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Intervista con Arthuan Rebis

18 min read

Comunicato stampa

Canzoni mistiche e un romanzo fantastico per mondi sull’orlo dell’apocalisse

Ballate Mitomagiche” è il nuovo album musicale di Arthuan Rebis. 16 canzoni, in parte scritte in uno stato di temporanea sordità, presenti anche all’interno del nuovo romanzo “HelughèaIl Guardiano Alato” (Eterea Edizioni), sequel di “Helughèa. Il Racconto di una Stella Foglia”, ma che si presenta come un’opera stand alone.

Album e romanzo, in uscita a maggio 2025, con una serie di videoclip.

Nel precedente doppio lavoro la funzione musicale primaria era quella di narrare profezie, amplificare le emozioni e i presagi contenuti nella rispettiva opera letteraria, aprendo portali invisibili tra un mondo umano corroso dalle guerre mondiali e il regno fatato in piena crisi geopolitica.

Nella nuova duplice opera, Ballate Mitomagiche e Il Guardiano Alato sono tanto indipendenti, quanto complici. Nessuno dei due è essenziale per l’altro, ma congiunti permettono una profonda immersione. Il disco è inoltre un elemento metaletterario presente in varie dimensioni della vicenda letteraria.

Il romanzo è stato associato a Ende, Carroll, Dick, Orwell, Tolkien, Evangelisti e alla serie TV The Dark. Mentre per le canzoni sono stati citati Battiato, Branduardi, McKennitt, Dead Can Dance, The Cure, Corvus Corax ed altri. L’ampio spettro di corrispondenze mostra quanto matura e personale sia la firma di Arthuan, che presto sarà in tour in giro per l’Italia e al Gotik Treffen di Lipsia, in Germania.

Un romanzo dark fantasy, apocalittico e spirituale, tra distopia e utopia

Fedya, la ragazza protagonista, e la sua famiglia devono intraprendere un viaggio attraverso dimensioni mai immaginate per svelare antichi misteri: chi ha propiziato la nascita del genere umano? Qual è il segreto che unisce i mondi di Helu e Ghèa? Forze cosmiche e piani temporali si intrecciano in un’avventura che ha come fine la guarigione di mondi infranti. Grazie alla sapiente alchimia di elementi magici, fantastici e fantascientifici, combinati con la crudezza di un’atmosfera da fine del mondo, Il Guardiano Alato arricchisce il genere fantasy con tematiche eco-spirituali, esoteriche e metaletterarie.

Rebis si applica perciò con una sensibilità originale in un genere letterario spesso cristallizzato in stereotipi e tematiche difficili da scalfire.

Il romanzo, impreziosito da brani musicali accessibili gratuitamente tramite un QR code presente nel libro e dalle illustrazioni di Nicola Caleo, offre un approccio sensoriale a tutto tondo che amplifica l’esperienza della lettura. Il Guardiano Alato è ideale per quei lettori di fantasy e science fiction che apprezzano narrazioni ricche di simbolismi e sperimentazioni stilistiche, nonché per chi è attratto da temi ambientali e spirituali in un contesto letterario innovativo e avvincente.

Un disco fantasy folk, tra cantautorato mistico e ballate bardiche ed eteree

Con una rapida panoramica dei brani incontriamo per prima Melancholia, sublimazione del sentimento corvino e saturnino che anima i poeti più lunari, ben descritto dagli alchimisti e da Durer. Poi abbiamo Metamorfica, serenata alchemica per “Fare Anima”. E tra coraggio e meraviglia incontriamo Ethereon, Era Oscura e Stella Fatua, per approdare al Cantico della Dea, ricco di immagini opposte che si risolvono nel Mantra della Saggezza. In Chanson des Bardes arpa e voce tessono trame ed enigmi, con melodie e armonie trascritte da Arthuan durante un sogno. Il Mago e le Torri è una ballata alchemica che impersona l’essenza di un alchimista illuminato, ed è simile a Il Matto e il suo Scettro, nitida come una carta dei Tarocchi. La dionisiaca Mainades introduce alla preghiera nettuniana e mercuriale di Angelo del Mare.
Salpiamo infine tra i canti heludin e un incantesimo di liberazione dei nemici, prima di uscire dall’universo di Arthuan, con una dedica a David Lynch.
Il tutto è attraversato da canti d’ogni sorta, arpa celtica, clavicembalo, nyckelharpe, esraj, chitarre, basso, cornamuse, flauti, bouzouki, synth, tamburi a cornice, percussioni, bouzouki, santur, violini, violoncelli, su incantevoli paesaggi sonori.

Crediti

Tutte le musiche e i testi sono di Alessandro Cucurnia (Arthuan Rebis)
tranne: “Angelo del Mare” (musica di Cucurnia, testi di Angelo Tonelli), “Namarie” (musica di Cucurnia, testi di J.R.R.Tolkien), “Merseburger Zaubersprüche” (testi del IX secolo, musica di Frank Wulff), “In Dreams” (musica e testi di Roy Orbison).

Arthuan Rebis: voce, arpa celtica, nyckelharpa, chitarre, bouzouki, cornamuse, flauti, santur, esraj, sintetizzatori, basso, tamburi a cornice, percussioni, programmazione, editing, mix, mastering
Nicola Caleo: batteria e percussioni
Alice Petrin: voce, violino, nyckelharpa, musette, tamburello

Ospiti

Daniele Dubbini: bansuri su “Stella Fatua” e “Angelo del Mare”.
Fabio Ussi: violino su “Angelo del Mare”.
Beppe Brotto: esraj su “Angelo del Mare”.
Mr Jumbo: programmazione su “The Calling”.

Copertina: acquerello di Nicola Caleo
Foto di Maddalena Andreoli

https://www.arthuanrebis.com/it/news

Videoclip: Melancholia

https://www.youtube.com/watch?v=umXi2EQq6sU

Precedente intervista

https://kultunderground.org/art/39933/

Davide

Ciao Arturo e ben ritrovato su queste pagine. Parlammo quattro anni fa di “Sacred Woods“. Intanto cos’hai fatto in seguito e come hai iniziato a lavorare a questa doppia opera, sia letteraria, sia musicale? Qual è stata l’idea primaria e per trasfondervi quali contenuti di base?

Arturo

Ciao Davide! Da allora sono usciti vari singoli: uno con Paolo Tofani, conosciuto specialmente per la sua militanza negli Area, e cinque brani da solo.

Nel 2023 ho pubblicato l’album “Canti di Helughèa” tutt’uno con il mio primo romanzo fantasy “Helughèa. Il Racconto di una Stella Foglia”. Mentre è appena uscito (maggio 2025) il sequel “Helughèa. Il Guardiano Alato”, assieme al nuovo disco “Ballate Mitomagiche”, contenente ben 16/17 canzoni.

Davide

Romanzo e musiche sono nate insieme, man mano che lavoravi a entrambi? Qual è stato il processo di creazione di questo nesso tra la parola scritta del romanzo e la musica del disco? In che modo hai cercato di integrare e intrecciare idealmente questi due diversi linguaggi?

Arturo

In molti casi le liriche sono primogenite, da una parte amplificano i dettagli emotivi dei protagonisti e dall’altra hanno la funzione di profezie, chiavi di enigmi e intrecci narrativi. Altre volte si tratta di “ritratti sonori”, come nella tradizione bardica. Questo è stato il modus operandi del primo doppio lavoro, mentre nel nuovo romanzo/album (Il Guardiano Alato e Ballate Mitomagiche), le canzoni raramente vengono cantate sulla scena: spesso vengono riprodotte in diverse epoche e dimensioni, presentando tante sincronicità: dunque il disco diviene un oggetto metaletterario misterioso.

Ho sempre inteso la musica come un veicolo per trasmettere narrazioni dell’invisibile, concetti spirituali attraverso linguaggi mitopoietici e simbolici. Similmente, intendo la narrativa come un’orchestrazione in cui nulla deve essere lasciato al caso; ogni dettagli è un occasione per tessere trame, cercando di sfruttare due livelli di armonia (quello orizzontale e quello verticale), per amplificare la profondità animica dei personaggi, in risonanza con il lettore.

Davide

Ci puoi dare una definizione di Mitomagia? Quindi, di Ballata Mitomagica?

Arturo

Il Mago e le Torri”, “Il Matto e il suo Scettro”, “Metamorfica”, sono tentativi, da parte mia, di rendere giustizia a questa definizione che ho coniato. In questi brani, come anche nel “Cantico della Dea”, ci sono molti codici simbolici e rappresentazioni talvolta in apparente opposizione, che velano altri livelli di significati, un po’ come nei Tarocchi. Si confondono i registri di sacro e profano, colto e popolare, distopico/utopico, etereo/apocalittico. Vengono utilizzati il linguaggio mitopoietico e quello magico del fantastico, del sublime, del tragico, del giocoso, dell’onirico, per invitare a tuffarsi nel profondo e individuare le trappole dualistiche e l’illusorietà del reale “ordinario”, il quale costituisce la più potente magia.

È una personale visione dell’arte che è influenzata dal mio studio di Buddhismo Tibetano, tanto quanto da Miyazaki, Carmelo Bene, Tolkien, Fellini, Battiato, Hillman, Jodorowsky e moltissimi altri. Si nutre di ciò che c’è dietro a Mito e Fiaba, dalle suggestioni più ancestrali e silvane fino a quelle più decadenti del Faustismo.

Nel mio caso si fondono anche i codici musicali: arpe celtiche, suoni nordici e orientali, ritmi mediterranei, influenze di cantautori d’altri tempi, sfumature prog, wave, medievali, barocche; ma senza perdere di mira la volontà di creare una cosa personale e unica, con un approccio sia omeopatico che catartico.

Nell’ultimo lavoro c’è un particolare focus caleidoscopico sulle energie melanconiche, gocce che contengono il karma di innumerevoli esistenze.

Davide

Anche in questo tuo nuovo lavoro suoni una grande quantità di strumenti: arpa celtica, nyckelharpa, chitarre, bouzouki, cornamuse, whistles e flauti, santur, esraj, percussioni, basso e sintetizzatori. Tue anche le registrazioni, quindi editing, mix e mastering. Tuttavia non hai suonato tutto da solo. Ci presenti gli altri musicisti e ospiti che vi hanno preso parte?

Arturo

Nicola Caleo è percussionista e musicista, conosciuto anche come Timer Shine. Suona con me in vari progetti da tantissimi anni. Ha realizzato le illustrazioni interne del nuovo romanzo (nonché quella in copertina del disco) con gli acquerelli.

Alice Petrin è polistrumentista e cantante. Ha un timbro vocale molto personale, antico in senso folk, perfetto per le doppie voci che avevo in mente, e non solo. Dal vivo suona anche violino, percussioni, musette e, soprattutto, la nyckelharpa. Nei miei album suono spesso sia arpa che nyckelharpa, ed entrambe sono importanti. Avendo io solamente due braccia, ho sempre dovuto sacrificare uno dei due strumenti dal vivo. Alice ha imparato tutte le mie parti di nyckelharpa (strumento che studia da anni, nonostante la giovane età) e questo ha permesso un’ulteriore evoluzione dei miei concerti.

Tra gli ospiti c’è Daniele Dubbini al bansuri indiano, polistrumentista con il quale ho suonato per lunghi periodi, che da un po’ si occupa anche della musica delle piante.

C’è poi Beppe Brotto, che suona l’esraj, altro strumento indiano che ci ha fatto conoscere nel 2013 (anche se io lo pratico con molta meno dedizione). Abbiamo suonato insieme in alcune occasioni. In qualche modo abbiamo avuto entrambi una maturazione karmica molto forte con Claudio Rocchi, in simultanea, che ci ha portato poi a strade diverse.

Davide

Qual è lo strumento da te preferito per la composizione e perché?

Arturo

Se intendo comporre un brano da poter eseguire anche nei concerti solisti: l’arpa celtica.

A volte, però, ho bisogno della chitarra o della tastiera se voglio allontanarmi dalle armonie limitate. In altri casi le musiche mi arrivano in sogno o in stati meditativi, già impacchettate, ma non significa che siano valide. Non tutto ciò che luccica è oro…

Se invece desidero scrivere qualcosa di più travolgente, allora: nyckelharpa o cornamusa (mentre i bassi me li immagino).

Davide

Come procedi poi con l’arrangiamento? Avendo a disposizione molti strumenti e sapendoli suonare tutti, come scegli la strumentazione ideale per ogni brano?

Arthur

Solitamente ho già un quadro abbastanza preciso nella mia testa. Mentre scrivo un pezzo visualizzo, spesso istantaneamente, i colori che posso utilizzare.

La rapidità nel pensare ed eseguire gli arrangiamenti credo sorga da tanti anni di improvvisazione e memorizzazione di musiche e generi diversi.

Poi ci sono alcune idee che sorgono in un secondo momento, come quella di doppiare i bassi con alcune note di cembalo, per dare quel tocco “barocco” alternative, un po’ alla Stranglers. Oppure di inserire una distorsione al violino in “Melancholia”, che richiama un po’ alcune note di High Hopes dei Pink Floyd, o di aggiungere i bassi di tastiera sul finale (citando velatamente A Forest dei Cure).

Ho inserito persino una tromba tibetana accordata con una sirena della Luftwaffe, in una strofa in cui cito il gruppo di resistenza tedesco nominato la Rosa Bianca. Un ascolto attento può scovare tante particolarità…

Davide

Che cosa rappresenta per te l’amalgama di sonorità generate da strumenti di diversa provenienza? Che tipo di connessione anche simbolica viene a crearsi unendo il whislte irlandese alla nyckelharpa svedese al bansuri o al santoor o allo esraj indiani al bouzouki greco alla musette francese e avanti fino a un moderno sintetizzatore?

Arturo

Maggiori sono i linguaggi e le conoscenze, e maggiore è ciò che mettiamo a disposizione delle idee. Il mio interesse è quello di dare identità e massima profondità alle mie storie, ai personaggi, alle emozioni.

Suono tanti strumenti e nel disco ci sono pochissime programmazioni: è tutto suonato, pur godendo delle tecnologie, che però nel mio caso hanno la sola utilità di nobilitare ciò che è prodotto dalla mano.

Un’artista mitomagico studia tanto, concentra tanto, ma alla fine aspira all’essenziale. Il bello del fare arte sta nella ricerca, nel superare i confini e nell’elaborare qualcosa che abbia anima e che faccia anima, riflettente una porzione di cielo, come fa la superfice di uno stagno.

Se da una parte pesco da tante tradizioni e mi abbevero a molte sorgenti, dall’altra cerco di realizzare uno stile sempre personale, e per certi aspetti innovativo. I miei romanzi fantasy presentano tanti aspetti originali, e attraverso la compenetrazione delle arti e dei vari livelli di lettura vogliono offrire un inedito approccio immersivo: multimediale, ma artigianale.

Non è un buon periodo per questo tipo di cose, ma mi auguro che quando l’intelligenza artificiale dilagherà oltremodo, ci sarà un capovolgimento di valori in grado di ostacolare le attuali macchinazioni mediatiche.

Davide

Il disco è aperto da “Melancholia”, il che richiama particolarmente la famosa incisione di Albrecht Dürer, un’opera per altro densa di riferimenti esoterici. Cos’è per te l’esoterismo? Ne fai uso in questo lavoro? Qual è il suo valore oggi? Che senso dare oggi alle dottrine e agli insegnamenti segreti e destinati a pochi?

Arturo

Per prima cosa c’è da chiarire che le vere vie iniziatiche non hanno nulla a che vedere con l’elitarismo fine a sé stesso, che è sintomo di degenerazione o mero inganno.

Il livello simbolico, per sua natura, si rivolge a un tipo di mente più intuitiva e profonda, meno discorsiva e più penetrante. Pensiamo per esempio ai frammenti di Eraclito, alle iconografie alchemiche, ai Mandala tibetani, o a certi passaggi di Dante: ci permettono di contemplare diversi piani.

Chiunque è in grado di percepire che a volte alcune semplici linee celano molte cose.

Le Rune, per esempio, non sono solo artifici per tombe di nani, o decorazioni per i giochi di ruolo, e non sono nemmeno qualcosa di sovrannaturale. Sono linee ancestrali, opera di una mente umana collettiva e primordiale, ancora panteistica, che ha rappresentato così certe energie, certi suoni, certe forme, certi animali, certe fasi della vita. Sono un sistema in codice. Messaggere degli archetipi, come le sillabe. Per questo possono offrire un linguaggio di comprensione intuitiva. Non sono le Rune a essere magiche, semplicemente aiutano la mente a cambiare piano di lavoro. Questo vale per tanti altri esempi.

Detto questo, l’esoterismo non ha senso se non ci sono studio, ricerca, viaggio, pratica, se non ci sono gli errori dai quali poi dobbiamo imparare.

I codici esoterici servono a radunare nella nostra mente tutto ciò che abbiamo appreso a livello discorsivo ed esperienziale: un’adunanza istintiva e automatica, che scavalca la mente pensante.

Le pratiche esoteriche sono pratiche molto dirette, per gli iniziati. Gli iniziati sono coloro che hanno ricevuto istruzioni particolari per poter trasformare ignoranza in virtù. Tutto qui. Il resto è moda o apparenza.

Spesso c’è grande attrazione per questo tipo di cose, e va bene nella misura in cui ci si deve innamorare del mistero e della ricerca spirituale, ma a un certo punto bisogna frenare l’attaccamento, altrimenti la nostra idea di “esoterico” finisce solo per esaltare il nostro edonismo narcisista.

Non c’è nulla di più (tristemente) magico e assurdo del grande incantesimo che intrappola le civiltà umane, intente a distruggersi dietro l’angolo d’Europa per dei pezzi di carta numerati, o dei numeri su un computer, con tanti schiavi viziati che nemmeno se ne accorgono.

La segretezza delle vie iniziatiche ha sempre avuto la funzione di preservare l’energia di certi insegnamenti e dei lignaggi. In Occidente è rimasto poco, c’è ad esempio una linea di lignaggio antico di Alchimia. L’Alchimia è trasversale, la troviamo in tutto il mondo, in culture diverse.

Esoterismo e Arte sono unite da un sentimento: l’amore per il mistero.

Il valore della ricerca è ciò che oggi si perde sempre più. Quindi diventa ancora più prezioso.

Davide

Oltre all’italiano, hai usato la lingua heludin, di tua invenzione, usata anche nei tuoi romanzi. Si tratta di una vera e propria lingua pianificata? Come è nata, da quale tua esigenza, partendo da quali altre lingue e per farne quale tua ideale sintesi semantica e sonora?

Arturo

Sono partito dall’essenza sillabica. I miei studi sul linguaggio mi hanno portato a individuare corrispondenze tra sillabe, energie e movimenti dell’apparato vocale. Le vocali sono suoni arcaici, che non implicano l’uso labiale. Ci sono consonanti femminili o maschili, e dalla loro combinazione si generano congiunzioni più complesse, spesso associate ad altre polarità (vita/morte, luce/buio).

Ci sono rapporti che si possono individuare anche in lingue che non sono imparentate. Le lingue arcaiche protoindoeuropee sono certamente un riferimento.

Il fonema nasce come rappresentazione sonora di una percezione, e questo non è affatto banale. Il canto nasce come incantamento proprio grazie a questa relazione.

Del resto, gli Heludin, nei miei romanzi, sono custodi di tutto il sapere dell’umanità, e loro stessi non sanno se è la loro lingua ad avere influenzato le nostre, o viceversa; sostengono piuttosto che certe cose si manifestino nell’universo simultaneamente, ed essendo i loro corpi simili ai nostri, hanno dato nomi simili a cose simili.

Davide

Ma hai cantato anche in francese, inglese, greco antico ed elfico quenya, uno dei diversi linguaggi della Terra di Mezzo ideati da Tolkien. Perché tante diverse lingue?

Arturo

In francese: perché il brano l’ho sognato in questa lingua, cantato da uno degli ultimi druidi. Nel romanzo questo testo emerge da un ritrovamento lapideo.

Non so darti una risposta razionale. Probabilmente riguarda l’espandere i confini delle storie. Le lingue inoltre hanno sonorità davvero molto diverse, quindi è impossibile ottenere in inglese ciò che puoi ottenere in greco antico, specie se vuoi cantare di Dioniso e dell’energia del sacro maschile venerato dal femminino, che poi in Europa sopravvivrà quasi esclusivamente nel Sabba.

Posso scrivere in italiano, inglese, francese, heludin, e me la cavo con l’elfico (con vocabolari alla mano), ma per quanto riguarda il greco mi ha aiutato Angelo Tonelli, poeta tra i maggiori grecisti viventi. “Angelo del Mare” è un suo testo che ho messo in musica molto tempo fa; ho deciso di pubblicarla dopo tanti anni, per sigillare la nostra prosperosa collaborazione/amicizia.

Davide

Il più grosso complimento che i Maestri di musica indiana fanno ai propri studenti è: suoni lo strumento come una voce. In “Mainades”, per altro, hai usate alcune tecniche del canto armonico. Cosa sono per te il canto? Che tipo di strumento è per te la voce

Arturo

Mi appassionai al canto armonico guardando il documentario Suonare la Voce del grande Demetrio Stratos. Iniziai a esercitarmi da solo. Mi sono confrontato dapprima con altri amici appassionati. Mi viene in mente il poeta e scrittore Massimo Maggiari, che tra l’altro mi ha fatto conoscere Glen Velez, con il quale ho poi collaborato.

La padronanza vocale dei ritmi è la sorgente di tante capacità esecutive sugli strumenti. Per introiettare un ritmo bisogna cantarlo. Esercitarsi a eseguire i ritmi con la voce è importante per sciogliere le mani. La voce è espressione diretta di comprensione e volontà.

C’è da dire anche che sono molto amico di Paolo Tofani, abbiamo condiviso molto tempo insieme, in salotto, e mi ha raccontato tantissimo di Demetrio. Quindi ho un buon karma con questo campo di studi.

Il brano da te citato è un brano in greco antico, che parla delle Baccanti e Dioniso. Il canto delle Baccanti è rappresentato da una sequenza di vocali che ho scoperto favorire la produzione di suoni armonici. Ritengo molto probabile che fosse praticato in tal modo.

Gli armonici sono suoni già presenti all’interno di una singola nota. Con le tecniche canore dette overtone singing li rendiamo udibili. È come svelare l’invisibile. Mi pare un concetto perfettamente in linea con le tradizioni misteriche greche, comprese quelle pitagoriche.

Presto farò un workshop su queste cose.

Mi piace usare la voce e imparare cose nuove: quando ho perso temporaneamente l’udito ho studiato un po’ le tecniche dei ventriloqui…

Davide

Non solo tue composizioni, nel disco sono presenti anche due rivisitazioni: “Merseburger Zaubersprüche” di Frank Wulff degli Ougenweide e “In Dreams” di Roy Orbison. Perché hai scelto questi due brani?

Arturo

Il testo della prima è il più antico incantesimo in lingua germanica: una preghiera di liberazione dei prigionieri. Non volevo pubblicare quella cover, ma mi hanno convinto a farlo. Stavo per cestinarla (sono un gran cestinatore) e tuttora non sono convinto di aver fatto la scelta giusta, ma ormai è troppo tardi 😀

In Dreams” voleva essere una chiusura straniante e surreale, tra carezza e schiaffo, per fare uscire gli ascoltatori. In qualche modo questo è in sintonia con certe cose del romanzo.

Davide

“In Dreams” è anche un tributo a David Lynch, che quest’anno ci ha lasciati. Quale suo lavoro preferisci e perché?

Arturo

Ah! È difficilissimo dover scegliere. Ma non mi tiro indietro e dico: Twin Peaks, compresa l’ultima stagione The Return, che presenta momenti di grandiosa neoavanguardia, e Fuoco Cammina con Me. Possiamo considerare tutti questi un’unica grande opera.

A mio parere non esiste nulla di paragonabile; mentre invece possiamo in qualche modo tentare di accostare, con le dovute distanze, la precedente filmografia lynchiana ad altri autori visionari.

Twin Peaks e Fire Walk With Me rappresentano una creazione inedita sotto tutti i punti di vista: il format, il crossover di generi, l’estetica, la sceneggiatura, la direzione, l’utilizzo di colonna sonora e canzoni all’interno della vicenda, etc.

Credo di conoscere a memoria ogni scena, frame by frame (tanto per citare pure i King Crimson).

Davide

The Calling” è un brano che si discosta per sonorità new wave ed elettroniche dal resto del disco che, senza essere riduttivo, suona invece nel suo insieme più come un lavoro prevalentemente acustico di musica celtica (definizione più o meno arbitraria che raggruppa diversa musica dei Paesi di area celtica). Perché dunque hai chiuso in questo modo?

Arturo

In realtà i “celtici” mi dicono che il nuovo disco suona poco “celtico”. Ma capisco benissimo cosa intendi. E credo che il termine “celtico” dovrebbe comprendere uno spettro molto più vasto rispetto a ciò che banalmente ormai si intende. L’omologazione, purtroppo, è presente da tutte le parti.

I bardi usavano codici del passato per narrare qualcosa di nuovo, per far commuovere, far danzare, ricordare e incantare. Credo che questo sia l’essenza dell’arte celtica viva, al di là dei cliché di musica folk popolare, irlandese o scozzese.

“The Calling” è uscita come singolo un anno fa. In Ballate Mitomagiche sarebbe dunque una extra track/bonus track, presente solo nel formato CD. Non compare infatti nella pubblicazione digitale.

In realtà c’è della wave sotterranea anche nelle mie composizioni più celtiche, celte sì e celte no…

Davide

Cosa seguirà?

Arturo

Adesso ci saranno una serie di concerti, in uno spazio che va dal Wave Gotik Treffen di Lipsia a Latina.

Non so a quale altro progetto vorrei poi dare la priorità, le idee sono tante, e alcune sono anche promettenti. Ma ci vogliono le condizioni, le motivazioni e le energie!

Grazie mille per la bella intervista.

Davide

Grazie e à suivre…

 

Arthuan Rebis (Alessandro Arturo Cucurnia), dottore in Musica, Cinema e Teatro; è compositore, polistrumentista, arpista, scrittore, cantante, concertista internazionale. Studioso di tradizioni musicali e spirituali d’Oriente e d’Occidente.
Arthuan Rebis si esibisce in variegati contesti musicali, quali festivals, teatri, piazze, musei, castelli, clubs e siti naturalistici. Da solista e con vari progetti ha collezionato più di 1000 esibizioni in Italia e all’estero (Germania, Francia, Austria, Danimarca, Svizzera, Croazia, Spagna, Belgio, Olanda, Qatar, Repubblica Ceca, USA, Finlandia, Estonia).

La sua formazione musicale è caratterizzata dallo studio e dalla pratica di stilemi musicali che spaziano dal folk nordico e bardico alla musica arcaica, sciamanica, medievale, etnica e cantautorale, fino al prog folk, al pagan/fantasy folk e alla new wave.

Tra gli strumenti che suona ci sono arpa celtica, nyckelharpa, esraj, hulusi, bouzouki, chitarre, flauti, cornamuse, percussioni, santur, tastiere, e la sua voce, che modula anche con tecniche di canto armonico. Nelle liriche utilizza lingue umane o fantastiche, come l’elfico e lo Heludin (inventato da lui nei suoi romanzi).

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