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Intervista con Mauro Palmas

12 min read


Tra le mie corde” è il titolo del libro che narra la vita artistica di Mauro Palmas, icona della musica popolare, fine compositore e autore di colonne sonore per film e spettacoli teatrali. Il volume è un racconto in forma di brevi quadri indipendenti di vicende inaspettate quanto reali, vissute a partire dagli anni ’70 dallo stesso Palmas. La narrazione è curata da Maria Gabriela Ledda, autrice e poetessa, che ha dato forma e sostanza ai racconti dell’amico, esaltandone l’intensità.

“Tra le mie corde” è anche il titolo di un disco, abbinato al libro, con undici brani originali composti dallo stesso Palmas, sempre per l’etichetta Isolapalma, e riletti in una veste intima e cameristica, con Alessandro Foresti al pianoforte e Marco Argiolas al clarinetto.

Nato a Cagliari, Palmas ha iniziato a suonare fin da giovanissimo, spinto della passione per gli Shadows e i Beatles. Ha poi intrapreso un percorso di ricerca e di recupero storico e critico della musica popolare, di pari passo con l’impegno politico, che non ha mai abbandonato del tutto. Fondamentale è stato l’incontro con la cantante Elena Ledda, con la quale ha poi condiviso scelte e progetti. Palmas è autore di musiche per il cinema, il teatro e la danza e ha contribuito a innovare la musica folk, anche per l’uso delle launeddas. È tra i più raffinati interpreti della mandola, ed ha alternato l’attività concertistica a numerose collaborazioni, tra le quali Enrico Rava, Paolo Fresu, Lester Bowie, Noa ed altri.

Il disco è il risultato del lungo e mai banale percorso artistico di Mauro Palmas. “Ho sempre pensato che non ci sia niente di più triste che fare musica inseguendo le mode del momento e in funzione del mercato. Dunque, ben lontano dal procurarmi ferite da auto-tradimento, ho fatto ancora una volta quello che mi piace” afferma l’artista sardo.

Sia il disco, che il libro, hanno uno stile narrativo diretto, evocativo ed essenziale, mai vuoto o superfluo. Maria Gabriela Ledda si conferma un’abilissima narratrice nel raccontare le vicissitudini di Palmas, dalle Feste dell’Unità, alle lunghe tournée in tutto il mondo, l’approdo alla Rai, fino alla fama. E con delicatezza sottolinea il continuo doversi confrontare del musicista sardo con la terraferma, senza mai recidere il cordone ombelicale che lo lega alla sua terra. I racconti di una vita avventurosa e “picaresca”, ricca di epos, disegnano uno spaccato culturale degli ultimi 50 anni che hanno visto Mauro Palmas attore protagonista della musica popolare italiana.

“Tra le mie corde” è un intreccio di note e parole, un viaggio tra le pieghe del tempo e dell’anima. In molti, tra i musicisti, ritroveranno le stesse scelte e le stesse difficoltà, trovandosi davanti a un bivio e dovendo scegliere una strada che non rinneghi il passato e le proprie convinzioni, pagandone il prezzo e mettendosi sempre in gioco.

(Comunicato stampa)

Tracklist
01 Èspero
02 Danza minore
03 Etnika
04 Pietre
05 Aggius
06 Gozos di San Nicola
07 Ritorno di Cainà
08 Tra le mie corde
09 Cielo di levante
10 Tornato
11 Nel Silenzio
12 Genie with the light Brown Lamp

Isola Palma 2025

https://www.mauropalmas.it/

Mauro Palmas è un compositore, mandolinista e polistrumentista italiano.

Nato a Cagliari, giovanissimo è leader della formazione cagliaritana Nuova Generazione, e si occupa di ricerca e recupero storico-critico della musica popolare. Nel 1977 fonda il gruppo Suonofficina che rivolge la sua attenzione alla musica sarda e mediterranea. Palmas si dedica allo studio della struttura musicale dei balli tradizionali, principalmente del ballo sardo, ed in particolare delle antiche nodas delle launeddas che applica sulla mandola (suo strumento di elezione). Nel 1979 Suonofficina pubblica Pingiada, il disco d’esordio con la Fonit Cetra, disco che sugella la stretta collaborazione artistica con Elena Ledda. Nel 1979 e inizia una intensa attività concertistica e avvia una serie di collaborazioni con Maria Carta in vari concerti e nel disco Umbras (1980), con Mauro Pagani e l’Ensemble Alia Musica nel disco Musica Iberica del XIII secolo (1981) e con Piero Marras nel disco Stazzi Uniti (1982).

Intervista

Davide

Buongiorno Mauro. Come è nata l’idea di raccontare in un libro, e insieme a Maria Gabriela Ledda, gli inizi della tua carriera di musicista e con Suonofficina da unire all’ascolto delle tue ultime composizioni?

Mauro

C’è un momento — e forse anche un’età — in cui senti il bisogno di mettere un po’ d’ordine nei ricordi, come quando svuoti una valigia dopo un lungo viaggio: scopri cose dimenticate, ridi, sospiri… e ti chiedi come hai fatto a farci stare tutto.

È stato proprio in quel momento che, con Gabriela al mio fianco, è nata l’idea di raccontare questo percorso. Gabriela, con il suo sguardo attento e la sua capacità di scovare la bellezza nei dettagli, ha dato forma e ritmo a queste storie. Insieme abbiamo scelto episodi che avessero un’anima brillante, a volte buffa, a volte struggente, ma sempre vera.

Storie personali, certo, legate al mio cammino e ai luoghi che mi hanno cresciuto, ma anche universali: perché chi ha iniziato a fare musica partendo dal basso, tra sogni, palchi improvvisati e tante cadute eleganti, potrà forse riconoscersi e sorridere.

Davide

Nel libro è presente anche una descrizione della tua discografia, da quella con Suonofficina a quella solista. Come la continua e distilla “Tra le mie corde”, attraverso quali essenze del passato e del presente, e verso quale nuovo punto attuale?

Mauro

La discografia raccontata da Salvatore Esposito è come una bussola in mezzo a un labirinto sonoro: mette un po’ d’ordine nel caos creativo, una guida per chi ama perdersi, ma con stile.

Il disco allegato al libro è una sorta di fotografia d’autore: raccoglie brani noti e inediti in una veste intima, quasi cameristica. Un punto fermo dentro un percorso che di fermo ha avuto ben poco.

Nel mio lungo cammino musicale ho sempre cercato grandi ensemble — un po’ per passione, un po’ (lo ammetto) per dividere le responsabilità sul palco. Più siamo, più il suono riempie lo spazio… e più puoi nasconderti dietro una sezione d’archi!

Poi arriva la maturità, e con lei il desiderio di togliere, di tornare all’essenza. Così nasce “Tra le mie corde”: un disco che parla piano, ma dritto al cuore.

E se posso dirla tutta, oggi mettere insieme un’orchestra è quasi fantascienza… sopravvivere con un trio è già un’impresa eroica!

Davide

Nel disco hai suonato con Alessandro Foresti al pianoforte e Marco Argiolas al clarinetto, al sax e al clarinetto basso. Come si è composto questo trio intorno al progetto e che tipo di condivisione si è creata?

Mauro

A un certo punto capisci che non ti servono solo bravi musicisti, ma persone con cui puoi anche ridere, respirare insieme e capirti senza parlare. In questo progetto il metronomo è andato in pensione: qui si suona seguendo il cuore, non il clic. Con Alessandro Foresti e Marco Argiolas non ho trovato solo professionalità, ma anche quella chimica umana che fa davvero la differenza.
E quando c’è quella… la musica va da sé.

Davide

“Èspero”, come il dio personificazione della luce della sera, apre il disco e subito mi sono venute in mente alcune parole di Andrea Melis a proposito della Sardegna, un’isola che confina a nord con il cielo, a sud con il mare, a est con l’alba e a ovest col tramonto. Cosa hai racchiuso in queste nuove composizioni della tua Sardegna così a lungo esplorata musicalmente, verso quale tuo attuale e definitivo rapporto con essa?

Mauro

Non sono uno scrittore come Andrea Melis — lui gioca con nobiltà con le parole, io invece mi arrangio con le note! Comporre musica è il mio piccolo modo di raccontare, cercando sempre di farlo con onestà intellettuale: niente mode del momento, solo l’idea che se una mia composizione riesce a emozionarmi, da qualche parte nel mondo ci sarà almeno un’altra persona pronta a condividere quel sentimento.

Anche per me, la musica nasce da immagini. Basta ascoltare un mio vecchio disco, Il colore del Maestrale: un omaggio a mio padre e ai nostri momenti in barca, quando da bambino mi insegnava a riconoscere l’arrivo del maestrale. Non guardava la direzione del vento, no… lui lo capiva dal colore del cielo e del mare. Ecco, quella poesia lì cerco di metterla nella mia musica.

E per tornare alla tua domanda: sì, la Sardegna è il centro di tutto ciò che compongo. È il mio punto di partenza e il mio orizzonte. Quando mi cimento con le danze — cosa che capita spesso — posso cambiare strumenti, timbri, colori… ma mai, mai tocco la metrica del ballo. Quella deve rimanere riconoscibile per chi vive e custodisce quella tradizione. È il mio modo di rispettarla. E, in fondo, di dirle grazie.

Davide

Perché la scelta di una registrazione in diretta in un teatro? Che tipo di energia o atmosfera del momento irripetibile volevate toccare e catturare così “tra le vostre corde” e perché?

Mauro

Come dicevo precedentemente con i miei compagni di viaggio ho costruito questo percorso e la presa diretta ci è sembrata l’unico modo possibile per cogliere davvero il respiro e l’essenza di questa musica. Senza artifici da studio, senza sovraincisioni, e soprattutto senza clic. Solo suonare, insieme, nel momento. Un modo semplice, sincero, e per noi il più autentico per fare musica.
A noi è piaciuto farlo così.

Davide

Nel libro sono raccontate diverse avventure degli esordi, alcune davvero divertenti, grazie anche all’ironia e all’autoironia che leggera e sottile le attraversa. C’è invece un racconto breve o un aneddoto che riguardi questo tuo e vostro ultimo lavoro?

Mauro

Direi che non c’è nulla di particolarmente nuovo da aggiungere, se non il naturale proseguimento di quanto già raccontato nelle varie storie del libro. Quello che emerge chiaramente è che ogni volta che sali su un palco, sia per un concerto che per una sessione di registrazione, rappresenta una conquista enorme, frutto di impegno e dedizione. Nulla ti viene regalato. Spesso chi osserva questo lavoro dall’esterno non riesce a coglierne la reale complessità: dietro ogni singolo elemento – che si tratti di un oggetto, una composizione musicale, un gioco di luci o una ripresa audio – c’è un lavoro immenso. Un lavoro che può essere sostenuto solo grazie a una passione autentica e profonda, quella che ti spinge ad affrontare ogni fatica con entusiasmo e determinazione.

Davide

Spostandoci metaforicamente su un’altra isola, quella di Creta e del suo più noto mito, qual è il filo di Arianna che si sgomitola e lega tutti i 12 brani, attraverso quale percorso ideale o labirinto e verso quale minotauro al suo centro?

Mauro

Io non sgomitolo il filo di Arianna… ma intreccio corde! Non cerco uscite dal labirinto, ma piuttosto intreccio suoni con gli strumenti “tra le mie corde”: la mandola, il liuto cantabile, il mandoloncello. Sono loro il cuore sonoro del mio disco, il filo rosso che unisce tutte le composizioni. Ogni brano è nato proprio da questi strumenti a corde, che suono con una tecnica un po’ speciale, tutta mia. L’ho ricostruita nel tempo, un po’ per intuizione, un po’ sbirciando – quasi in punta di piedi – dove alcuni “giovani vecchietti” si ritrovavano per suonare in quartetto a plettro. Ricordi, suggestioni, pizzichi di memoria. E poi c’era mio zio Mario: con il suo mandolino aveva sviluppato uno stile tutto suo per accompagnare il ballo campidanese. Da lui ho imparato molto, e ho continuato a sperimentare, aggiungendo il mio tocco personale. Il risultato? Un suono che parla di tradizione, ma anche di scoperta. Un viaggio musicale, fatto di corde

Davide

Il lavoro si chiude con una rilettura acustica di un brano elettrico degli Shadows, noto quartetto rock inglese degli anni ’60 di cui agli inizi proponevate delle cover. Perché hai voluto chiudere questo nuovo lavoro di composizioni originali con questo tuffo nel passato? Chiude un qualche cerchio?

Mauro

“Si chiude un cerchio.” Da ragazzino spiavo con gli occhi sgranati – e la lingua di fuori! – le chitarre Fender Stratocaster e Rickenbacker nella vetrina del negozio di strumenti musicali. Nel frattempo, facevo girare sul mio giradischi Epiphone il disco degli Shadows fino quasi a consumarlo, sognando a occhi aperti di calcare, un giorno, i palchi del mondo. Quel sogno, in un modo tutto suo, si è realizzato. Magari non esattamente come lo immaginavo allora, ma è diventato realtà.
E proprio in omaggio a quel sogno, oggi ho voluto dare nuova vita a quel brano che tanto amavo, risuonandolo con le mie corde, in una versione interamente acustica. Un gesto semplice, ma per me profondamente simbolico: come chiudere un cerchio iniziato tanto tempo fa.

Davide

Negli anni ’70 la musica assunse una forte funzione sociale, divenendo uno strumento di espressione controculturale e di protesta, soprattutto per quei giovani che si ribellavano contro le ingiustizie sociali e il sistema dominante. Un periodo da te attraversato per altro da protagonista e tra alcuni dei principali protagonisti dell’epoca. Qual è oggi per te il ruolo sociale della musica, quello che – fatte le debite differenze e i debiti aggiornamenti rispetto a quel decennio – oggi deve o dovrebbe avere per te e che anima anche la tua musica?

Mauro

Mi considero ancora oggi un militante, nel senso più autentico del termine. Dirigo il festival Mare e Miniere, un progetto che mantiene uno spirito militante: non è legato alle logiche del mercato, ma ha come obiettivo quello di avvicinare le persone alla musica, in particolare alla musica popolare, attraverso i seminari-residenza che organizziamo ogni anno.

Il nostro intento è coinvolgere non solo i musicisti, ma anche il pubblico, con un approccio che, negli anni settanta, avremmo definito educazione dell’adulto all’ascolto. Vogliamo continuare a resistere e a testimoniare che la musica non è solo quella dei talent show, del Festival di Sanremo o dei grandi premi, ma è anche un linguaggio capace di raccontare un mondo diverso. Un mondo fatto di musicisti che, con onestà intellettuale, cercano spazi sempre più rari per esprimersi.

Al di là del ruolo sociale della musica – che di per sé è immenso, soprattutto per la crescita culturale e interiore delle persone – oggi avvertiamo l’urgenza di costruire una politica culturale più consapevole e attenta. Ed è proprio questo, a mio avviso, ciò che sta mancando sempre di più.

Davide

Cosa seguirà?

Mauro

Proprio quando stavo per appendere le mie corde al chiodo e dedicarmi alla carriera di ex musicista nostalgico, ecco che spunta lui: Giacomo Vardeu, un organettista di appena 18 anni, pieno di talento e col sorriso stampato in faccia come se la vita fosse una festa continua! Con il suo entusiasmo travolgente mi ha fatto riscoprire la voglia di suonare, e quasi per gioco — ma con tanto cuore — è nato il nostro disco: Sighida. Ora sento un po’ il dovere di fargli da “guida nella giungla musicale”, cercando di evitargli qualche trappola in cui io, ahimè, sono finito a occhi chiusi. Speriamo di farne buon uso… entrambi!

Davide

Grazie e à suivre…

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