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IL Tiepolo, la Sala Tiepolo e una Milano mai vista.

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La Sala Tiepolo di Palazzo Clerici a Milano sconcerta e ipnotizza. Entriamo a gruppi, prima le persone registrate e poi gli altri, c’è un evento stasera, inusuale per il luogo anche se non dovrebbe, ma lo spiegherà Boris Biancheri introducendo Roberto Calasso. Entriamo adagio e la sontuosità si impossessa dei visi, delle movenze, dei corpi che indugiano sulla soglia.

 

 

Fin da quando ho ricevuto l’invito per la presentazione del libro numero 500 della leggendaria collana Biblioteca Adelphi, Il rosa Tiepolo di Roberto Calasso, ho pensato che se aveva un senso muoversi per un evento, questa era una delle occasioni in cui il senso era evidente. L’avevo letto ed ero rimasta colpita, stordita. Inoltre mi incuriosiva una presentazione che avveniva sotto forma di dialogo con Boris Biancheri a Palazzo Clerici, dove ha sede l’ISPI, l’Istituto di Studi di Politica Internazionale. Un palazzo che è un fulgido esempio di edilizia patrizia del Settecento milanese e che vanta, fra gli stucchi e le preziosità del suo interno, la bellezza del suo cortile, anche la Sala Tiepolo, appunto

 

 

C’è un interesse svagato e leggermente intimidito a guardare gli intervenuti e a guardarsi – almeno io mi sento leggermente intimidita – e osservo la luce che palleggia sul cristallo dei grandi lampadari immaginando per qualche istante occasioni antiche, scene memorabili di incontri d’amore e di politica, di accordi, di segreti e di sussurri amplificati

Uno dei motivi – uno dei tanti motivi – per cui ero così curiosa era che di solito le presentazioni dei libri, le iniziative culturali, le rassegne, avvengono in luoghi anonimi, quando non sobri o addirittura dimessi, poveri. Le librerie, per quanto grandi possano essere sono sempre un po’ sciatte nell’arredamento delle sale dove avvengono le presentazioni. Invece, varcando la soglia della sala, la ricchezza delle decorazioni e tutte quelle figure soffici come spuma, sovrastanti, perfette, intriganti mi avvolgono. Come se io fossi esangue, trasparente e che attorno il colore, nelle forme variabili della vita, stesse saltellando per venirmi addosso, per invadere il mio corpo. E me la godo, questa sensazione voluttuosa di “invadibilità” del corpo. Come direbbe Harold Brodkey.  Mi godo un piacere fatto di timore e tremore, di bellezza e di straniamento. Lisergico, potrei dire.

 

 

C’è un certo gioco al riconoscimento. Salendo, ho visto passare Roberto Calasso e ho pensato con gratitudine a quest’uomo: Grazie a lui ci si può sentire un po’ fieri di essere italiani, e sono molte le ragioni, mentre passavo ero indecisa se soffermarmi sul Calasso editore che ha pubblicato tutti i libri che per me sono stati fondamentali negli anni della formazione e anche dopo, che con le sue edizioni ha dato pienezza alla cultura e all’editoria italiana. Mai aggrappandosi alle mode. Mai afferrandosi alle tendenze ma fieramente creandole. Snob? Forse. Ma di un particolare tipo di snobismo capace di seminare risultati, cause ed effetti all’interno degli archetipi di una generazione. Indecisa se pensare al Calasso scrittore. Autore di libri complessi, che però forniscono chiavi. Chiavi da usare, grimaldelli che non entrano alla prima mandata. Roberto Calasso che con questo libro su Tiepolo si è dedicato all’Italia. Ne ha narrato la magnificenza e la parte oscura. Che con questo libro su Tiepolo, dove l’osmosi fra testo e figure è talmente perfetta e azzeccata che fa pensare all’amalgama di colore dell’artista di cui si occupa, ha voluto darci ancora una volta i mezzi per comprendere “un modo di manifestarsi delle forme, un certo stile nell’ostentarsi della loro sfida. Le sue figure rivelavano una fluidità senza ostacoli e senza sforzi. Accedevano a tutti i celi senza dimenticare la terra…”


 

Nelle signore predomina il nero in alcune varianti: c’è il “nero sobrio”, un nero che si accompagna a fisici asciutti, quasi androgini, a capelli lasciati grigi ma curatissimi e raccolti, c’è il “nero con accessori”, sempre carico di understatement ma appena più in evidenza per un dettaglio, che sia una sciarpa leopardata, o un paio di stivali a punta, o monili argentati in evidenza, e il “nero appariscente”, un look tutto nero con scollatura d’effetto e con bordatura di pizzo delle giacche, magari in velluto, delle maglie e delle gonne. Gli uomini hanno abbigliamento disinvolto, giacche di pelle e barbe, la Repubblica e il libri di Calasso sottobraccio, qualche sciarpa dai colori etnici e gli occhiali rotondi. E’ un avvenimento culturale, sontuoso ma anche mondano. (A dialogo iniziato comparirà, vera primadonna come sempre, leggermente maleducato, Vittorio Sgarbi con ragazza molto più giovane al seguito, tipo accessorio)

Si respira qualcosa di profondamente antico, sembra uno strano attacco lento del tempo, e sono i telefonini o le macchine digitali con cui alcuni fotografano i soffitti che richiamano al contemporaneo. Ed arriva, inevitabile, il pensiero di ipermercati affollati per le feste di natale imminenti, negozi di telefonia, il contemporaneo sulla porta come un intruso troppo invadente per essere lasciato completamente fuori. Riconosco qualche viso, autori Adelphi, giornalisti, faccio cenni di saluto a qualcuno. Timidi accenni, l’ambiente continua a lasciarmi stupefatta e carica di sensazioni crepuscolari. Un crepuscolo di decadenza che per una parentesi di istanti si pacifica e si celebra.

 

 

Ripensando al mio arrivare in taxi, appena scesa dal treno, penso che in realtà non ho mai visto Milano. Il mio arrivare e ripartire da Bologna o da altrove per Milano ha sempre seguito percorsi obbligati, che mi hanno portato in luoghi che potevano essere gli stessi, ovunque. Periferici o simili. Librerie parte di grandi catene, redazioni di giornali, sciatte e puzzolenti di sigarette fumate di nascosto e sudore. Ho fatto delle toccate e fuga distratte, mai vista davvero Milano e stasera la vedo. La vedo davvero. Il taxi per arrivare a Palazzo Clerici costeggia strade eleganti, abitate dalle luci del natale, dai decori delle feste, negozi raffinati e bellissime caffetterie, La Scala,e alla fine dell’iniziativa, prenderò il taxi in piazza Duomo. E il Duomo mi ricorderà un viaggio infantile e il mio film – culto, Miracolo a Milano. Ma niente di recente. Perché di recente non ho mai visto nulla.

 

 

Sono di nuovo nella sala Tiepolo. E’ così bella la moglie di Calasso, Fleur Jaeggy, così elegante e austera. So che è lei perché ricordo di averla vista in foto, penso ai suoi libri e vorrei avvicinarmi, presentarmi, abbracciarla, dirle grazie, per quello che, attraverso la sua scrittura, ho potuto conoscere, i mondi attraverso i quali il suo linguaggio e le sue narrazioni mi hanno portato. Le finestre aperte, le ambiguità rappresentate, secche e perfette, dolenti e mai compiacenti. Ecco, forse Calasso è anche questo, editore, scrittore e marito di una delle più grandi scrittrici viventi. Tanto, per una sola persona. Potrebbe camminare piegato in avanti per tutto questo. Mi viene da sorridere al pensiero. Continuo forsennatamente a prendere appunti mentre l’eleganza di Fleur Jaeggy e la sua composta ritrosia avvolgono le prime file. Non mi avvicino, non ne avrei mai il coraggio. Lascio andare ogni pensiero e mi predispongo all’ascolto. Boris Biancheri è ambasciatore e abita a Palazzo Clerici. Conosce Roberto Calasso da tempo, lo presenta con amicizia e rispetto, e Calasso dice che ha sperato in una “Biancherizzazione della politica estera italiana”. Una cosa gentile. Prima di cominciare. Dice che è particolarmente felice – e lo credo – di presentare il libro in una simile cornice – e ha ragione, è perfetto. Tiepolo passò la vita ad eseguire opere su commissione e parlò pochissimo, dichiarò quasi niente e quasi niente si sa di lui, di quello che realmente pensasse o provasse. Per questo, scrive Calasso a pag 57: “Tiepolo è la disperazione del biografo. Si sposta fra ville, palazzi e chiese, in ottemperanza ai voleri dei committenti. In nessuna occasione manifesta la sindrome dell’artista. Di suoi malumori, cupezze, euforie, nulla sappiamo… Il corso delle sue imprese è di una monotonia senza scampo…” Inoltre, ed è innegabile, sia osservando i soffitti della sala di Palazzo Clerici, sia le splendide illustrazioni del libro: “La sua pittura è erotica in ogni fibra. Non soltanto nei corpi e nelle pose ma nel ductus, che attraversa le sue figure come un’onda luminosa. Eppure Tiepolo non è mai galante, anche perché quella categoria era ignorata nella pittura veneziana. Ma l’eros si sprigionava in ogni suo gesto- soprattutto quando usava tecniche che non ammettono il ritocco: l’affresco e l’incisione…” Parla Calasso, con un magnetismo che catalizza e ipnotizza quanto gli affreschi e quanto i decori eleganti, racconta incalzato dall’ambasciatore, persino sovrapponendosi alle sue parole, la passione deborda, questa passione antica, iniziata tanti anni fa e poi rimasta e riapparsa. Parla indicando il “cielo” che abbiamo sopra, lo racconta, lo descrive, lo decritta, lo spiega, lo abbellisce, lo mette in scena, si potrebbe ascoltare il suo racconto in questo punto di Milano “sconosciuto purtroppo a gran parte dei milanesi” che io vedo per la prima volta come del resto per la prima volta vedo la città per ore e ore. Racconta delle incisioni del Tiepolo, quelle che serbano il suo “segreto”, gli Scherzi e i Capricci. Del resto il romanzo è incentrato su questo, la seconda parte, Teurgia Meridiana, inizia cosi: “L’opera del Tiepolo potrebbe presentarsi come una successione di soffitti più o meno vasti, di pale di altare più o meno imponenti, di scene mitologiche più o meno maliziose e di ritratti più o meno ufficiali, se non ospitasse anche, annidato al suo centro, un armadietto delle spezie, delle droghe e dei veleni poco vistoso e segnalato da due etichette che vorrebbero essere rassicuranti: Capricci e Scherzi di fantasia…” Sono il “capitolo di un romanzo nero, abbagliante e muto.” Non vi svelerò le ragioni, che sono contenute all’interno di questo magnifico libro. Che ne costituiscono l’enigmatico cuore tenuto velato ma pulsante significati variabilmente interpretati. Compratelo, leggetelo, fate un piccolo sforzo in più rispetto a quelli richiesti dalla gran parte dei libri che potete trovare sugli scaffali e vi scoprirete cambiati, diversi, con qualcosa di acquisito, nella capacità e nell’attenzione, nella presenza mentale. Nel “saper guardare”.

L’ambasciatore Biancheri chiede a Calasso, verso la fine, perché non si affrescano più i soffitti, perché si dipingono le pareti, perché si presta attenzione ad altri elementi architettonici, ma non al soffitto, non più. La risposta di Roberto Calasso è magnifica: Indimenticabile. Dice che il soffitto è il cielo. “Abbiamo perso il cielo, e perdere il cielo vuol dire perdere quasi tutto. E’ una delle amputazioni che il mondo ha subito, senza accorgersene. Una questione che riguarda la storia dell’arte ma anche la psiche e la storia del corpo.” Mi viene la pelle d’oca. La presentazione sta volgendo al termine.

Un libro che valeva un viaggio. In una splendida Milano. Mai vista, veramente. Un libro che vale e merita quella che Elias Canetti chiamava “venerazione”.


Nota: alcune immagini sono tratte da http://www.ispionline.it/it/palazzo_tiepolo.htm

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