

Ciao Daniele e ben tornato su Kult Underground. Ci siamo lasciati a “Demo ’17” se non ricordo male. Cosa hai fatto nei due anni intanto trascorsi, a parte questo “Flying Stag”?
Ciao Davide, si, è dal precedente demo che non ci sentiamo. A parte la musica ho fatto il padre, che sommato al lavoro full time significa un giornaliero doppio turno. Mi sono tenuto molto – e felicemente – impegnato. È stato miracoloso riuscire a realizzare quest’album, sono contento.
E quindi “Flying stag”… C’è qualche affinità tra te e il cervo volante (flying stag) o cosa?
No, non direi, mi piace semplicemente il gioco di parole ottenuto mischiando Stag Beetle, reale nome in inglese dell’insetto Cervo Volante, con la traduzione letterale dall’italiano Flying Stag… che non ha nessun senso ma suona alla grande ed è ultra-visionario.
Dunque un ritorno al metal primo grande amore… ma pur sempre trent’anni dopo suppergiù. Cosa è cambiato e cosa no nel tuo approccio al genere, cosa hai voluto ripescarvi di te (o riconfermare), cosa in qualche modo anche un po’ scongiurare dinanzi al tempo che passa?
Eh, è cambiato tutto. Infatti le canzoni hanno suoni ed energia del metal, ma l’attitudine è chiaramente diversa. A proposito di anni trascorsi, non c’è più il desiderio adolescenziale di appartenere ad un “branco”, persone che condividono gli stessi ideali, modo di vestire, pensare..
Stai facendo il punto della tua storia musicale? Cosa ti stai dicendo al riguardo?
Che la musica è una dannata e costosissima droga. Anche se non ne ho mai cavato fuori un granchè di CONCRETO continuo imperterrito a sbatterci la testa contro. Il ragionamento successivo… se non riesco ad uscire dalla dipendenza facciamo in modo che questa dipendenza non risucchi tutte le mie risorse economico/cerebrali… quindi, “Flying Stag” è un prodotto costato un’enorme quantità di fatiche, senza falsa modestia riuscito benissimo, vendibilissimo… ora lo devo assolutamente piazzare bene perché dia un qualche frutto REALE dopo 25 anni di instancabile semina. punto e basta.
Davide
In questo lavoro sei tornato all’inglese. Come cambia, se cambia, la tua musica pensata in inglese oppure in italiano? In che modo cioè influisce sul tuo fare musica una lingua piuttosto che un’altra?
Devo dire che cantare in inglese mi risulta più semplice ed easy… appunto. 🙂 Quando riascolto le registrazioni mi sembra di aver cantato proprio bene. Anche in fase di scrittura mi faccio meno problemi, il tutto ha fondamenta molto più leggere, ludiche.. è un po’ come risolvere le parole crociate delle riviste enigmistiche.
Otherwhere / Stag Beetle / Splattering Purple / The Unreal Skyline / Like when it’s raining outside / Fanculo Mondo / From a tight angle… Cosa affronti in questi testi, attraversati da quali leitmotive o leitmotiv, se unico in particolare?
Il filo conduttore è il non senso. Le parole vanno e vengono in frasi dal vago gusto esistenzialista, a volte apocalittico, descrittorio della realtà, delirante, talvolta molto ironico… vedi Fanculo Mondo, parodia della mia intera carriera musicale… Sono usate più che altro per aggiungere uno strumento melodico ai brani, per la prima volta ho anche inserito a questo scopo rime dappertutto… cosa che in passato ho sempre evitato e non amato.
In che modo hai lavorato al disco con Alberto “Mono” Marietta? Perché in duo piuttosto che un più classico trio, bassista incluso?
Le canzoni le scrivo a casa in solitudine, chitarra a tracolla e pc davanti per imprimere nell’hard disk ogni nota buona. Una volta convinto al 99,9% del risultato, invio un MP3 del pezzo ad Alberto che se lo ascolta, lo incamera nella testa e pensa ai ritmi da inserire, cambi, tocchi, etc etc. Quindi si passa al lavoro in sala per incastrare a dovere le parti di batteria con quelle di chitarra. I brani hanno una struttura intricata… per chiuderli definitivamente richiedono un tempo minimo di due mesi l’uno.
Il sole con occhi naso e bocca in copertina l’ha disegnato un artista sconosciuto… Ma sicuramente un bambino o una bambina. Di solito il sole nei disegni dei bimbi è il papà, rappresenta insomma la figura paterna… Perché questa scelta?
Il disegno lo scovai una decina di anni fa, per caso, durante i miei primi giorni in un nuovo posto di lavoro, un Centro Diurno per disabili. Senz’altro è stato frutto della fantasia di uno degli ospiti del centro in un passato non ben precisato. Mi ha sempre ispirato e finalmente sono riuscito ad usarlo ora. La figura del sole è rassicurante, ma disegnata così ha quel non so che di inquietante, asimmetrico con nubi verde radioattivo e sporcature tutt’intorno.. Per me è una copertina molto evocativa e rappresenta egregiamente il contenuto musicale.
Continuerò con Alberto e Marco per il varco aperto da quest’ultimo album. 100% divertimento!Grazie Davide!! 😉
Grazie e à suivre…