
Andrea Zacchia – “Anemoia” (Filibusta Records)
Label: Filibusta Records
(distrib. fisica I.R.D., distrib. digitale Altafonte Italia)
Link: https://orcd.co/altafonteitalia_filibusta_pkoaal
Esce il secondo album del chitarrista Andrea Zacchia, “Anemoia”, il primo pubblicato da Filibusta Records (distrib. fisica I.R.D., distrib. digitale Altafonte Italia). Come per il precedente lavoro “HBPM” la formazione è in Hammond Trio con Pietro Caroleo all’Hammond e Maurizio De Angelis alla batteria. Il disco è stato registrato, missato e masterizzato presso il Fusion Music Studio di Monterotondo (RM) da Federico Palmieri.
L’anemoia è un sentimento di nostalgia per un tempo, un luogo, una persona, un’esperienza o una situazione che non si è mai conosciuta o vissuta. Il termine deriva dal greco antico ánemos (“vento”) e nóos (“mente”).
“Anemoia” è un lavoro che esplora le possibilità espressive del jazz modale e del post-bop attraverso la dinamica e suggestiva formazione dell’Hammond Trio. L’album si muove tra strutture aperte e momenti di forte interplay, alternando progressioni armoniche sospese a sezioni più ritmicamente dense, dove il groove e la melodia si intrecciano in un equilibrio raffinato.
La chitarra, con un linguaggio che spazia dal fraseggio lirico a interventi più taglienti, guida il discorso melodico e dialoga costantemente con il resto dell’ensemble. L’organo Hammond costruisce tessiture armoniche ricche e stratificate, fungendo sia da fondamento ritmico che da voce solista. La batteria, con il suo approccio dinamico, sottolinea le transizioni tra le diverse sezioni, accompagnando il trio in un percorso che alterna episodi di forte intensità a momenti più rarefatti e contemplativi.
I brani si sviluppano attraverso un’architettura fluida, in cui le melodie evocano immagini di spazi aperti e scenari onirici, mentre l’improvvisazione diventa il fulcro espressivo della narrazione sonora. Anemoia è un disco che fonde sensibilità melodica e profondità ritmica, un viaggio tra colore, movimento e memorie, sospeso tra strutture solide e aperture verso l’ignoto.
Line up:
Andrea Zacchia – Chitarra | Pietro Caroleo – Hammond | Maurizio De Angelis – batteria
Tracklist:
Reveries / Oleo (Sonny Rollins) / Full House (Wes Montgomery) / Abendrot / Blues for Wes / Groove Yard (Carl Perkins) / Longato / Zefiro
Discografia:
Andrea Zacchia – “HBPM” (WoW Records, album, 2024)
Andrea Zacchia – “Reveries” (Filibusta Records, singolo, 2025)
Andrea Zacchia – “Longato” (Filibusta Records, singolo, 2025)
Andrea Zacchia – “Anemoia” (Filibusta Records, album, 2025)
Bio
Andrea Zacchia, classe 1984, è un chitarrista e compositore jazz che unisce sensibilità melodica e ricerca sonora. Si forma presso l’Università della Musica di Roma e la Fonderia delle Arti, affinando un linguaggio che spazia tra jazz modale, post-bop e influenze contemporanee.
Con all’attivo due album da leader e numerose collaborazioni in progetti di vario respiro, ha condiviso il palco e lo studio con musicisti di rilievo e ha collaborato con brand di fama nazionale. Il suo stile, caratterizzato da un forte senso narrativo e una profonda connessione con le radici della musica improvvisata, lo rende una voce originale nel panorama jazzistico italiano.
Social
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https://www.facebook.com/andreazacchia1/
https://www.youtube.com/@andreazacchia
Filibusta Records
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https://www.instagram.com/filibusta_records
Ufficio stampa album
Carlo Cammarella
Laura Nasoni (per X-Beat Press)
Precedente intervista
https://kultunderground.org/art/42243/ (HBPM)
Intervista
Davide
Ciao Andrea e ben ritrovato su queste pagine. L’anno scorso parlammo del tuo precedente lavoro intitolato “HBPM”. Quest’anno è dunque la volta del tuo secondo album, “Anemoia”, un neologismo coniato da John Koenig nel suo “The Dictionary of Obscure Sorrow” e che indica la nostalgia per un periodo storico o un luogo che non abbiamo vissuto di persona, o anche un’esperienza o una relazione. Perché dunque questo titolo? Vi sono inoltre luoghi, epoche ecc. del passato verso le quali hai provato o provi il sentimento dell’anemoia, rimediandovi attraverso la musica?
Andrea
Grazie per l’invito, è un piacere tornare su queste pagine. Il titolo Anemoia è arrivato quasi subito, come se fosse già lì, pronto a dare un nome a un sentimento che mi accompagnava da tempo ma che non avevo mai saputo definire. Quando ho scoperto questo termine ho avuto la sensazione che descrivesse esattamente ciò che stavo cercando di esprimere con la mia musica: una nostalgia profonda e quasi inspiegabile per qualcosa che non ho vissuto direttamente, ma che sento comunque mio.
Ci sono momenti, epoche e anche luoghi che suscitano in me questo sentimento: penso agli anni ’60, all’epoca di Coltrane e del primo jazz modale, ma anche alla mia adolescenza passata tra le campagne laziali, ai pomeriggi in sala prove, ai primi concerti.
La musica, per me, è un modo per riconnettermi a quelle sensazioni. È uno spazio in cui memoria, immaginazione e presente si intrecciano, e dove posso dare forma a quel sentimento indefinito che è l’anemoia. In un certo senso, questo disco è stato un tentativo di rimediare a quell’assenza: una maniera per abitare quei luoghi interiori che non esistono più, o che forse non sono mai esistiti, ma che attraverso il suono tornano ad avere una loro verità.
Davide
Cosa “Anemoia” riprende di “HBPM” e cosa ne evolve?
Andrea
Anemoia nasce in continuità con HBPM, soprattutto per quanto riguarda la formazione: anche qui ho scelto l’Hammond trio, che per me rappresenta una dimensione espressiva molto naturale. C’è una certa coerenza anche nell’approccio all’interplay e alla libertà improvvisativa, elementi che già nel primo disco erano centrali. Quello che cambia è la direzione del suono e della scrittura. Anemoia è un disco più intimo, più narrativo, in cui il jazz modale diventa lo spazio per esplorare la memoria, i ricordi e una forma di nostalgia “immaginata”. Se HBPM era più viscerale, energico e quasi istintivo, Anemoia guarda altrove, con un passo più meditativo, cercando un linguaggio ancora più personale e aperto.
Davide
L’album contiene otto composizioni, di cui cinque sono tue composizioni originali. Qual è stata l’idea musicale alla base di questo nuovo lavoro, quale filo attraversa e lega ogni brano?
Andrea
L’idea musicale alla base di Anemoia è stata quella di creare un percorso sonoro che tenesse insieme memoria e immaginazione. Volevo comporre brani che evocassero luoghi interiori, stati d’animo, immagini sospese nel tempo. Il filo che unisce le composizioni, sia le mie che le reinterpretazioni presenti nel disco, è proprio questa tensione tra ciò che è vissuto e ciò che è solo immaginato, ma che comunque lascia un segno profondo.
Dal punto di vista musicale, ho lavorato su strutture aperte, armonie modali e melodie cantabili, cercando sempre un equilibrio tra scrittura e libertà. Ogni brano ha una sua identità, ma tutti fanno parte di uno stesso paesaggio emotivo: rarefatto, contemplativo, a tratti più energico, ma sempre con uno sguardo rivolto a qualcosa che sfugge o che forse non è mai esistito davvero.
Anche le scelte timbriche e la registrazione dal vivo vanno in questa direzione: restituire al disco un senso di autenticità, di presenza fragile ma vera.
Davide
L’album è stato preceduto da due singoli: “Reveries” e “Longato”. Perché la scelta di anticipare l’album è ricaduta in particolare su questi due brani?
Andrea
La scelta di anticipare il disco con Reveries e Longato non è stata casuale: sono due brani molto diversi tra loro, ma entrambi rappresentano bene le due anime di Anemoia.
Reveries ha un’atmosfera più notturna e sospesa. È un omaggio implicito a certe sonorità newyorkesi anni ’90, e apre subito la porta a quel senso di nostalgia immaginata che dà il titolo al disco.
Longato, invece, affonda le radici in un ricordo personale: le prime esperienze musicali, i riff suonati in una sala prove di campagna, l’energia cruda dei primi passi. È un brano più diretto, con un groove marcato, ma anche qui c’è quella componente melodica e aperta che attraversa tutto l’album.
Insieme, questi due singoli raccontano bene il doppio respiro di Anemoia: intimo e viscerale, sospeso e terreno allo stesso tempo.
Davide
Con te alla chitarra suonano Maurizio De Angelis alla batteria e Pietro Caroleo all’organo Hammond. Non si tratta perciò del precedente Hammond Trio in cui allo Hammond c’era Angelo Cultreri. In che modo avete condiviso questo nuovo lavoro, attraverso quale percorso di intesa e affinità musicale e di sensibilità comune? Che tipo di esperienza è stata, insomma, dal punto di vista sia tecnico che creativo e interpretativo e nondimeno improvvisativo?
Andrea
Esatto, rispetto al precedente disco HBPM, in Anemoia c’è una nuova formazione all’Hammond trio, con Pietro Caroleo all’organo. Con Pietro si è creato fin da subito un dialogo molto naturale, profondo, basato su una grande sensibilità condivisa. Il suo suono è caldo, stratificato, ma anche molto mobile: riesce a essere al tempo stesso sostegno ritmico e voce solista, cosa fondamentale per l’equilibrio del trio.
Con Maurizio De Angelis alla batteria, invece, c’è un’intesa che si è costruita negli anni, anche fuori dal trio, e che si basa su un’attenzione continua al respiro della musica. È un batterista molto reattivo, capace di ascoltare e guidare con discrezione, lasciando spazio ma anche spingendo quando serve.
Abbiamo condiviso questo lavoro in modo molto diretto e spontaneo, registrando tutto dal vivo in studio. È stato un processo molto fluido, basato sull’ascolto reciproco e sull’improvvisazione come centro del discorso musicale. Tecnicamente è stato impegnativo, ma allo stesso tempo liberatorio: ci siamo affidati alla forza del momento, lasciando che la musica si costruisse su quell’intesa.
Per me è stata un’esperienza profonda, che ha reso Anemoia non solo un disco, ma anche un momento di verità condivisa.
Davide
E da un punto di vista sonoro, cosa in particolare ti lega alla ricca e caratteristica tavolozza timbrica dell’organo Hammond? Inoltre, come ottieni la sonorità calda e avvolgente della tua chitarra e con quali chitarre e amplificatori?
Andrea
Dal punto di vista sonoro, l’organo Hammond è per me uno strumento straordinario per la sua capacità di generare ambienti armonici profondi e dinamici. C’è spazio per la melodia, per l’improvvisazione, ma anche per la costruzione di trame ritmiche complesse.
Per quanto riguarda la mia chitarra, in Anemoia (e come in HBPM) ho utilizzato la mia Gibson ES-335 con corde flatwound .015, per ottenere una sonorità calda, scura e corposa, ma comunque presente nel mix.
Come amplificatore utilizzo da anni un Acoustic Image, un ampli molto trasparente che restituisce fedelmente il timbro naturale dello strumento senza colorarlo. Riverbero a parte, non ho utilizzato nessun effetto, l’idea era proprio quella di mantenere una sonorità asciutta, viva, che valorizzasse l’interazione istantanea e il respiro della musica suonata in presa diretta.
Davide
Gli altri tre brani sono reinterpretazioni di Sonny Rollins (Oleo), Wes Montgomery (Full house) e Carl Perkins (Groove Yard). Perché questi tre brani sono stati importanti nel tessuto di questo lavoro e come dialogano con le tue composizioni?
Andrea
La scelta di includere Oleo, Full House e Groove Yard è stata naturale e affettiva. Sono tre brani che fanno parte del mio percorso, studiati e suonati per anni, ma che sentivo il bisogno di reinterpretare in una chiave personale, in linea con l’estetica di Anemoia.
Nel caso di Oleo, mi interessava lavorare su un brano così codificato e portarlo verso una dimensione più elastica, con un respiro modale e un interplay più arioso. Full House è un tributo inevitabile per chi, come me, deve moltissimo a Wes Montgomery: la nostra versione si muove su un terreno più rarefatto, cercando di valorizzare il dialogo tra Hammond e chitarra, senza mai forzare.
Groove Yard, infine, ha un’attitudine che ho sempre amato: rilassata ma incisiva, profonda senza essere pesante. L’ho voluta nel disco proprio perché rappresenta quella leggerezza matura che, a modo nostro, cerchiamo di trasmettere anche nelle composizioni originali.
Tutti e tre questi standard entrano così in dialogo con i miei brani, contribuendo a costruire un racconto coerente, fatto di rispetto per la tradizione ma anche di esplorazione personale.
Davide
Contro ogni anemoia vale quel che disse Pat Martino, che il jazz è la pulsazione del presente?
Andrea
Assolutamente, quella frase di Pat Martino è per me una sorta di mantra che contrasta perfettamente con il concetto di anemoia. Mentre anemoia parla di nostalgia per qualcosa che non si è mai vissuto, il jazz, come dice Martino, è radicato nel presente, nella pulsazione del momento, nell’improvvisazione che nasce dall’intuito.
Pat Martino è stato il punto centrale del mio suono e del mio percorso di ricerca sonora: il suo approccio armonico profondo e spirituale mi ha guidato e ispirato sin dall’inizio, aiutandomi a trovare una voce personale che si muove tra tradizione e innovazione.
Questa tensione tra passato immaginato e presente vissuto è proprio ciò che cerco di esplorare nel mio lavoro: usare la memoria e le influenze come punto di partenza, ma sempre con lo sguardo e l’energia rivolti al qui e ora, al respiro e al dialogo con i musicisti in scena.
In fondo, il jazz è un linguaggio vivo che si nutre di quello che siamo nel presente, anche quando racconta storie di tempi lontani o inesistenti.
Davide
In copertina hai scritto “Life is a process of constantly letting go”… John Coltrane disse che i poteri della musica sono ancora ignoti ed essere in grado di controllarli dovrebbe essere lo scopo di ogni musicista. Cos’è per te il potere della musica e in che modo cerchi di farne esperienza, di controllarne e dirigerne il flusso? Oppure di lasciarti andare ad esso, di lasciare che sia…?
Andrea
La frase “Life is a process of constantly letting go” racchiude per me una verità fondamentale, sia nella vita che nella musica. Il potere della musica, come dice Coltrane, è ancora un mistero profondo e affascinante: è un’energia che va oltre la tecnica, una forza che può trasformare chi suona e chi ascolta.
Per me, il vero potere della musica sta proprio nella capacità di lasciarsi andare, di entrare in uno stato di ascolto profondo, di fiducia, dove il controllo diventa meno un comando e più una collaborazione con qualcosa di più grande. È in questo fluire, in questa tensione tra direzione e abbandono, che si apre lo spazio per la magia dell’improvvisazione, per la creazione autentica.
Cerco di vivere la musica come un dialogo continuo tra intenzione e apertura, guidando il flusso quando serve ma senza resistergli, permettendo che accada e che mi trasformi. È un processo in cui “lasciare andare” non significa perdere il controllo, ma piuttosto raggiungere una forma più alta di controllo, quella che nasce dall’essere pienamente presenti nel momento.
Davide
Cosa seguirà?
Andrea
A partire da Anemoia, sento di aver aperto un nuovo capitolo nella mia ricerca musicale. Sto già lavorando a un prossimo disco, che spingerà ancora più in là l’indagine timbrica e armonica, mantenendo però il jazz modale come base solida e familiare. Cambieranno alcune coordinate, probabilmente anche la formazione, ma resterà intatto il desiderio di raccontare qualcosa di sincero e necessario attraverso la musica.
Parallelamente stiamo organizzando una serie di concerti per portare Anemoia dal vivo, che per me è sempre il momento più vero, in cui la musica si completa nell’incontro con il pubblico. E poi ci sono tante idee in evoluzione… nuove collaborazioni, nuove scritture. È un processo aperto, come la musica stessa.
Davide
Grazie e à suivre…