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Intervista con Daniele Comoglio

10 min read

Paradeiro

Il nuovo disco del sassofonista Daniele Comoglio

Con Helio Alves al pianoforte, Gil Lopes e Nilson Matta al basso, Rafael Barata e Duduka Da Fonseca alla batteria

Il sassofonista Daniele Comoglio firma un nuovo album dal titolo “Paradeiro”, insieme a una formazione di musicisti brasiliani, composta da Helio Alves al pianoforte, Gil Lopes e Nilson Matta al basso, Rafael Barata e Duduka Da Fonseca alla batteria.

L’album è uscito il 24 aprile su cd e digitale ed è stato presentato in concerto al teatro del Borgo di Milano e al Teatro Giacconi di Chiaravalle (AN), in occasione dell’International Jazz Day.

“C’è la musica bella, quella brutta, e poi c’è la musica brasiliana”. Questa frase attribuita a João Gilberto, uno dei capostipiti della bossa nova, fa capire il ruolo e l’importanza della musica suonata in Brasile. Molti artisti ritengono si diventi un musicista completo solo dopo aver visitato il Paese sudamericano, considerato una tappa fondamentale della loro evoluzione.

Un’esperienza, però, che non si ferma all’idea stereotipata di una musica leggendaria, ma si manifesta nel confronto con un pensiero e la sua musicalità. I suoni e i ritmi assumono nuove forme, diventano talmente contagiosi che è impossibile liberarsene completamente.

Lo ha sperimentato sulla propria pelle il sassofonista e compositore Daniele Comoglio che, dopo aver visitato il Brasile, ha deciso di incidere il suo terzo album. Completamente autoprodotto, il disco è stato registrato nel 2023 nel corso di due sessioni di registrazione: una a Prato, più improvvisata, quasi in forma di jam, l’altra più articolata a New York nel 2023. “Paradeiro” presenta delle sonorità attuali ma con chiari rimandi alla storia del sassofono in ambito jazzistico. Il tutto arricchito da colori, ritmi e suoni “contagiati” dall’anima brasiliana.

Con questo disco, il musicista di Gattinara, ma da anni residente a Milano, ha voluto coniugare l’amore per il jazz alla passione per il Paese sudamericano da cui è rimasto affascinato e musicalmente influenzato. “Dal ritorno dal Sudamerica, è nata spontaneamente l’esigenza di voler scrivere dei brani strutturati, con forme complesse, come a voler raccontare delle storie brevi o più articolatre. Le melodie mi sono venute in modo naturale, perché, oltre ad avermi affascinato tanto, il Brasile mi ha cambiato la vita” afferma Comoglio.

Paradeiro, che nella lingua portoghese significa destino/destinazione, racchiude 9 brani, di cui sei originali composti dallo stesso Comoglio, che ha trovato ispirazione dal suono della voce e della musica di Milton Nascimento, di Djavan, di Jobim e di Wayne Shorter. Per rendere al meglio i ritmi presenti nell’album (samba, baião, bossa nova, afoxé), Comoglio ha coinvolto grandi jazzisti brasiliani, riconosciuti in tutto il mondo come dei punti di riferimento del brasilian-jazz: il pianista Helio Alves, i bassisti Gil Lopes e Nilson Matta e i batteristi Rafael Barata e Duduka Da Fonseca che hanno formato i due quartetti protagonisti del progetto.

Attivo da oltre tre decadi sulla scena musicale italiana, il sassofonista e compositore Daniele Comoglio ha collaborato con artisti e formazioni orchestrali dei più disparati generi musicali, dal jazz al pop alla musica classica e contemporanea. Grande ammiratore di Charlie Parker e Cannonball Adderley, inizia a studiare il sassofono all’età di 12 anni e nel 1990 si diploma con il massimo dei voti al Conservatorio G. Rossini di Pesaro.

Fin dal momento in cui inizia a suonare il sax, il suo naturale interesse e passione per diversi generi musicali (jazz, rock, classica), lo inducono a sperimentare vari tipi di espressione musicale che spaziano dalle orchestre sinfoniche ai gruppi jazz e ai cantanti pop (Adriano Celentano, Renato Zero, Raf, Fabio Concato, Lorenzo Jovanotti, Elio e le Storie Tese, Tony Hadley, Gino Paoli, Paola Turci e altri).

Attualmente Comoglio è docente di sassofono presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano. Prima di Paradeiro ha pubblicato due album da solista: Dreaming in colour nel 2005 e Travelling nel 2020.

Gaito Ufficio Stampa e Promozione

Intervista

Davide

Buongiorno Daniele. “Paradeiro” significa “destino” o “destinazione”, ma anche “posizione”, “ubicazione”, un dove per qualcosa o qualcuno. Che posizione occupa dunque “Paradeiro” rispetto ai tuoi precedenti lavori, cosa ne continua e cosa ne evolve?

Daniele

Ho sempre immaginato i miei brani come dei racconti ed è così anche per quelli che compongono “Paradeiro”. Rispetto ai miei due album precedenti, in studio ho cercato un approccio più jazzistico. Avevo in mente un’idea, un suono che volevo ottenere con il quartetto, poi mi sono affidato completamente ai musicisti che ho scelto, in questo modo sono emerse soluzioni che non avevo immaginato.

Davide

Hai affermato che il Brasile ti ha cambiato la vita. Cosa in particolare ti ha contagiato della musica brasiliana e in che modo l’hai integrata e sintetizzata nel tuo bagaglio musicale e creativo personale?

Daniele

È una alchimia di ingredienti per me difficili da scindere. I brasiliani hanno, credo da sempre, la capacità di prendere elementi dalle culture dei popoli emigrati lì per farne qualcosa di brasiliano; perciò, nella loro musica si possono trovare tracce della musica e dei ritmi africani, del jazz, della tradizione classica europea, del mondo arabo e orientale, il tutto mischiato con la loro “brasilianità”. Permettono a tante cose di entrare nel loro mondo arricchendolo di nuovi colori e forme. Probabilmente è questa grande apertura che mi ha affascinato.

Inoltre, che si trattasse di samba, bossa, mpb, choro o altro, mi hanno colpito la sincerità e l’essenzialità nelle voci, nelle composizioni, negli arrangiamenti.

Spero di essere riuscito a trasferire tutto ciò nella mia musica.

Davide

Perché hai scelto di lavorare solo con musicisti brasiliani. Inoltre, come avete condiviso il lavoro e che tipo di intesa si è formata nel suonare e arrangiare il tuo materiale originale?

Daniele

Volevo registrare con musicisti che, oltre ad essere jazzisti, avessero una profonda conoscenza dei ritmi della musica brasiliana.

Prima di trovarci in studio di registrazione ho inviato loro, oltre agli spartiti, delle basi registrate da me che servissero da canovaccio per dar loro un punto di partenza di quello che stavo cercando.

Davide

Una composizione è invece del bassista Nilson Matta (“Paraty”), un’altra ancora del batterista Duduka Da Fonseca (“Dona Maria”). Mi pare si tratti di brani già presenti nei loro repertori; come li avete rivisitati per l’occasione, in che modo integrandoli alle tue composizioni?

Daniele

Per la sessione di registrazione con Nilson e Duduka prima di entrare in studio non c’è stato tempo di provare e loro non hanno avuto il tempo di guardare il materiale che gli avevo inviato, è accaduto tutto molto rapidamente. Quindi tra i brani che avevo scritto ho scelto quelli che fossero più immediati da suonare. Con questa idea in testa mi è sembrata una ottima cosa avere anche un loro contributo di musiche originali e queste si sono sposate perfettamente con le mie.

Davide

Infine, un brano è di Tom Jobim e Chico Buarque (“Retrato em branco e preto”). Perché hai scelto questo brano e come lo hai reso ora anche un po’ tuo?

Daniele

L’intero album è un mio personale tributo alla musica brasiliana. Volevo che ci fosse anche un brano del repertorio classico. Con Helio, al termine di una giornata di registrazione, abbiamo provato alcuni brani in duo. Quando abbiamo suonato Retrato ho sentito che era lui. La scelta di eseguirlo in duo è stata una conseguenza. Mi è sembrato rispettoso suonare quasi solo la melodia in una forma intima, differente dal resto dei brani suonati in quartetto, le dà maggior rilievo.

Davide

Il disco, realizzato durante due diverse sessioni, è suonato insieme a Helio Alves al piano, presente in tutte le tracce. Cambia invece la sezione ritmica, nella prima parte costituita da Gili Lopes e Rafael Barata, nella seconda da Nilson Matta e Duduka Da Fonseca. Il disco tuttavia suona comunque in modo omogeneo, come realizzato durante un’unica sessione. Come e perché sono avvenute queste due diverse sessioni, la prima a Prato e la seconda a New York City, e come vi hai lavorato per darvi continuità?

Daniele

L’idea iniziale era di realizzare tutto in un’unica sessione.

Poi c’è stata improvvisamente la possibilità di registrare qui in Italia con Helio, Nilson e Duduka, al termine di un loro tour in Germania. Come ho detto prima, non essendoci stato tempo per provare ho scelto per questa sessione i brani più immediati.

Per la seconda sessione ho quindi lasciato i brani strutturalmente più complessi e ho scelto di andare a registrare New York con Helio, Gili e Rafael anche per catturare l’energia che la città ha e che trasmette.

Tutti e cinque sono musicisti incredibili e sono considerati internazionalmente tra i maggiori rappresentanti del brasilian jazz. Credo che l’omogeneità delle due sessioni derivi dal fatto che i musicisti di tutt’e due le ritmiche si conoscano molto bene e abbiano suonato tanto insieme e, probabilmente, anche dall’aver registrato per la maggior parte mie composizioni che avevano già una certa unitarietà.

Davide

Hai affermato che “C’è la musica bella, quella brutta, e poi c’è la musica brasiliana”. Cos’è per te una musica brutta? Cosa invece rende bella una musica?

Daniele

Io ho bisogno che la musica mi colpisca emozionalmente o intellettualmente. Se poi ci sono tutt’e due gli elementi è il massimo.

La frase citata è in realtà di João Gilberto.

Davide

E poi c’è la musica brasiliana… Come si colloca tra le due anzidette, in che modo superando la dicotomia “bello” o “brutto”?

Daniele

Mi viene in mente una canzone di João Bosco e Chico Buarque intitolata “Sinhá”. È una canzone raffinatissima sia melodicamente che armonicamente. Il testo di Chico Buarque è meraviglioso, è uno schiavo che parla al suo padrone che lo sta frustando per qualcosa che non aveva commesso. Questa canzone mi ha sempre colpito, anche prima di capire cosa dicessero le parole. Quando le ho tradotte mi ha emozionato ancora di più e continua a farlo ogni volta che la ascolto.

Il Brasile è una nazione incredibile per la sua bellezza e per la sua gente. È anche un Paese molto difficile, violento, con una storia complicata. Tutto questo lo si trova spesso nelle canzoni o anche nelle musiche senza un testo, con una carica emotiva molto forte.

Davide

Quali sono stati i più importanti riferimenti nella tua formazione di sassofonista e come il tuo sassofono o l’approccio allo strumento si è arricchito attraverso il Brasile e la sua anima musicale?

Daniele

Sicuramente tutti i miei insegnanti, che mi hanno saputo trasmettere passione, serietà e divertimento nell’approcciarmi allo strumento: Renzo Calligaris, Claudio Allifranchini e soprattutto Federico Mondelci, che è per me ancora oggi una figura molto importante.

L’elenco di jazzisti che mi hanno influenzato è molto lungo, a partire da Charlie Parker che ho iniziato ad ascoltare e a studiare all’età di 13 anni. Wayne Shorter, Miles Davis, Cannonball, Sonny Rollins, Coltrane, Joe Henderson, Dexter Gordon, Warne Marsh, Duke Ellington… potrei nominarne ancora tanti.

Come il Brasile MI abbia arricchito come sassofonista non saprei. Sicuramente nel comporre ha ampliato notevolmente la mia sensibilità e il mio gusto melodico e armonico.

Davide

Ma non dimentichiamo New York tra le varie “ubicazioni” o “posizioni” di questo tuo nuovo disco. Certamente non è stato casuale scegliere una tua foto nella tube di New York City. NYC è forse il luogo più importante per il jazz fin da quando venne definita la “Grande Mela”, ovvero il frutto più prospero di un albero le cui radici affondano nella valle del Mississippi e ciò per indicare il prestigio di poter suonare a New York, ieri come ancora oggi. Il tuo disco precedente per altro si intitolava “Travelling” (Viaggiare). Bruce Chatwin disse che “il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma. Si può dire la stessa cosa della musica? Cosa sono per te il viaggio e la musica, e come si incontrano e completano idealmente?

Daniele

La musica mi accompagna da sempre, prima da ascoltatore, poi da studente e infine da musicista. Un elemento che accomuna il viaggio e la musica è la curiosità. La curiosità che mi porta a conoscere nuovi luoghi, persone, cultore, sapori, profumi, linguaggi, sonorità. Probabilmente senza curiosità rimarrei chiuso nel mio piccolo mondo, precludendomi la possibilità di sperimentare cose nuove. Il viaggio e la musica sono senza fine. La vita è un viaggio.

Davide

Tu hai suonato molti generi musicali, però per te e le tue composizioni hai scelto il jazz. Cos’è per te dunque il jazz, cosa ti dà e ti permette di esprimere di più tuo rispetto agli altri generi?

Daniele

Quando incontrai il sassofono incontrai subito anche il jazz. Pur non capendolo bene mi è sembrato un linguaggio familiare, più della musica classica o del pop. Probabilmente per questo motivo, pur avendo praticato e praticando tutt’ora vari generi musicali, il jazz è quello che mi permette di esprimermi con maggiore naturalezza e che sento più mio. Suonando jazz racconto qualcosa di mio, nell’eseguire musica classica suono il racconto scritto da qualcun’altro, posso metterci qualcosa di personale nell’eseguirlo ma rimane sempre il racconto di un’altra persona.

Davide

Cosa seguirà? Quale prossima destinazione?

Daniele

Lo scoprirò anch’io appena mi rimetterò a comporre nelle prossime settimane.

Davide

Grazie e à suivre…

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