisendo il ruolo di artista, critico e meta-critico (contro-recensioni termonucleari), contro ogni tentativo di veramusement kitchen dell’arte e contro ogni ontologia del modernismo lirico/elegiaco. Dallo scivolamento, alla trasformazione, finalmente all’opposizione aperta (riots). La kitchen poetry, ferma a Danto, ostinata nel tentare una rifondazione ontologica di un veramusement della ποίησις uscita dal nucleo dell’arte, resta nella fase dello scivolamento tra modernismo e post-modernismo, non riuscendo, ancora, ad entrare nel tardomoderno. Il tardomodernismo è una praxis distopica che annichilisce ogni forma di ontologia e di fenomenologia dell’arte, sostituendo ontologia estetica e fenomenologia estetica con una socio/etno/antropologia (anestetica) estetica, KNSEAE, basata sull’«inter-azione» sociale (disconoscimento della decadimento della triade mittente/messaggio/destinatario). La riot poetry tardomodernista non «[…] prende un frammento (in chiaro) e lo getta sulla parete bianca della tela del nulla […]»: organizza un frammento (in clearity) e – come un ariete- lo sbatte sulle mura bianche della tela dello Stato Pontificio. Papa re mondadoriano, you’re under attack!
Il Kolektivne NSEA, riunito in Prezidium, analizza e interpreta il concetto di risonanza distopica, utilizzata dalle correnti kitchen, riot e frammentiste dell’opposizione allo Stato Pontificio lirico/elegiaco. Perchè una risonanza distopica deve necessariamente implicare una risonanza caotica (Morin e Maturana), senza affrontare la Rehabilitierung del pragmatismo contemporaneo (Rorty e Putnam), e non tradursi in risonanza magnetica? Precisiamo: diventa necessario, in letteratura, con una attenta serie di definizioni e ri-definizioni, non confondere la risonanza distopica (effetto) con la risonanza caotica (strategia): la risonanza distopica è l’effetto di un senso distopico che una strategia di risonanza cagioni sul lettore. La risonanza caotica, con i suoi trojan, con la sua volontaria alternanza tra emetico ed ermetico, sibilino e acufenico, corre il rischio di attivare, nel lettore (fake), una sensazione di spaesamento (risonanza distop-utopica). La risonanza magnetica, catalizzando l’attenzione del lettore (fake), con una serie di atti, praxeologici, di dédoublement, di carnevalizzazione, di остранение, di anti-frasticità ironica, crea un campo di «interazione sociale» idoneo a costruire una relazione tra artista e lettore (fake), λόγος, orientata al racconto, con massima clearity e osservazione indiretta (partecipante), sulla verità della situazione sociale attuale, intrinsecamente distopica. La realtà è distopica: diviene necessario introdurre una praxia (la ποίησις, nel tardomoderno, si è fatta πρᾶξις) neutra – come Gedankenexperiment– in grado, attraverso una strategia di risonanza magnetica, di maltrattare e terrorizzare il lettore (fake), in modo da influenzare il perseguimento di un futuro a-distopico. L’uso di una strategia di risonanza, caotica o magnetica, crea un λόγος, di spaesamento o di terrorismo, tra un artista e un lettore (fake): cade il fondamento teoretico neo-ontologico del rifiuto della triade mittente-messaggio-destinatario. L’utilizzare un effetto risonanza, implicando una sottostante «interazione sociale», conduce all’antinomia coll’affermazione del rifiuto della triade mittente-messaggio-destinatario. Qualsiasi effetto/strategia risonanza necessita di un mittente, l’artista, di un destinatario, il lettore (fake) e di un messaggio (spaesamento o terrorismo). Il tardomodernismo risolve l’antinomia teoretica di ogni nuova ontologia estetica ri-definendo la triade mittente-messaggio-destinatario, in doppio senso (Il contributo «neon»-avanguardista alla concretizzazione di un’originale anti-«forma-poesia»), utilizzando una strategia di risonanza magnetica terroristica e rifiutando ogni forma di «poesia», e di «poesia» distopica, sostituendola con «esperimenti» praxeologici atopici. Il tardomodernismo è atopico.