Il lavoro realizzato da Eugenia Canale consiste in un riarrangiamento per quartetto jazz dell’opera Turandot di Giacomo Puccini, un progetto che fonde la grande tradizione operistica con l’improvvisazione e la sonorità tipicamente jazz. Un Unicum nel panorama. Realizzato con il supporto di musicisti di grande caratura artistica e di massimo rilievo nel panorama nazionale. Alcune celebri arie e i temi della Turandot vengono reinterpretati in maniera davvero originale. Melodie ed armonie vengono mantenute mentre la maggior parte dell’apporto risiede nella rielaborazione ritmica e timbrica, attraverso una varietà di stili musicali, tra cui lo swing, lo stile New Orleans, il jazz contemporaneo, l’improvvisazione libera, il prog e il bebop. Possiamo avere conferma di quanto la scrittura di Puccini, pur radicata nella tradizione europea, anticipasse molteplici aspetti della musica del XX secolo, tra cui le tecniche e le atmosfere che avrebbero poi caratterizzato la colonna sonora cinematografica. Un’operazione certamente straordinaria e di grande rilievo artistico ed esegetico!
https://www.abeatrecords.com/music/shop/turandot/
Rivelare l’essenza di un tempo passato ma eternamente presente. In un’epoca in cui si andavano esplorando territori musicali ignoti, Puccini affrontava la tradizione stravolgendola e trasformandola in qualcosa di nuovo: Turandot, opera visionaria che insegna l’arte di decodificare l’invisibile.
Il mio omaggio a questo folgorante capolavoro vuole continuare nel solco di tale gioco di trasfigurazione, provando a mostrare l’opera sotto una nuova luce che ne riveli l’estrema modernità.
Un’allucinazione, un sogno, un rebus: nel labirinto di enigmi e indovinelli, il suo eterno mistero può risuonare in un tempo che non gli è mai stato estraneo.
Eugenia Canale
Eugenia Canale – piano, electric pian and arrangements
Achille Succi – alto sax, bass clarinet
Tito Mangialajo Rantzer – doublebass
Roberto Paglieri – drums
Precedente intervista:
https://kultunderground.org/art/42125/
https://kultunderground.org/art/41524/
Intervista
Davide
Buongiorno Eugenia e ben ritrovata su queste pagine. Un anno fa parlammo di “Flow”, realizzato con Sonia Spinello. Due anni fa invece di “Risvegli”. Per cominciare, come si è formato il Rebus Quartet, quindi questo specifico sodalizio per “Turandot”?
Eugenia
Buongiorno Davide e grazie per questa nuova intervista! Il Rebus Quartet è nato appositamente per questa produzione pucciniana, lavoro che mi fu espressamente richiesto l’anno scorso per il centenario della morte del compositore. Ho cercato musicisti di grande creatività e inventiva abituati a navigare tra stili di jazz molto diversi, dalle origini all’improvvisazione libera, perchè è proprio questa mescolanza che caratterizza in gran parte la rielaborazione dell’opera. Nell’estetica del progetto è inoltre richiesta una tensione espressiva spesso molto tirata e graffiante, qualità presente in ognuno di loro. Con Achille Succi avevo già avuto modo di collaborare per “Flow” insieme a Sonia Spinello, Roberto Paglieri è spesso presente nelle mie ritmiche in trio e da diversi anni collabora con Tito Mangialajo Rantzer su cui è ricaduta in modo molto naturale la scelta come contrabbassista.
Davide
Puccini morì nel 1924 e l’anno scorso non sono mancate le molte iniziative per celebrarne il centenario dalla scomparsa. Al di là dell’occasione, com’è nata questa idea di rileggere un’opera di Puccini in chiave jazz e perché proprio la “Turandot”, sua ultima e incompiuta opera completata poi da Franco Alfano che taluni hanno detta “l’opera senza fine e la fine dell’opera”?
Eugenia
La scelta è ricaduta su “Turandot” proprio perchè è l’opera che si distacca completamente dalle precedenti scritte da Puccini, non solo per soggetto ma anche e soprattutto per estetica e linguaggi espressivi. Volevo in tutti i modi evitare di cadere in un’operazione scontata che si limitasse a riproporre alcune celebri arie di Puccini rivestendola di un sound “jazzy”, temendo non poco il rischio di banalizzare e rovinare pagine meravigliose di musica.
“Turandot” però è stata l’intuizione vincente perchè mi ha portato in tutt’altra direzione, quella di una rielaborazione che esasperasse i tratti già estremamente visionari e moderni della partitura originale; in questo modo non è l’opera lirica a portare dolcezza e cantabilità nel territorio del jazz, ma al contrario è il jazz che carica ancora più di tensione e potenza ciò che già nasce come travolgente e folgorante.
Davide
Se ho capito bene, armonie e melodie delle arie prescelte sono rimaste le stesse e la rielaborazione è stata solo ritmica e timbrica? Come in tutto questo avete inoltre improvvisato, in un contesto cioè dove la musica è invece considerata esatta e come tale nata e perpetuata?
Eugenia
Esatto, ho mantenuto melodie e armonie pressochè invariate e nelle tonalità originali. Le parti dedicate all’improvvisazione si sviluppano talvolta proprio su giri armonici attinti dalle successioni accordali di Puccini riadattate metricamente e tradotte in sigle jazzistiche, sezioni di “open” inserite all’interno dello sviluppo tematico come fossero quasi un’espansione dello stesso. Altre volte si tratta di improvvisazioni molto più libere e basate esclusivamente sull’interplay, come avviene in “Rebus” dove tutto il quartetto dialoga utilizzando la cellula melodica di “Straniero, ascolta!”, ossia il momento in cui Turandot formula gli enigmi al principe Calaf; qui è la stessa suggestione degli enigmi e delle rispettive soluzioni a guidarci nell’improvvisazione, finchè lo scioglimento del terzo indovinello ci porta gradualmente a una gioiosa improvvisazione collettiva su accordi che riarmonizzano quella stessa cellula tematica iniziale.
Davide
Come è avvenuta la scelta delle arie, per tracciare quale percorso alternativo della Turandot secondo la musica jazz o, più in generale, della musica un secolo dopo?
Eugenia
L’individuazione delle parti da rielaborare è avvenuta dopo tanto ascolto dell’opera originale, lasciando che fosse la musica stessa di Puccini a suggerirmi come potesse essere riproposta. Ad esempio, “Gira la cote!” mi ha immediatamente invitato ad essere rivisitato come un fast bebop elettrico, “Olà Pang!, Olà, Pong!” come un medium swing che poi diventa un fast seguito da una sezione di improvvisazione completamente libera che infine conclude con un tre quarti che può ricordare il Modern Jazz Quartet.
I passi che ho riarrangiato sono stati scelti soprattutto in questo modo istintivo e intuitivo, accorgendomi con piacere in un secondo momento che erano molto ben distribuiti nella trama dell’opera, il che mi offre l’occasione di raccontarla in concerto ripercorrendoli e presentandoli.
Ho voluto lasciare come brano di chiusura del disco la struggente aria di Liù “Tu che di gel sei cinta”, una delle ultime pagine scritte da Puccini prima che morisse, lì dove anche Toscanini interruppe la rappresentazione alla Scala il 25 Aprile del 1926.
Davide
Puccini è stato già varie volte rivisitato in versione da artisti vari. L’anno scorso a Bologna c’è stato anche un concerto al Bologna Jazz Festival intitolato assertivamente “Puccini è jazz”. Io non so se Puccini avesse ascoltato mai qualcosa del nascente jazz. Buddy Bolden, figura chiave nello sviluppo del ragtime e del “jass” era già attivo dal 1904, ma i primi dischi jazz vennero incisi a cominciare dal 1917. La “Rapsodia in blu” di Gershwin fu pubblicata a giugno del ’24 e la “Sonata per violino n.2” di Ravel, ispirata alla musica americana, particolarmente jazz e blues, non era ancora stata composta quando Puccini morì. Il jazz in Italia arriverà solo negli anni ’30 e in modo per lo più nascosto, poiché inviso al regime fascista. Cosa c’era dunque di jazz o di ancora contemporaneo nella sua musica dal tuo punto di vista, quanto meno “in nuce”?
Eugenia
Credo che in Turandot in particolare (ma non soltanto) si possa sentire quanto Puccini conoscesse le caratteristiche di questa musica proveniente da oltreoceano, non solo perchè aveva modo di ascoltarla direttamente da gruppi italiani che già la suonavano, ma anche grazie al filtro di altri autori di estrazione accademica che vi attingevano a piene mani per inserirle nelle loro opere. Penso per esempio alla produzione operettistica ma soprattutto ad autori come Igor Stravinsky che nel 1919 aveva per esempio composto il suo “Piano rag music” e che sarà sempre profondamente interessato alla nuova musica afroamericana. Abbiamo una preziosa testimonianza di Escobar, musicista della Imperial Jazz Band: ci racconta che Puccini andava spesso a sentirli suonare a Viareggio, si sedeva di fianco a lui e gli chiedeva di trascrivere alcuni passaggi improvvisativi di vari strumenti. Gli aveva persino comunicato l’intenzione di scrivere un’opera lirica contenente alcune idee musicali che aveva sentito suonare da loro! In Turandot si sentono molti richiami ritmici o timbrici che guardano a quel mondo, mentre dal punto di vista armonico Puccini adotta talvolta alcune soluzioni accordali con un uso delle estensioni che ritroveremo nel jazz moderno (si pensi in particolare a Bill Evans), ma questo riguarda più una ricerca in ambito tonale che spesso ha portato i due mondi ad incontrarsi, anche se spesso in modo asincrono.
Davide
Turandot è nota per essere un’opera caratterizzata da forti contrasti e da molti misteri che fanno riflettere lo spettatore, lo portano a interrogarsi, in particolare su tre rebus. Ecco, c’è qualcosa di enigmatico dentro la tua/vostra visione della Turandot? O, anche, c’è stato qualche “enigma” musicale, in sostanza un qualcosa su cui tu ti sia interrogata e a cui sia seguita una risposta, una soluzione?
Eugenia
Tutta l’opera è misteriosa ed enigmatica nel suo essere così allucinata e surreale. Mi sono interrogata tanto proprio sul significato profondo nascosto nella trama, nei testi e nella musica, trovando spesso plausibili risposte grazie a una lettura psicologica e sociale: la fiaba di Turandot, pur apparentemente fantasiosa e di invenzione, può parlare direttamente all’animo umano più profondo, ma credo che ognuno debba trovare in modo molto personale gli strumenti per interpretarla e decodificarla, proprio in questo sta la sua grandezza e universalità.
La musica spesso può risultare lo strumento per decifrare questi enigmi: motivi tematici che diventano indizi mettendo tra loro in comunicazione personaggi e situazioni.
Ho voluto chiamare “Rebus” questo quartetto proprio per omaggiare questo riferimento all’enigmistica che, tra l’altro, è sempre stata una mia passione. Non a caso, ho inserito anch’io qualche enigma all’interno dei testi del disco, uno in particolare tra i titoli…
Davide
A proposito di canto e parola, che sono fondamentali nella creazione della musica di un’opera lirica, nel riarrangiare strumentalmente le arie prescelte, hai considerato anche i relativi testi dal libretto di Adami e Simoni e, oltre al racconto, tutto il loro carico espressivo ed emotivo? In che modo i suoni ne hanno preso il posto nella tua/vostra rilettura?
Eugenia
Questo è stato uno degli aspetti più divertenti e coinvolgenti del lavoro. La scelta nell’affidare i temi e le voci ai vari strumenti del quartetto ha cercato di esaltare il più possibile la carica espressiva ed emotiva dei passi originali, traducendoli in un’estetica jazz e contemporanea. Così la voce del mandarino che nel primo atto annuncia la legge del popolo di Pechino viene affidata al clarinetto basso di Succi, la furia assassina del popolo stesso che incita il boia in “Gira la cote!” si esprime attraverso il rauco suono di un Rhodes graffiante, il coro che invoca la luna affinchè illumini l’esecuzione del principe di Persia diventa un piano elettrico teso e tremolante, le voci bianche cantano “Là sui monti dell’Est” con la purezza del suono di pianoforte acustico.
Un dialogo molto divertente è quello del terzetto “Olà Pang! Olà Pong!”, dove i tre ministri diventano un clarinetto basso, un sax alto e un pianoforte che borbottano tra loro.
Davide
Puccini visse in un’epoca in cui fu possibile iniziare a esplorare nuovi territori musicali fino allora ignoti. Oggi, dopo tutte le esplorazioni del ‘900, è difficile pensare a nuovi territori musicali ancora ignoti o tu cosa ti immagini per l’avvenire?
Eugenia
La difficoltà nel trovare strade nuove forse sta proprio nella forza con cui crediamo che possano esistere. Probabilmente anche secoli fa si poteva pensare di aver già esplorato tutto ciò che si poteva, ma per fortuna c’è sempre stato qualcuno convinto che oltre le colonne d’Ercole ci fosse dell’altro. Certo, come dici tu il gioco si fa sempre più difficile, ma credo che non ci sia fine alla ricerca e alla scoperta anche in ambito artistico. Talvolta è proprio rimaneggiando il materiale già esistente, smontandolo, combinandolo con altro, che si possono tracciare nuovi percorsi.
Davide
Cosa invece continua ed evolve “Turandot” del tuo tracciato artistico e creativo? Che tipo di viaggio musicale hai fatto finora e verso quale traiettoria o destinazione ideale ti stai muovendo?
Eugenia
“Turandot” è stata una felice e inaspettata deviazione in un percorso che mi ha sempre portato a mescolare tra loro diversi linguaggi musicali. Negli ultimi anni mi sono particolarmente dedicata alla scrittura di composizioni originali ma questo lavoro di arrangiamento di un’opera lirica mi ha dato l’occasione di scoprire quanto può appassionarmi un approccio di questo tipo. Ne farò sicuramente tesoro nel proseguire su una strada che vuole puntare non tanto a una destinazione finale, ma un’evolversi continuo senza costrizioni.
Davide
Cosa seguirà?
Eugenia
Ho recentemente scritto nuova musica su cui presto inizierò a lavorare, in particolare vorrei arricchire la tavolozza timbrica dei miei arrangiamenti quindi non è escluso che guarderò ad organici più allargati e variopinti.
Davide
Grazie e à suivre…