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La procedura europea per deficit e debito eccessivi

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contenuti reali e possibili conseguenze

«Il governo italiano è cosciente di aver scelto un’impostazione della politica di bilancio non in linea con le norme applicative del Patto di Stabilità e crescita».
(Giovanni Tria, Ministro dell’Economia e delle Finanze, lettera alla Commissione Europea, 22 ottobre 2018)
 
Negli ultimi anni, la crisi economica, la Brexit[1] e l’avvento di forze nazionaliste e populiste in molti paesi hanno rappresentato cause ed effetti di un costante stress test per la tenuta della costruzione europea che purtroppo non ha saputo rispondere in maniera adeguata alle differenti sfide[2] approfondendo in questo modo il gap esistente tra cittadini e istituzioni dell’Unione.
Se questo non bastasse, per la prima volta nella storia la Commissione Europea ha rigettato il progetto di legge finanziaria (Documento Programmatico di Bilancio – DPB)[3] per il prossimo 2019 presentato dal Governo italiano, aprendo la possibilità di avviare una procedura di infrazione per il mancato rispetto dei parametri di deficit e debito previsti dai trattati.
In queste settimane, commenti e giudizi si sono sprecati: qui cercherò di descrivere quali siano i caratteri della procedura di infrazione così come prevista dall’ordinamento europeo e ipotizzare le conseguenze per il nostro Paese al termine di questo iter.  
 
I contenuti della procedura europea per eccessivo debito
Per il perseguimento degli obiettivi di cui all’art. 3 Trattato sull’Unione Europea – TUE[4], l’art. 119 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea – TFUE[5] dispone, tra le altre cose, l’adozione di una politica economica comune fondata sullo stretto coordinamento degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi condivisi: azioni degli Stati membri e dell’Unione che implicano la stabilità dei prezzi, il controllo della salute di finanze pubbliche e condizioni monetarie, nonché una bilancia dei pagamenti sostenibile.
Gli Stati membri, dunque, ex artt. 120 e 121 TFUE, attuano la loro politica economica allo scopo di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione, nel contesto degli indirizzi di massima del Consiglio e in considerazione del superiore interesse comune.
Ciò premesso, il primo comma dell’art. 126 TFUE perentoriamente dichiara che «Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi» e nei successivi tredici commi ne declina le modalità di controllo.
Alla Commissione è affidato il compito di sorvegliare l’evoluzione della situazione di bilancio e dell’entità del debito pubblico degli Stati membri. In particolare, l’esame di conformità è condotto sulla base dei due noti criteri: a) il rapporto tra il deficit o disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo, PIL[6], e b) il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo[7]. Entrambi non devono superare i valori di riferimento specificati a meno che lo Stato membro dimostri la sua capacità di correzione in modo sostanziale e continuo, abbia raggiunto un livello prossimo a quello di riferimento, o in alternativa provi che il superamento sia solo eccezionale e temporaneo.
Per quanto riguarda l’Italia, il valore del rapporto deficit/PIL è il 3%, e stando al DPB 2019
non sembra che verrà superato bensì dovrebbe attestarsi intorno al 2,4%, senza però nemmeno proporre un percorso di miglioramento.
Ma l’aspetto che ha fatto scattare il vero allarme a Bruxelles, è stato il rapporto tra il debito pubblico italiano e il PIL. La previsione europea è del 60% mentre per il 2019 il nostro Ministero dell’Economia non solo lo indica al 130% ma non prevede la sua progressiva e costante riduzione come prescritto dal TFUE.
In questi casi, la Commissione prepara una relazione, la trasmette allo Stato membro e ne informa il Consiglio, punto a cui siamo giunti lo scorso 21 novembre.
In seguito, qualora lo Stato membro non modifichi la propria condotta, e dopo una valutazione globale, lo stesso Consiglio valuta se esiste un disavanzo e adotta le necessarie raccomandazioni al fine di far cessare la violazione entro un determinato periodo di tempo.
Parlando in stretti termini tecnici, si deve dunque riconoscere che la procedura di infrazione non è ancora stata avviata formalmente dal momento che l’istituzione a cui compete è solo e soltanto il Consiglio la cui prima riunione utile a tal fine è quella del 22 gennaio 2019, in ambito di Ecofin (dove si ritroveranno i ministri dell’economia e delle finanze degli Stati membri) visto che l’appuntamento di dicembre sembra troppo vicino per permettere un cambio di ordine del giorno.
Nel mentre, il Governo italiano e il Parlamento si vedranno impegnati a ridefinire e ad approvare in via definitiva la nuova legge di bilancio mantenendo aperto il canale di confronto e discussione con le istituzioni europee.
A gennaio, poi, qualora il Consiglio lo ritenesse necessario, potrà adottare dette misure.
In seguito, se si persistesse nel disattenderle, il Consiglio avrà modo di intimare l’adozione di misure per correggere la situazione, chiedendo la presentazione di periodiche relazioni al fine di esaminare gli sforzi compiuti.
È utile ricordare che lo stesso art. 126 TFUE prevede la possibilità di adottare specifiche e progressive misure nel caso in cui lo Stato permanga inadempiente. A questo proposito, il Consiglio può imporre: la pubblicazione di informazioni supplementari in occasione dell’emissione di titoli pubblici; la ridefinizione (sino al blocco) dei prestiti della Banca europea per gli investimenti verso lo Stato in questione; la costituzione di un deposito infruttifero di importo adeguato fino a che il disavanzo eccessivo non sia stato corretto (per non più di due anni); la trasformazione del deposito in una vera e propria ammenda (le tanto temute “sanzioni”) nella misura dello 0,2% del PIL più un 10% dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3% (per un totale comunque non superiore al 5% del PIL).
Al Consiglio spetta la sospensione e abrogazione delle misure adottate qualora lo Stato membro dimostri di aver avviato una effettiva correzione della violazione contestata per rientrare nei parametri.
Nell’adottare i suoi provvedimenti, il Consiglio agisce su raccomandazione della Commissione, dà comunicazione al Parlamento Europeo e delibera a maggioranza qualificata[8] senza tener conto del voto del membro del Consiglio che rappresenta lo Stato membro in questione.
Comunque, tra dichiarazioni e fraintendimenti, summit e cene, messaggi privati e lettere ufficiali, tutto sembra destinato a rimanere in sospeso sino all’approvazione della Legge di Bilancio a Roma e al prossimo Consiglio di fine gennaio a Bruxelles. Ma poi?
 
Le eventuali conseguenze per l’Italia
Abbiamo visto che i tempi per l’effettiva apertura della procedura di infrazione nei confronti dell’Italia porteranno inevitabilmente ai primi mesi del 2019 e, oltre a prevedere il necessario coinvolgimento del Consiglio, dovranno tenere in conto l’appuntamento elettorale per il nuovo Europarlamento nella prossima primavera e il successivo rinnovo della Commissione.
In questo contesto, mentre alcuni criticano i termini eccessivamente rigidi del patto di stabilità e chiedono di valutare un ampio ciclo economico e non singoli bilanci annuali, altri sostengono che come è strutturato esso non è per nulla funzionale alla promozione di crescita e stabilità dell’eurozona, e molti denunciano il doppiopesismo nella sua applicazione, rigida (per la Grecia) o nulla per alcuni “grandi” (Francia e Germania).
Dunque, la procedura di infrazione contro l’Italia potrebbe verosimilmente essere aperta solo a 2019 inoltrato, svilupparsi in un paio d’anni e risentire del mutato clima dei diversi governi europei sempre più sensibili alla tutela degli interessi nazionali e critici verso le istituzioni europee.
Istituzioni che, allo stesso modo, risentiranno delle cangianti correnti con un Parlamento dove i tradizionali partiti filoeuropei potrebbero vedere la significativa crescita di movimenti populisti ed euroscettici, un Consiglio ripiegato su egoismi locali e subregionali, una Commissione dimentica di essere “guardiana dei trattati” e ormai solo longa manus dei governi nazionali.
Ed ecco allora che da queste colonne mi permetto di suggerire all’Esecutivo italiano, e in primis al nostro Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e al Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, di spendersi a fondo per correggere i contenuti della prossima legge finanziaria cercando di far capire ai propri interlocutori interni (vice-presidenti in particolare) le pesanti conseguenze di una violazione dei parametri di deficit e debito, conseguenze che peseranno su quegli stessi cittadini italiani chiamati poi alle urne per sostenerli col voto, e a quelli esterni (partner europei) cosa significa elaborare manovre complesse e sostenibili in un contesto pulcinellesco quale quello nostrano dove interessi di breve e brevissimo periodo prevalgono su visioni integrali e profetiche.
Poi, magari, l’Europa si avviterà su se stessa implodendo sotto la pressione del cambiamento sociale che sta attraversando il mondo: Bruxelles si dimenticherà dell’Italia e l’Italia rimpiangerà l’appartenenza all’Europa, il sogno di De Gasperi, Adenauer e Schumann finirà nell’appendice dei libri di storia e scoppieranno nuovi conflitti per il controllo dei propri confini e la conquista di altrui territori.
In definitiva mi auguro che questo scenario apocalittico sia un brutto incubo e che, nella peggiore delle ipotesi, ci vengano erogate solo sanzioni economiche. Da queste pagine seguiremo l’evoluzione degli avvenimenti!
 
 

[1] Cfr. Caocci, D, Brexit e poi? Il futuro incerto dell’Unione Europea, in KultUnderground n.250, maggio 2016. Disponibile in http://www.kultunderground.org/art/18309.
[2] Cfr. Caocci, D, Il futuro dell’Europa a 60 anni dai Trattati di Roma, in KultUnderground, n.260, marzo 2017. Disponibile in http://www.kultunderground.org/art/18452.
[3] Cfr. il testo del Documento Programmatico di Bilancio per il 2019 in http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01077342.pdf.
[5] Cfr. il testo del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:12012E/TXT&from=IT.
[6] Dove il deficit o disavanzo è dato dalla differenza entrate e uscite dello Stato, e il PIL è la sommatoria della ricchezza prodotta dal Paese.
[7] Dove il debito pubblico è il valore nominale delle passività lorde di tutte le amministrazioni pubbliche del Paese, e il PIL è la sommatoria della ricchezza prodotta.
[8] Per la delibera a maggioranza qualificata del Consiglio, cfr. l’art. 238, paragrafo 3, lettera a), TFUE: «a) per maggioranza qualificata si intende almeno il 55 % dei membri del Consiglio rappresentanti gli Stati membri partecipanti che totalizzino almeno il 65 % della popolazione di tali Stati. La minoranza di blocco deve comprendere almeno il numero minimo di membri del Consiglio che rappresentano oltre il 35 % della popolazione degli Stati membri partecipanti, più un altro membro; in caso contrario la maggioranza qualificata si considera raggiunta».

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